24 giugno 2016 |
Più braccialetti (ma non necessariamente) meno carcere: le Sezioni Unite e la portata applicativa degli arresti domiciliari con la procedura di controllo del braccialetto elettronico
Nota a Cass. Sez. Un., 28 aprile 2016 (dep. 19 maggio 2016), n. 20769, pres. Canzio, rel. Riccialli, ric. Lovisi
1. Il tema della effettiva portata applicativa degli arresti domiciliari "controllati" con l'utilizzo di strumenti tecnici era stato oggetto di una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica promossa dall'Unione delle Camere Penali, efficacemente definita «Più Braccialetti Meno Carcere». L'origine della protesta dei difensori, sfociata anche in una delibera di astensione, non era che l'ultima presa di coscienza di un dato di fatto significativo: a quindici anni di distanza dall'introduzione dell'art. 275 bis c.p.p., l'esecuzione degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico resta una misura «sostanzialmente disapplicata»[1].
Possono individuarsi due cause principali di questo insuccesso: l'una, di stampo più strettamente normativo, riguarda l'infelice formulazione originaria della disposizione codicistica, poi corretta con la modifica legislativa intervenuta nel 2013; l'altra, di natura pratica, concerne invece la mancanza di disponibilità degli strumenti di controllo[2] ed i conseguenti esiti sulla scelta della misura cautelare. Proprio in relazione a quest'ultimo aspetto, le Sezioni Unite sono state, da ultimo, chiamate a pronunciarsi, per chiarire quali siano gli effetti della concreta indisponibilità dei braccialetti elettronici sulla valutazione di adeguatezza della misura cautelare da adottare nel caso di specie[3].
2. Utile punto di partenza nell'analisi della questione deve essere il dato normativo. L'art. 275 bis c.p.p. è stato introdotto nel codice di rito nell'anno 2000[4]. La scelta di prevedere questa particolare modalità di controllo era alimentata dall'esigenza securitaria di garantire, con il monitoraggio elettronico, il rispetto delle prescrizioni imposte con la misura degli arresti domiciliari[5]. Nella sua formulazione originaria, la disposizione prevedeva che «il giudice, se lo ritiene necessario [...] prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria».
Di segno ben diverso il successivo intervento legislativo attuato nel 2013[6], che ha modificato il tenore letterale del primo periodo del comma 1 dell'art. 275 bis c.p.p., sostituendo alla locuzione «se lo ritiene necessario» la ben più incisiva «salvo che le ritenga non necessarie». La novella si colloca su "l'onda lunga"[7] della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Torreggiani c. Italia[8], in una prospettiva di contenimento del fenomeno del sovraffollamento carcerario che passa dalla valorizzazione dello strumento del controllo per incentivare l'adozione di misure alternative alla custodia cautelare in carcere[9]. In sostanza, la modifica normativa inverte i termini del rapporto regola/eccezione che deve guidare la valutazione di adeguatezza compiuta dal giudice in ordine all'applicazione degli arresti domiciliari controllati, imponendone l'adozione in via ordinaria, salvi i casi in cui la speciale modalità di controllo sia ritenuta "non necessaria" in ragione del grado e della natura delle esigenze da soddisfare nel caso concreto. Sul punto, le Sezioni Unite in commento sciolgono ogni dubbio: «la regola è rappresentata dagli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, e l'eccezione dalla custodia cautelare»[10].
Sulla stessa linea d'onda, peraltro, si collocano anche i più recenti interventi legislativi. Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha esteso l'applicabilità dello strumento di controllo anche alla misura dell'allontanamento dalla casa familiare. Ma, soprattutto, la l. 16 aprile 2015, n. 47, tra le «Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali» ha inserito il comma 3 bis dell'art. 275 c.p.p., a mente del quale «nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'articolo 275 bis comma 1». Tra gli obiettivi fondamentali dell'ultima riforma vi è la volontà di "ritornare alle origini", recuperando i principi fondamentali che avevano ispirato la disciplina del Libro IV: tassatività delle restrizioni della libertà personale (art. 13 Cost.) e presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.). In questa chiave, ancora, la riaffermazione della custodia in carcere come extrema ratio è strumentale ad escludere qualsiasi funzione anticipatoria delle misure cautelari: l'effettivo rispetto del principio del minimo sacrificio per la libertà personale si raggiunge valorizzando la valutazione di adeguatezza nella scelta della misura[11] ed imponendo, quindi, al giudice della cautela un aggravato onere motivazionale[12].
3. Gli interventi legislativi hanno prodotto i loro frutti, segnando il passaggio da un insuccesso anche normativo ad un insuccesso esclusivamente pratico: l'incentivo all'applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ha reso evidente l'insufficienza degli strumenti di controllo in concreto disponibili.
