ISSN 2039-1676


03 giugno 2015

Infondata la questione di legittimità  costituzionale sulla subordinazione del patteggiamento, per i delitti tributari, alla previa estinzione mediante pagamento dei relativi debiti verso l'Erario

Corte cost., sent. 14 maggio 2015 (dep. 28 maggio 2015), n. 95, Pres. Criscuolo, Rel. Frigo

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Diamo subito notizia della decisione con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale poste, relativamente agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con  riguardo all'art. 13, comma 2-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000 (aggiunto dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m, del d.l. n. 138 del 2011), ove si stabilisce che, per i delitti tributari di cui al medesimo decreto legislativo, l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 13, e cioè solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti.

La Corte ha individuato nella fattispecie una "ordinaria" esclusione oggettiva dal cosiddetto patteggiamento. Riguardo ad altre esclusioni dello stesso genere, fondate sul titolo del reato, la Corte aveva già riconosciuto la pertinenza alla discrezionalità legislativa, sindacabile solo se esercitata in modo manifestamente irragionevole o con manifeste discriminazioni tra fattispecie analoghe. Vizi esclusi per la previsione censurata dal rimettente.

Non è incompatibile con il principio di uguaglianza, in particolare,  qualsiasi disciplina che connetta il trattamento sanzionatorio ad adempimenti che richiedono capacità economica, ma solo quella che discrimini l'esercizio di diritti assicurati paritariamente a qualunque cittadino, o sia priva della giustificazione  data dal concomitante perseguimento di interessi a carattere generale o dall'incidenza sulla valutazione della capacità a delinquere del reo.

Escluso ricorra la seconda ipotesi (dato soprattutto il pressante interesse pubblico alla riscossione dei tributi), la Corte ha negato che la pur pacifica pertinenza al diritto di difesa della possibilità di acceso ai riti speciali imponga che l'accesso medesimo debba essere sempre e comunque garantito, ché altrimenti dovrebbe essere considerata illegittima ogni preclusione su base oggettiva (ciò che la Corte aveva già negato).

Va aggiunto per completezza che il rimettente aveva censurato anche la norma (art. 12, comma 2-bis) che preclude la sospensione condizionale della pena inflitta per i delitti di cui agli articoli da 2 a 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, quando l'ammontare dell'imposta evasa superi - congiuntamente - il trenta per cento del volume d'affari e tre milioni di euro.

La questione è stata dichiarata inammissibile, in quanto logicamente subordinata all'altra, ritenuta infondata. Nel giudizio a quo, infatti, l'imputato aveva chiesto di accedere al patteggiamento subordinando la richiesta alla sospensione condizionale della pena applicata. Esclusa l'ammissibilità della domanda principale, la questione sulla sospensione condizionale è risultata irrilevante. (G.L.)