ISSN 2039-1676


09 marzo 2011 |

I poteri probatori del pubblico ministero nell'appello de libertate

Brevi note a margine di Cass. pen., sez. un., 16.12.2010 (dep. 1.3.2011), n. 7931, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. Testini

 
 
 
 
 
 
1. Premessa
 
Le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato, con la sentenza in commento ([1]), il principio di diritto secondo cui, qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione su un’impugnazione incidentale de libertate, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori “nuovi” – preesistenti o sopravvenuti – può scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio ovvero porli a fondamento di una nuova richiesta cautelare, precisando però che la scelta così operata preclude al pubblico ministero di coltivare l’altra iniziativa cautelare.
 
Come segnalato in questa Rivista ([2]), la questione era stata rimessa alle Sezioni unite dalla I sezione penale della Corte, che aveva rilevato uno sviluppo non armonico della giurisprudenza di legittimità nella soluzione del problema relativo alla ammissibilità per il pubblico ministero di presentare, dopo l’annullamento con rinvio della decisione del tribunale del riesame di revoca della misura cautelare, una seconda richiesta cautelare per i medesimi fatti, sulla base di nuovi elementi prospettabili anche nel giudizio di rinvio.
 
La decisione in commento assume dunque una notevole importanza, dal momento che il silenzio normativo sul punto impone alla giurisprudenza di dettare le coordinate entro cui ricondurre le eventuali interferenze tra procedimenti cautelari in fasi diverse ed i conseguenti effetti preclusivi.
 
 
2. Gli arresti giurisprudenziali.
 
Nell’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni unite era stato correttamente rilevato che non si registra un univoco indirizzo giurisprudenziale in relazione ai possibili effetti preclusivi che possono verificarsi durante la pendenza di un’impugnazione cautelare, nell’ipotesi in cui il pubblico ministero proponga appello avverso il provvedimento reiettivo della sua richiesta di applicazione della misura cautelare.
 
Ed invero, le Sezioni unite nel 2004 avevano affermato che, qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione sull’appello proposto con l’ordinanza di rigetto della richiesta di misura cautelare personale, rinnovi la domanda nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, allegando elementi probatori “nuovi”, preesistenti o sopravvenuti, è precluso al giudice, in pendenza del procedimento di appello, decidere in merito alla medesima domanda cautelare ([3]).
 
Il principio di preclusione era stato ribadito da una successiva decisione delle Sezioni unite, avente però ad oggetto il giudizio di merito, nella quale era stato stabilito che il divieto di ne bis in idem, ai sensi dell’art. 649 c.p.p., “attenendo all’ordine pubblico processuale e mirando a realizzare una coerente progressione delle differenti regiudicande, dà luogo ad una preclusione – consumazione, applicabile ad ogni potere d’azione, ivi compreso quello cautelare” ([4]).
 
La successiva giurisprudenza di legittimità si è tuttavia discostata in talune occasioni dalle opzioni interpretative proposte dalle Sezioni unite.
 
Secondo un primo orientamento, in pendenza del giudizio di appello avverso il rigetto della richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari può adottare un provvedimento cautelare a carico della stessa persona, e per i medesimi fatti, solo se in presenza di una modificazione della situazione processuale, che può consistere anche nel sopravvenuto pericolo di fuga, purché si tratti di un pericolo concreto e non di una mera congettura ([5]).
 
In particolare, se il pubblico ministero, nell’impugnazione contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale, adduce elementi probatori nuovi, già posti a base di una rinnovata domanda cautelare avanzata al giudice per le indagini preliminari, l’appello deve essere dichiarato inammissibile sulla base del principio di alternatività tra le iniziative esperibili dalla parte pubblica in merito alla domanda cautelare in presenza di elementi probatori nuovi ([6]).
 
Con riferimento invece all’ipotesi in cui, pendendo ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la revoca della misura cautelare, lo stesso pubblico ministero richieda una nuova misura cautelare, la recente giurisprudenza ha riconosciuto che la pendenza del ricorso non preclude la nuova richiesta cautelare, fondata su elementi di prova sopravvenuti e non dedotti in precedenza ([7]).
 
