ISSN 2039-1676


22 ottobre 2015 |

Sequestro preventivo e ricorso per cassazione: quale rito camerale applicabile?

Cass. pen., Sez. VI, ord. 15 settembre 2015 (dep. 25 settembre 2015), n. 39118, Pres. Conti, Rel. Citterio, ric. Maresca

 

1. Con l'ordinanza in commento la Sesta Sezione della Corte di Cassazione rimette alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: "Se il rito da seguire in caso di ricorso per cassazione proposto a norma dell'art. 325 cod. proc. pen. deve svolgersi nel rispetto delle forme previste dall'art. 611 o dall'art. 127".

Il Collegio, nel richiamare l'attenzione delle Sezioni Unite sulla tipologia di rito esperibile per la trattazione del ricorso per cassazione proposto avverso ordinanze del tribunale del riesame o dell'appello cautelare in materia di sequestro preventivo, ritiene di dover sottoporre a critica il risalente, seppur consolidato, orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto.

2. Questi i passaggi fondamentali della vicenda in esame. I ricorrenti impugnavano ex art. 325 c.p.p. l'ordinanza del Tribunale di Napoli che confermava il decreto di sequestro probatorio di armi da fuoco legittimamente detenute, ma conservate in armadio blindato aperto all'atto dell'accesso di polizia, armi bianche e cartucce, nonché marijuana conservata in diversi involucri in più luoghi[i].

Si proponeva ricorso per cassazione per i seguenti motivi: mancanza di motivazione e violazione dell'art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis) e 2-ter sul punto dedotto in sede di riesame relativo alla mancanza di sigilli nella scatola di cartone e all'interno delle buste contenenti il materiale sequestrato; mancanza di motivazione del decreto di convalida, con riferimento al rilevamento in sede di accertamento tecnico di un quantitativo di sostanza presunta stupefacente superiore a quello di cui al verbale di sequestro; nonché violazione di legge per l'avvenuta redazione di due verbali di sequestro attestanti la prosecuzione dell'attività di ricerca in assenza del difensore.

Il procedimento giungeva, dunque, alla Sesta Sezione della Suprema Corte secondo il rito camerale non partecipato di cui all'art. 611 c.p.p. Il Procuratore generale presentava conclusioni scritte per la fissazione dell'udienza camerale secondo il diverso procedimento di cui all'art. 127 c.p.p. e in subordine per la rimessione degli atti alle Sezioni Unite. Richiamando precedente e costante giurisprudenza di legittimità[ii] e alla luce dell'orientamento dominante in seno alla Corte EDU[iii], si riteneva necessaria l'applicazione del rito di cui all'art. 127 c.p.p. rimarcando il "carattere afflittivo dell'ablazione reale, affine alla 'sostanza' delle misure sanzionatorie che solleciterebbe l'ampia applicazione dei 'benefici' della partecipazione, della comunicazione e della contrapposizione dialettica".

Traducendosi di fatto in un'eccezione di nullità dell'udienza per violazione del contraddittorio, la Corte rimetteva alle Sezioni Unite la questione relativa all'individuazione del rito esperibile per la trattazione nel giudizio di cassazione del ricorso proposto contro le ordinanze del tribunale del riesame o dell'appello cautelare in materia di sequestro preventivo.

3. Al fine di analizzare al meglio la questione sollevata nel caso di specie, la Corte si sofferma in primis sulla rilevanza dell'art. 611 c.p.p. come disciplina generale per il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di cassazione[iv], avallando la scelta legislativa in favore del contraddittorio cartolare.

Così come espressamente previsto dalla norma, infatti, la Corte di Cassazione, laddove non debba decidere ricorsi proposti contro provvedimenti emessi nel dibattimento o sentenze deliberate ex art. 442 c.p.p., procede secondo le forme del rito camerale non partecipato, costituendo, pertanto, il procedimento di cui all'art. 127 c.p.p. un'eccezione a tale disciplina derogabile nei soli casi specificamente previsti dalla legge.

Il Collegio supporta tale previsione normativa, ritenendo pienamente esaustiva la trattazione svolta secondo il contraddittorio scritto, caratterizzato da un'ampia possibilità di interlocuzione e replica, e valutando tale scelta "coerente con l'alto tasso di tecnicismo che caratterizza il giudizio di cassazione e determina e spiega il ristretto limite della cognizione della Corte, secondo l'art. 606 c.p.p. Un giudizio nel quale, innanzitutto, non trova spazio alcuno tutto ciò che attiene alla mera persuasività ed al libero convincimento, propri invece del giudizio di merito e specifico ambito di influenza di un intervento orale".

La Corte esclude, peraltro, che il rito camerale partecipato costituisca garanzia di una maggiore tutela dei beni/interessi in gioco, evidenziando come proprio la complessiva disciplina del giudizio di cassazione impedisca una "ricostruzione interpretativa sistematica che colleghi il rito alla qualità dell'interesse/bene giuridico sotteso alla doglianza che fonda il ricorso". Operare una distinzione qualitativa allo scopo di differenziarne il procedimento applicabile risulterebbe alquanto arbitrario, in particolare con riferimento ai provvedimenti che incidono sul patrimonio le cui conseguenze sono uniformi e si concretizzano nella provvisoria sottrazione ad un soggetto della libera disponibilità di un determinato bene.

Così come ribadito, inoltre, da una recente pronuncia della Suprema Corte il rito camerale ex art. 611 c.p.p., norma di natura speciale rispetto all'art. 127 c.p.p., costituisce una "forma specifica e generale per la sede di legittimità" il cui contraddittorio garantisce un "valido espletamento del diritto defensionale delle parti"[v].