Su questa situazione critica si è incardinato il contrasto giurisprudenziale portato all'attenzione delle Sezioni Unite, che muove però da un presupposto condiviso: l'art. 275 bis c.p.p. costituisce una particolare modalità di esecuzione degli arresti domiciliari e non, invece, una autonoma nuova misura coercitiva. Depone in tal senso il tenore letterale della norma, che fin dalla rubrica richiama «particolari modalità di controllo degli arresti domiciliari». Concorda la Suprema Corte che, nella pronuncia in commento, ritorna su argomenti noti: la lettera della relazione al disegno di legge relativo alla conversione del d.l. 341/2000[13]; la collocazione sistematica all'interno del codice di procedura penale[14]; la strumentalità del mezzo di controllo rispetto all'incremento di misure alternative alla detenzione in carcere, in linea di continuità con i più recenti interventi legislativi[15].
4. Se comune è la premessa, contrastanti sono le conclusioni cui giunge la giurisprudenza di legittimità in relazione agli effetti della indisponibilità in concreto dei braccialetti elettronici, tanto sulla scelta genetica della misura da adottare, quanto sulla richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere: l'obbligo di disporre la misura della custodia cautelare in carcere ovvero gli arresti domiciliari.
Secondo un primo orientamento[16], l'applicazione della misura degli arresti domiciliari "controllati" è subordinata al preventivo accertamento della sussistenza degli strumenti tecnici di sorveglianza speciale in capo alla polizia giudiziaria. L'assenza di mezzi impone l'adozione ovvero la mancata sostituzione della custodia cautelare in carcere, unica misura idonea ad assicurare la tutela di quelle specifiche esigenze cautelari che ben avrebbero potuto essere soddisfatte dagli arresti domiciliari controllati. Nonostante il giudice della cautela abbia ritenuto l'astratta adeguatezza di una misura meno afflittiva, nessuna violazione dei principi costituzionali in tema di libertà personale deriverebbe dalla applicazione in concreto della detenzione in carcere per indisponibilità degli strumenti di controllo elettronico a distanza. La decisione, infatti, conseguirebbe in via obbligata dalla intensità delle esigenze cautelari da soddisfare, in relazione alle quali la misura degli arresti domiciliari "semplici" sarebbe da ritenere comunque insoddisfacente. Concorrerebbero poi, a sostegno di questa interpretazione, argomenti di carattere puramente "economico", di per sé suscettibili di facile smentita[17].
Un secondo orientamento[18], per contro, proprio valorizzando la natura solo "accessoria" dello strumento di controllo, esclude che la valutazione di merito in ordine alla pericolosità della persona sottoposta alle indagini possa essere condizionata dalla circostanza -meramente fattuale- di disponibilità del braccialetto elettronico. Il giudice della cautela, quindi, imporrà gli arresti domiciliari "controllati" non già ai fini dell'adeguatezza della misura, ma quale risultato del giudizio sulla capacità effettiva dell'indagato di autolimitare la propria libertà di movimento[19]. Ne consegue che, una volta ritenuta idonea la misura degli arresti domiciliari è in ogni caso esclusa l'applicazione della custodia cautelare in carcere: l'indisponibilità dello strumento elettronico di controllo inciderà, quindi, esclusivamente, sulle modalità di esecuzione, comportando l'applicazione degli arresti domiciliari "semplici"[20].
5. Nella soluzione del quesito, la Suprema Corte, a Sezioni unite, riporta ordine logico nel giudizio cautelare (sia esso di prima applicazione ovvero di sostituzione): la lettura integrale dell'art. 275 bis c.p.p. suggerisce che la disponibilità dello strumento di controllo orienta e precede la scelta della misura e, quindi, l'accertamento della circostanza di fatto deve essere compiuto dal giudice in via preliminare. Ciò posto, resta da chiarire quali siano gli effetti derivanti dall'impossibilità materiale di eseguire gli arresti domiciliari in forma controllata, per mancanza dei mezzi tecnici.