Secondo un altro orientamento, invece, è stato escluso che il pubblico ministero, a seguito di una decisione del tribunale del riesame che abbia annullato per motivi formali un provvedimento cautelare, possa chiedere nei confronti dell’indagato una nuova misura coercitiva per lo stesso fatto e sulla base degli stessi elementi della precedente richiesta, e contemporaneamente possa proporre ricorso avverso la decisione del riesame, al fine di conseguire, attraverso il suo annullamento, una nuova pronuncia di merito sul medesimo fatto oggetto della nuova iniziativa cautelare ([8]).
 
Ne deriva, pertanto, che l’intervento in funzione nomofilattica delle Sezioni unite si è reso necessario, al fine di comporre il variegato mosaico interpretativo.
 
 
3. Il percorso argomentativo delle Sezioni unite.
 
L’ampia motivazione, posta a fondamento della decisione in esame, si articola lungo un complesso iter argomentativo, che permette di ricostruire con esattezza i poteri di allegazione dei nova da parte del pubblico ministero, durante la pendenza di un’impugnazione cautelare diretta a riformare il precedente provvedimento reiettivo di applicazione di una misura richiesta dallo stesso pubblico ministero.
 
Il punto di partenza del percorso motivazionale è rappresentato dall’affermazione, sulla base delle precedenti decisioni delle Sezioni unite del 2004 e del 2005, dell’immanenza nell’ordinamento processualpenalistico di un generale principio di preclusione, derivante dal dettato dell’art. 649 c.p.p., che opera in tutti gli ambiti procedurali, adeguandosi ai caratteri ed ai meccanismi di tali ambiti.
 
Con particolare riferimento all’ambito cautelare, le Sezioni unite rilevano come il principio di preclusione non possa concretarsi ed esaurirsi nella mera identità del fatto, dovendo invece comprendere necessariamente anche l’identità degli elementi posti e valutati a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare.
 
I giudici di legittimità hanno infatti ritenuto che sarebbe “oltremodo illogico, e contrario alle esigenze di tempestività”, tipiche del settore cautelare, “negare, a causa di una pendenza in atto, l’immediato utilizzo dei nova utili a sostenere una determinata posizione, rinviandolo ex lege alla cessazione di quella pendenza”.
 
Del resto, viene osservato nella motivazione in commento, le esigenze di una pronta tutela della collettività, che fanno da pendant alle garanzie del favor libertatis, “sono parimenti incompatibili con improprie e inutili dilazioni”, quali quelle che deriverebbero da intralci di tipo procedurale indipendenti dall’attività della pubblica accusa.
 
In conclusione, le Sezioni unite definiscono in termini di “alternatività” la facoltà del pubblico ministero di introdurre i nova attraverso la prosecuzione dell’impugnazione ovvero con la proposizione di una nuova richiesta cautelare ([9]).
 
Di conseguenza, l’opzione di utilizzare i nova per la prosecuzione dell’azione cautelare in sede di appello ovvero di allegarli alla nuova richiesta di una misura è rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero, che sceglierà l’una o l’altra via a seconda della tenuta del proprio impianto accusatorio.
 
 
4. L’ammissibilità di nuovi elementi di prova da parte del pubblico ministero nell’appello de liberate.
 
Il principio di diritto stabilito dalla pronuncia in esame impone dunque alcune riflessioni, attese le sue rilevanti ricadute sul piano sistematico.
 
In primo luogo, sembra corretto affermare che, ribadendo la legittimità della produzione da parte del pubblico ministero di elementi probatori nuovi – preesistenti o sopravvenuti – nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, le Sezioni unite ricostruiscono in termini di simmetria i poteri di allegazione probatoria delle parti nell’appello cautelare ([10]).
 
Da un lato, invero, la disciplina delle indagini difensive prevede espressamente la facoltà di presentare al giudice, in ogni stato e grado del procedimento, elementi di prova a discarico.
 
Tale produzione, ritenuta compatibile con il rito camerale, sarà costituita, infatti, analogamente a quanto avviene in sede di riesame, ex art. 309 c.p.p., da materiale probatorio che viene acquisito tramite la produzione in udienza ([11]).
 
Per altro verso, la riconosciuta facoltà per il pubblico ministero di introdurre nuovi elementi di prova a sostegno dell’appello avverso il provvedimento di reiezione della sua precedente domanda cautelare, attribuisce quindi all’organo dell’accusa facoltà analoghe a quelle riconosciute dalla legge alla difesa, contribuendo a costruire un modello diretto a garantire alle parti un pieno contraddittorio.
 