4. Diversa la questione con riferimento al ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali di cui all'art. 325 c.p.p., norma che ne individua una disciplina autonoma e specifica.

Il punto focale su cui pone l'attenzione la Corte è il mancato richiamo da parte dell'art. 325 c.p.p. al quinto comma dell'art. 311 c.p.p. che contiene l'espressa previsione del rito camerale partecipato secondo la disciplina di cui all'art. 127.

Secondo risalente ma consolidato orientamento giurisprudenziale tale mancato richiamo dovrebbe considerarsi del tutto irrilevante, ritenendo assorbente e sufficiente la previsione, nel richiamato comma 4, della possibilità di presentare motivi nuovi prima dell'inizio della discussione[vi]. Così interpretato l'art. 325 c.p.p. andrebbe a delineare, pertanto, un modulo procedimentale incompatibile con quello dell'art. 611 c.p.p., basato unicamente su atti scritti, rendendo con ciò palese la scelta legislativa di introdurre anche per il ricorso in materia di sequestro preventivo il derogante rito camerale partecipato.

Il Collegio ritiene di dover sottoporre a critica tale esaminato indirizzo, considerando innanzitutto erronea la scissione del quinto comma dell'art. 611 c.p.p. in due autonomi e distinti precetti. Escludere l'applicabilità del primo di essi nel caso di specie ("la decisione deve intervenire entro trenta giorni"), così come sostenuto dal menzionato orientamento, priva di fondamento il riferimento alla possibilità di presentare motivi nuovi fino all'udienza, giustificabile, invece, solo se posto in relazione alla necessità di fissare quest'ultima nei trenta giorni dalla ricezione del fascicolo. Come precisato dalla Corte, infatti, "proprio la brevità dei termini di trattazione spiega, sul piano sistematico, la possibilità di presentare motivi nuovi fino all'udienza di discussione e la scelta palese (art. 311, comma 5) del rito partecipato".

La disciplina di cui all'art. 325 c.p.p., che consente il ricorso in cassazione avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali solo per violazione di legge, nonché l'assenza di urgenza che caratterizza tale ricorso, propria invece dell'ambito cautelare personale, esprimono, quindi, la specifica volontà legislativa di considerare ben autonome e distinte le due diverse tipologie di cautela, con conseguente legittima differenziazione dei procedimenti rispettivamente esperibili.

La Corte ritiene in definitiva applicabile per la materia in esame la disciplina di cui all'art. 611 c.p.p., derogabile solo in relazione all'onere del ricorrente di proporre contestualmente la dichiarazione di impugnazione e i motivi, così come previsto dal richiamato quarto comma dell'art. 311. Derogare ulteriormente alla disciplina generale di cui all'art. 611 c.p.p., legittimando anche nel giudizio di legittimità la presentazione di motivi nuovi fino all'udienza, comporterebbe una violazione del contraddittorio, privando la controparte di ogni possibilità di replica.

Il Collegio, pertanto, alla luce del differente e consolidato orientamento giurisprudenziale esistente sul punto e consapevole delle incertezze applicative che una pronuncia in senso contrario comporterebbe, rimette la questione alle Sezioni Unite.

5.  La posizione assunta dalla Sesta Sezione nell'ordinanza in commento pone l'attenzione su una questione sin qui uniformemente interpretata e che ha come suo fondamento la tutela del principio del contraddittorio[vii]. In attesa di una decisione chiarificatrice sul punto, appare necessario sottolineare come l'eventuale conferma della tesi sostenuta dalla Corte, in favore dell'applicazione della disciplina di cui all'art. 611 c.p.p., garantirebbe in egual misura il rispetto di tale principio. Così come sostenuto da illustre giurisprudenza, il procedimento camerale non partecipato delineato dalla norma in esame si pone, infatti, come  modello generale e tipico per le decisioni della Corte di Cassazione[viii], senza che ciò comporti alcuna lesione a quei diritti di contraddittorio e difesa che caratterizzano il giusto processo di cui all'art. 111 Cost., dovendosi, in conclusione, evidenziare come "il rito camerale di cassazione è seguito per materie che sicuramente vanno a toccare diritti soggettivi, o posizioni di rilevanza anche costituzionale di valore certamente non inferiore a quello di cui si discute, per i quali il contraddittorio cartolare costituisce valido espletamento del diritto defensionale delle parti"[ix].

 


[i] Trib.di Napoli, ord. 8-14 maggio 2015.

[ii] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 6 novembre 1992, n. 14; Cass. pen., Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 41694; Cass. pen., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n 9857.

[iii] Cfr. Corte EDU, 29 ottobre 2013, Varvara contro Italia; Corte EDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi contro Italia.

[iv] Sul punto si vedano: Cass. pen., Sez. Un., 17 luglio 2014, n. 36848 e Cass. pen., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 9857.

[v] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 9857.

[vi] Cfr. Cass. pen. Sez. Un., 6 novembre 1992, n. 14; Cass. pen., Sez. Un., 26 aprile 1990, n. 4.

[vii] Sul punto si veda: Alessio Scarcella, Motivi deducibili nel ricorso per cassazione contro l'ordinanza di rigetto ex art. 263, comma 5, c.p.p., ed individuazione del rito camerale applicabile, in Cass. pen., fasc. 9, 2009, pagg. 3330 e ss.

[viii] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 17 luglio 2014, n. 36848; Cass. pen., Sez. Un., 28 maggio 2003, n. 26156.

[ix] Cass. pen., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 9857.