ISSN 2039-1676


04 aprile 2016 |

''Braccialetto elettronico'': alle Sezioni unite la questione della applicabilità  della custodia cautelare in carcere in caso di accertata indisponibilità  del dispositivo

Cass., sez. I, ord. 28 gennaio 2016 (dep. 11 febbraio 2016), n. 5799, Pres. Cortese, Rel. Cavallo, ric. Lovisi

 

1. L'ordinanza della Prima Sezione penale della Corte di cassazione n. 5799/16 del 28 gennaio 2016 sottopone alle Sezioni unite una questione interpretativa relativa all'art. 275 bis c.p.p. In particolare, è insorto contrasto tra le Sezioni penali circa i poteri del giudice il quale, in sede di applicazione di misura cautelare personale o di revoca e sostituzione della custodia cautelare in carcere, abbia ritenuto adeguata e idonea la misura degli arresti domiciliari con applicazione di strumenti di controllo elettronico (il c.d. braccialetto elettronico) e che abbia, tuttavia, accertato l'indisponibilità di tali strumenti da parte della polizia giudiziaria.  

 

2. Come è noto,  l'art. 275 bis c.p.p. disciplina particolari modalità di controllo che possono essere adottate dal giudice che disponga l'applicazione della misura degli arresti domiciliari; la disposizione stabilisce che, nell'applicare la misura in questione (e sempre che «l'imputato» non neghi il proprio consenso), il giudice, «salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto», prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria.

Tale norma fu introdotta dall'art. 16 co. 2° del d.l. 24 novembre 2000 (convertito dalla l. 19 gennaio 2001, n.4), ricevendo tuttavia applicazioni assai limitate, sia in ragione della mancanza di dispositivi idonei, sia di una formulazione non particolarmente incisiva. Infatti, il testo attuale è il risultato delle modifiche apportate con l'art. 1 co. 1 lett. a) del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10, che ha riformulato la disposizione, sostituendo l'attuale espressione a quella originaria «se lo ritiene necessario»[1]. Come si è affermato anche in giurisprudenza, tale sostituzione non può che essere letta nel senso che, di regola, la misura degli arresti domiciliari deve essere applicata attraverso la prescrizione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando il giudice «ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria» e fatta salva la facoltà del giudice di non disporre l'adozione delle suddette procedure «in considerazione della natura e del grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto». In forza del dettato normativo, dunque, l'applicazione della misura degli arresti domiciliari con le particolari modalità di controllo mediante mezzi elettronici non dovrebbe più essere considerata una mera modalità occasionale di esecuzione della misura cautelare, venendo a costituire, invece, la regola generale, con la sola eccezione, rimessa alla prudente valutazione del giudice, in relazione alle esigenze cautelari sottese alla privazione della libertà personale dell'indagato (così Sez. I, 10 settembre 2015, Quici, RV 264943).

 

3. Il contrasto insorto in seno alla Suprema Corte riguarda la possibilità, per il giudice che abbia ritenuto applicabile la misura degli arresti domiciliati e abbia però accertato l'indisponibilità degli strumenti di controllo elettronico, di applicare o mantenere la diversa e più severa misura della custodia cautelare in carcere proprio in ragione di tale indisponibilità.

Sul punto, entrambi gli indirizzi contrapposti muovono dalla comune premessa secondo la quale la previsione di cui all'art. 275 bis c.p.p. non introduce una misura coercitiva ulteriore rispetto a quelle elencate negli artt. 281 ss. del codice di rito, ma disciplina unicamente una modalità esecutiva degli arresti domiciliari; tanto che, in dottrina, si è obiettato che la relativa disciplina avrebbe dovuto più correttamente trovare posto nell'ambito dell'art. 284 c.p.p. piuttosto che nelle disposizioni generali in tema di misure cautelari personali[2]. Che si tratti di modalità esecutive di una misura già prevista è, del resto, confermato sia dalla esplicita dizione dell'art. 275 bis c.p.p. (che appunto disciplina le modalità di controllo con dispositivi elettronici per il caso in cui il giudice disponga «la misura degli arresti domiciliari»), sia dalla esplicita presa di posizione del legislatore, che, nella Relazione al d.d.l. di conversione in legge del d.l. 341/2000, ha esplicitamente qualificato il "braccialetto elettronico" quale «strumento di controllo applicabile alle misure già esistenti». Più in generale, occorre osservare che se si trattasse di una misura coercitiva personale di nuovo conio, si porrebbero non pochi profili di (insanabile) contrasto con le previsioni costituzionali e codicistiche in tema di libertà personale, poiché si tratterebbe di misura introdotta con decretazione d'urgenza.