Ed infatti, qualora in sede di impugnazione il pubblico ministero eserciti la facoltà di introdurre nuovi elementi di prova, diretti ad allargare la piattaforma probatoria a carico dello stesso soggetto e per il medesimo fatto, appare ragionevole che il tribunale conceda un congruo termine a difesa; parimenti sembra ipotizzabile nella medesima sede la diretta acquisizione degli elementi a discarico prodotti dalla difesa, in quanto idonei a contrastare i motivi di gravame del pubblico ministero ovvero a dimostrare l’insussistenza delle condizioni e dei presupposti di applicabilità della misura richiesta.
 
Tale soluzione risulterebbe invero coerente con la funzione dell’appello de libertate, il cui thema decidendum non è costituito dal controllo dei punti devoluti dall’impugnante, ma si estende alla verifica di tutti i presupposti richiesti per l’adozione della misura, ben potendo il tribunale in sede di appello ampliare il proprio esame, al di là degli specifici punti devoluti dal pubblico ministero ([12]).
 
Su tali punti peraltro non potrebbe valere neanche la “preclusione endoprocessuale” del ne bis in idem cautelare, in quanto tale preclusione opera unicamente nei confronti di pronunce emesse all’esito dei procedimenti incidentali di impugnazione, mentre, nel caso in esame, “non essendo stato il punto non devoluto oggetto di precedenti controlli, ma essendo stato affermato per la prima volta dal g.i.p., deve ritenersi operante il principio della verificabilità in ogni tempo delle condizioni di applicabilità delle misure” ([13]).
 
 
5. Qualche ulteriore considerazione conclusiva.
 
Gli effetti della pronuncia in commento sono apprezzabili anche sotto un diverso profilo.
 
Non potrebbe escludersi, in ipotesi, che il pubblico ministero, da un lato, proponga appello contro l’ordinanza recettiva della sua richiesta cautelare, e, dall’altro, investa il giudice procedente di una richiesta cautelare supportata dall’allegazione di nuovi elementi di prova.
 
Ebbene, indipendentemente da considerazioni di correttezza processuale, la ricostruzione di un modello di appello de libertate in cui il tribunale può prendere cognizione non soltanto dei fatti e delle prove conosciute dal primo giudice, ma anche di fatti nuovi e di inediti elementi probatori, ha il pregio di escludere qualsiasi vantaggio dal concorso dell’appello, ex art. 310 c.p.p., con una nuova domanda cautelare ([14]), evitando di fatto il ricorso a tale escamotage da parte del pubblico ministero.
 
Ne deriva, pertanto, che anche sotto tale ultimo profilo appare condivisibile, in quanto orientata alla razionalizzazione del vuoto normativo, la scelta delle Sezioni unite di riconoscere al pubblico ministero la facoltà di utilizzare nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi di prova mai prodotti prima nel procedimento impugnatorio ovvero, in via alternativa, di allegare il nuovo materiale probatorio ad una richiesta cautelare da proporre ex novo.