Nessuno dei due orientamenti che hanno dato origine al contrasto risulta convincente, essendo entrambi viziati dal medesimo errore di metodo: in tema di libertà personale, non sono accettabili automatismi applicativi di fonte interpretativa. Ed, invero, ex lege, solo nel caso in cui la persona neghi il consenso all'adozione dei mezzi di controllo il giudice deve disporre la misura detentiva in carcere (così l'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 275 bis c.p.p.). Non condivisibile, quindi, l'indirizzo giurisprudenziale che vorrebbe ricavare dalla indisponibilità del braccialetto elettronico l'obbligata adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, in evidente contrasto tanto con la più recente riforma legislativa quanto con gli insegnamenti della Corte costituzionale[21]. Ma degna di smentita deve essere, a giudizio delle Sezioni Unite, anche l'opposta soluzione ermeneutica, che contrasterebbe «con i principi di proporzione e di ragionevolezza, introducendo un favor non commisurato al convincimento del decidente ed alle valutazioni da questo operate in ordine alla individuazione ed alla tutela delle esigenze cautelari»[22]. La tutela della libertà personale impone tanto al legislatore quanto all'interprete di orientare la valutazione su un modello a "pluralità graduata" e con "criteri individualizzanti": la scelta della misura si compone, quindi, sulla base del minor sacrificio necessario per soddisfare le esigenze specifiche del caso concreto. Solo entro questi confini il sistema cautelare si prospetta costituzionalmente legittimo e la restrizione della libertà prima della condanna mantiene connotazioni distinte da quelle dell'esecuzione di una pena.
Date queste premesse, unica soluzione possibile nel caso in cui sia accertata l'indisponibilità del braccialetto elettronico è rimettere al giudice la scelta in concreto se comminare la custodia cautelare in carcere ovvero gli arresti domiciliari "semplici", all'esito di un giudizio che, dato atto della impossibilità di applicare la misura più idonea, bilancia esigenze cautelari e tutela della libertà personale. In sostanza, ogni volta che sarà accertata la mancanza dello strumento di controllo, il giudice dovrà compiere una nuova valutazione della fattispecie, motivando «l'individuazione della specifica misura applicabile, alla luce della circostanza di fatto della indisponibilità del dispositivo»[23].
La soluzione pare nascondere, tra le righe, una smentita dell'indiscusso punto di partenza: se, infatti, lo strumento di controllo costituisce soltanto una modalità applicativa della misura degli arresti domiciliari, la sua indisponibilità non dovrebbe incidere sulla idoneità della misura. L'effetto ultimo diviene paradossale: la mancanza nel caso concreto del braccialetto elettronico impone una nuova scelta della misura da applicare, posto che la misura più idonea non è eseguibile in conseguenza di circostanze di fatto del tutto indipendenti dal comportamento del soggetto che ne è destinatario. Tale opzione ermeneutica rischia, soprattutto, di determinare inevitabili sperequazioni, condizionate comunque dal presupposto materiale della carenza di risorse[24] e difficilmente sindacabili in punto di legittimità del provvedimento cautelare[25].
Altre, forse, sono le strade che andrebbero percorse. Non pare soddisfacente il monito (per quanto possibile) severo che le Sezioni Unite rivolgono ai soggetti preposti all'amministrazione penitenziaria ed ai giudici: i primi sono chiamati ad aumentare il numero dei dispositivi utilizzabili; ai secondi spetta il delicato compito di motivare adeguatamente le ragioni per le quali intendano ricorrere alla custodia in carcere, piuttosto che agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico[26]. Pesa, sulla ricerca della migliore soluzione interpretativa, la "nuova stagione" inaugurata con le pronunce della Corte edu ed i conseguenti interventi del legislatore interno, che impongono (le une e gli altri) di restituire alla custodia cautelare in carcere una funzione effettivamente residuale ed individuano proprio nella fonte normativa il (primario) vincolo all'esercizio della discrezionalità giudiziale[27]. In una materia tanto delicata, che incide in via diretta sulla inviolabilità della libertà personale, non ci si può accontentare dell'auspicio ad un incremento delle risorse e ad una attenta (autonoma) valutazione. Proprio gli effetti della sentenza Torreggiani, forse, suggeriscono anche nel metodo come procedere: solo il coraggio della pronuncia della Corte edu ha "risvegliato le coscienze" a fronte di una situazione che era da lungo tempo intollerabile[28]. Ed allora, se è vero che l'automatismo in favore degli arresti domiciliari "semplici" rischia di non essere precisamente commisurato alla valutazione di adeguatezza del giudice[29] viene da chiedersi se il fine, in fondo, non giustifichi i mezzi.
[1] Così espressamente le Sezioni Unite in commento, §3. Sulla evidente sperequazione tra le spese sostenute per dare attuazione al dettato normativo ed i deludenti risultati applicativi si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa e contabile; in particolare Tar Lazio, Sez. I ter, 24 maggio 2012, n. 4997; nonché la Relazione della Corte Conti, 13 settembre 2012 n. 11/2012/g.
[2] Con Convenzione stipulata tra il Ministero dell'Interno e Telecom erano stati inizialmente forniti quattrocento apparecchi, rimasti però quasi tutti inutilizzati. Successivamente, nel gennaio 2012, il Ministero dell'Interno ha provveduto a rinnovare la Convenzione con Telecom, portando a duemila unità il numero di dispositivi elettronici oggetto della fornitura.