 

3.1. Per quanto qui rileva, muovendo dalla comune premessa che l'art. 275 bis c.p.p. non introduce una nuova misura cautelare, un primo e più risalente indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto che l'applicazione della misura degli arresti domiciliari con l'utilizzo del "braccialetto elettronico" sia subordinata all'accertamento preventivo della disponibilità dei mezzi elettronici o tecnici da parte della polizia giudiziaria e che «a ciò consegue che, in caso di accertata indisponibilità dei suddetti mezzi di controllo, al giudice sarà necessariamente imposta l'adozione della misura della custodia in carcere», poiché «le stesse esigenze cautelari che imponevano l'adozione della misura degli arresti domiciliari con adozione degli strumenti di controllo si prestano ad essere adeguatamente tutelate solo con l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere» (Cass. Sez. II, 10 novembre 2015, Pappalardo ed a., RV 265238).

Nella medesima ottica, la Suprema Corte aveva affermato che il giudice può rigettare un'istanza di sostituzione della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari a causa della indisponibilità dei relativi strumenti elettronici, pur ritenendo che l'adozione di uno strumento di controllo elettronico nel caso concreto sia una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari idonea a fronteggiare le esigenze cautelari: in tale caso, non sussisterebbe «alcun vulnus ai principi di cui agli artt. 3 e 13 Cost., né alcuna violazione ai diritti della difesa, perché la impossibilità della concessione degli arresti domiciliari senza controllo elettronico a distanza dipende pur sempre dalla intensità delle esigenze cautelari e, pertanto, è ascrivibile alla persona dell'indagato» (Cass. Sez. II, 19 giugno 2015, Candolfi, RV 264230; Cass. Sez. II, 17 dicembre 2014, n. 520, non massimata). Nella medesima ottica, la Suprema Corte aveva affermato che non «può pretendersi che lo Stato predisponga un numero indeterminato di braccialetti elettronici, pari al numero dei detenuti per i quali può essere utilizzato, essendo le disponibilità finanziarie dell'amministrazione necessariamente limitate, come sono limitate tutte le strutture (carcerarie, sanitarie, scolastiche, etc.) e tutte le prestazioni pubbliche offerte ai cittadini, senza che ciò determini alcuna violazione del principio di eguaglianza e degli altri diritti costituzionalmente tutelati» (Cass. Sez. II, 17 dicembre 2014, n. 520).

Tale primo indirizzo non ravvisa dunque violazione dei principi costituzionali in materia di libertà personale nel caso in cui il giudice, pur ritenendo in astratto idonea ed adeguata la misura degli arresti domiciliari, ritenga di non poterla disporre in concreto per la indisponibilità degli strumenti di controllo elettronico ed applichi (o mantenga) la misura più afflittiva della custodia in carcere. Non vi sarebbe, in questo caso, violazione dei principi generali in tema di libertà personale poiché, comunque, la decisione di applicare la custodia cautelare in carcere deriverebbe comunque dalla intensità delle esigenze cautelari nel caso concreto, trattandosi di situazione nella quale gli arresti domiciliari senza controllo elettronico sono stati valutati come insufficienti.