[1] La sentenza è stata già segnalata, in questa Rivista, da Pistorelli.
[2] L’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite è stata annotata da Leo, Cass. pen., sez. I, camera di consiglio dell’11 novembre 2010, Pres. Silvestri, Rel. Di Tommasi, ric. N.M.T., Alle Sezioni Unite il tema delle interferenze tra procedimenti cautelari in fasi diverse e conseguenti preclusioni, in questa Rivista.
[3] Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2004, Donelli, in Cass. pen., 2004, p. 2746, con nota di Spagnolo, I poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum; in Dir. e giust., 2004, n. 20, p. 21 ss., con nota di Perinu, Margini più ampi per le prove in appello, in Giur. it., 2004, p. 128 ss., con nota di Anselmi, Sull’ammissibilità dei nova nei procedimenti d’appello avverso le ordinanze de libertate; nonché in Nuovo dir., 2004, p. 402 ss., con nota di Aprile, Poteri istruttori ed effetti preclusivi nel procedimento di appello ex art. 310 c.p.p. alla luce di una recente sentenza delle Sezioni unite; in Dir. pen. proc., 2005, p. 54 ss. con nota di Zignani, Poteri cognitivi, istruttori e decisori del Tribunale della libertà investito dell’appello. In argomento, cfr., altresì, Morelli, L’ammissibilità di nuovi elementi probatori a carico nell’appello de libertate, ivi, 2005, p. 359 ss.
[4] Cass. pen., sez. un., 28 giugno 2005, Donati, in Arch. n. proc. pen., 2005, p. 669; in Cass. pen., 2006, p. 28; in Corr. merito, 2006, p. 239 ss., con nota di Leo, Ne bis in idem e principio di preclusione nel processo penale.
[5] Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 2005, Ighodaro, in C.E.D. Cass., n. 232476.
[6] Cass. pen., sez. I, 13 dicembre 2005, Romito, in C.E.D. Cass., n. 233272.
[7] Cass. pen., sez. II, 16 dicembre 2004, Rizzo, in C.E.D. Cass., n. 230909; Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 2008, Del Nogal Marquez, in C.E.D. Cass., n. 240530.
[8] Cass. pen., sez. VI, 26 febbraio 2009, Mautone, in C.E.D. Cass., n. 242930.
[9] Evidentemente tale facoltà non potrà essere azionata, qualora il procedimento di impugnazione versi in una fase in cui l’immediata utilizzazione dei nova non sia possibile, come, ad esempio, nelle more del deposito della decisione di annullamento con rinvio del provvedimento del giudice del riesame.
[10] Per un ampio panorama del dibattito giurisprudenziale e dottrinale circa la possibilità di introdurre nel procedimento di appello cautelare elementi probatori nuovi, non allegati al provvedimento impugnato, S. La Rocca e E. N. La Rocca, Le impugnazioni de libertate, in Spangher e Santoriello (a cura di), Le misure cautelari personali, Torino, 2009, p. 536 ss.
[11] In questo senso, Spagnolo, I poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum, cit., 2766. In argomento è stato altresì affermato che, per ottenere l’acquisizione dei nova nell’appello de libertate, le parti dovrebbero richiedere un formale provvedimento di acquisizione o il giudice dovrebbe ammetterle solo ove fossero assolutamente necessarie, Zignani, Poteri cognitivi, istruttori e decisori del Tribunale della libertà investito dell’appello, cit., p. 61. Sul punto, cfr., altresì, Ventura, Le indagini difensive, Milano, 2005, p. 157 e s., il quale ritiene che nell’appello de libertate, applicandosi le disposizioni della rinnovazione istruttoria dibattimentale, la documentazione delle indagini difensive può essere ammessa solo nei limiti di cui all’art. 603 c.p.p. Sul punto, infine, è stato sostenuto che nell’appello del libertate non possono essere introdotti nova, salvo le ipotesi in cui il nuovo materiale probatorio sia idoneo a porre il giudice nelle condizioni di pronunciare un provvedimento di revoca o di sostituzione della misura, ex art. 299, commi 1 e 3, c.p.p., Morelli, L’ammissibilità di nuovi elementi probatori a carico nell’appello de libertate, cit., p. 366 e ss.
[12] In senso contrario, Morelli, L’ammissibilità di nuovi elementi probatori a carico nell’appello de libertate, cit., p. 366, secondo cui, qualora il pubblico ministero disponga di nuovi dati attraverso cui giustificare l’applicazione della misura, dovrebbe farli valere “nella sede propria e davanti al giudice competente a disporla in prima battuta, garantendo all’imputato tutti i rimedi predisposti dalla legge per contrastare l’ordinanza recettiva. Non appare di certo in armonia con il sistema che la pubblica accusa possa decidere di evitare la richiesta di un nuovo procedimento cautelare, e addurre i dati giustificativi di esso al giudice d’appello; l’effetto determinato sarebbe quello di precludere, in caso di accoglimento dell’istanza, la via del riesame al soggetto al quale venga applicata la misura”. In argomento, cfr. altresì Furgiuele, L’appello cautelare, in Scalfati (a cura di), Prove e misure cautelari, Le misure cautelari, Vol. II, Tomo II, in Spangher (diretto da), Trattato di procedura penale, Torino, 2008, p. 549 ss.
[13] Spagnolo, I poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum, cit., 2764.
[14] Nello stesso senso, Spagnolo, I poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum, cit., 2768.