 

3.2. A tale indirizzo giurisprudenziale se ne è contrapposto uno di diverso avviso, il quale muove dalla premessa già citata secondo cui «la previsione di cui all'art. 275 bis c.p.p. non ha introdotto una nuova misura coercitiva, ma solamente una modalità di esecuzione di una misura cautelare personale già esistente» ed ha ritenuto che il suddetto braccialetto rappresenti «una cautela che il giudice può adottare, se lo ritiene necessario, non già ai fini della adeguatezza della misura più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione, ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacità effettiva dell'indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, assumendo l'impegno di installare il braccialetto e di osservare le relative prescrizioni» (Cass. Sez II, 29 ottobre 2003, Bianchi, RV 227582; Cass. Sez. V, 19 giugno 2012, Bottan, RV 253716). Ne consegue che la scelta della misura cautelare da applicare deve essere effettuata tra una di quelle tipiche e, qualora le modalità di esecuzione assumano un valore rilevante, l'accertamento della «adeguatezza ed efficienza dei supporti tecnici di cui il giudice intende avvalersi» deve essere effettuato preventivamente, senza che «la funzionalità dei dispositivi tecnici possa condizionare l'effettività della misura prescelta» (Cass. Sez. II, 23 settembre 2014, Di Francesco ed a., RV 261439).  

In quest'ottica, non può ritenersi corretto «sospendere l'esecuzione della misura degli arresti domiciliari e la scarcerazione dell'indagato» subordinandole al verificarsi di un presupposto, la disponibilità e la effettiva attivazione da parte della autorità preposta al controllo del dispositivo elettronico, che altro non è se non «una modalità esecutiva della misura domiciliare». Infatti, trattandosi di una procedura di controllo da parte della polizia giudiziaria, l'attivazione del dispositivo elettronico non rappresenta una prescrizione che inasprisce la misura, come può verificarsi attraverso la previsione di prescrizioni che limitano ulteriormente le facoltà dell'indagato. Così che, se viene ritenuta dal giudice la idoneità della misura degli arresti domiciliari a soddisfare le concrete esigenze cautelari, la applicazione ed esecuzione di detta misura non può essere condizionata da eventuali difficoltà di natura tecnica o amministrativa, trattandosi di «presupposti, all'evidenza, non comparabili tra loro» (Cass. Sez. I, 10 settembre 2015, Quici, RV 264943). Sicché, la previsione del co. 1 dell'art. 275 bis c.p.p. deve intendersi, secondo questo orientamento, nel senso che, una volta valutata la adeguatezza della misura domiciliare secondo i criteri di cui all'art. 275 c.p.p., il detenuto dovrà essere controllato con i mezzi tradizionali se risulti la indisponibilità degli strumenti elettronici. Ciò perché, qualora il giudice riconosca come adeguata la misura degli arresti domiciliari, deve ritenersi implicitamente escluso che la permanenza in carcere sia giustificata, a prescindere dalla disponibilità di strumenti di controllo. Dunque sarà necessaria l'immediata scarcerazione del detenuto e l'applicazione della misura degli arresti domiciliari ritenuta adeguata, nonostante la mancanza di strumenti di monitoraggio elettronico.

 

4. La questione, dunque, dovrà essere affrontata dalle Sezioni unite, le quali non potranno che muovere dai principi costituzionali in tema di libertà personale e misure coercitive, oltre che dalle disposizioni del codice che disciplinano le misure cautelari ed, in particolare, dalle norme che governano la scelta, da parte del giudice, della misura adeguata e necessaria al caso concreto. Occorrerà attendere, dunque, anche per verificare se e quanto peseranno sulle valutazioni del supremo consesso le difficoltà organizzative e finanziarie che hanno fino ad ora impedito l'effettiva e diffusa utilizzazione del (pur ampiamente propagandato) "braccialetto elettronico".

 


[1] Le modalità esecutive di tale normativa sono stabilite con il decreto del Ministero dell'Interno 2 febbraio 2001, che ha disciplinato le modalità di installazione ed uso dei dispositivi. Si tratta di apparecchi indossati alla caviglia e collegati ad una unità di sorveglianza installata nel luogo di restrizione agli arresti domiciliari. Il destinatario della misura deve restare nell'ambito di comunicazione dei due strumenti; in caso contrario o in caso di danneggiamento del braccialetto, scatta un allarme, che avverte immediatamente la centrale operativa della polizia giudiziaria.

[2] Così Giordano, in Guida dir. 2001, f. 9, p.9.