[3] Nello specifico, il quesito di diritto rimesso alle Sezioni Unite era il seguente: «se il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con c.d. "braccialetto elettronico", o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilità di tale dispositivo elettronico, debba applicare la misura più grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari»; così Cass. sez. I, ord. 28 gennaio 2016 (dep. 11 febbraio 2016), n. 5799, Pres. Cortese, Rel. Cavallo, ric. Lovisi.
[4] Più precisamente, l'art. 275 bis c.p.p. venne introdotto con l'art. 16 comma 2 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni nella l. 19 gennaio 2001, n. 4. Per completezza, è solo il caso di ricordare che l'intervento legislativo prevedeva l'applicazione delle modalità di controllo con strumenti elettronici anche in fase esecutiva, con riguardo ai soggetti sottoposti a detenzione domiciliare (in allora, comma 4 bis dell'art. 47 ter ord. penit., ora recepito nell'art. 58 quinquies ord. penit.). La fonte normativa primaria era integrata con decreto del Ministero dell'Interno del 2 febbraio 2001, in Gazzetta Ufficiale, 15 febbraio 2001, n. 38.
[5] Sul punto Cesaris, Dal panopticon alla sorveglianza elettronica, in Bargis (a cura di), Il decreto antiscarcerazioni, Torino, 2001, 55 s. Per rilievi critici sulla modifica legislativa del 2000 si veda, tra gli altri, Giordano, Sulla gestione del controllo a distanza le prime incognite tecnico normative, in Guida dir., 2001, f. 9, 9.
[6] Il richiamo è al d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, recante "Misure urgenti in tema di diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria", convertito con modificazioni nella l. 21 febbraio 2014, n. 10.
[7] L'espressione è ripresa da Spangher, Brevi riflessioni sistematiche sulle misure cautelari dopo la l.n. 47 del 2015, in questa rivista, 6 luglio 2015, 1.
[8] Corte edu 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, in www.coe.int, condannando l'Italia per violazione dell'art. 3 Cedu, ha ravvisato altresì un più ampio e generalizzato problema di sovraffollamento ed ha sollecitato lo Stato italiano a risolverlo anche con l'applicazione di pene non privative della libertà personale e con l'adozione di misure volte a ridimensionare l'utilizzo della custodia cautelare in carcere, tra le quali viene specificamente individuato il controllo con sistemi di videosorveglianza.
[9] Tale lettura interpretativa, invero, non è univoca. Attenta dottrina, infatti, ha evidenziato come l'infelice riformulazione del comma 1 dell'art. 275 bis c.p.p. avrebbe determinato una significativa eterogenesi dei fini, invertendo il rapporto regola/eccezione tra la misura degli arresti domiciliari "semplici" e "controllati". Valentini, Arresti domiciliari e indisponibilità del braccialetto elettronico: è il momento delle Sezioni Unite, in questa rivista, 27 aprile 2016, 4, individua nell'aberratio ictus in cui è incorso il legislatore il rischio di una inversione del significato garantistico della motivazione dell'ordinanza cautelare.
[10] Più nello specifico, le Sezioni Unite in commento osservano che la modifica dell'art. 275 bis c.p.p. è «espressione di una chiara scelta del legislatore di puntare sulle modalità di sorveglianza elettronica in linea con le contemporanee prese di posizione in ambito europeo, rafforzando, nell'ottica di effettiva gradualità delle misure cautelari, il principio della custodia cautelare quale extrema ratio, attraverso l'incremento degli arresti domiciliari controllati»; così in motivazione, punto 4.1. Il richiamo, espresso, è anche alla Raccomandazione CM/REC (2014)4 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla Sorveglianza elettronica del 19 febbraio 2014.
[11] Pare, invero, che la l.n. 47/2015 si ponga in linea di stretta continuità con la più recente giurisprudenza costituzionale, che con una stagione di pronunce inaugurata nel 2010 (con sentenza n. 265 del 2010) e conclusasi proprio nel 2015 (con sentenza n. 48 del 2015) ha, a più riprese, dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 3 dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui prevedeva presunzioni assolute di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. La Corte costituzionale, in particolare, rilevava che il vulnus ai diritti fondamentali trovava ragione non già nella presunzione in sé ma nel suo carattere assoluto, determinando una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del minimo sacrificio necessario (così, nello specifico, da ultimo Corte cost., sent. n. 48 del 25 febbraio 2015, in www.cortecostituzionale.it, in motivazione, § 4).
[12] A seguito dell'intervento di cui alla l. 47/2015, il nuovo art. 292 comma 2 lett. c-bis) c.p.p. impone al giudice, a pena di nullità dell'ordinanza cautelare «in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione e l'autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure».
[13] Nella Relazione al d.d.l. di conversione del d.l. 341/2000 viene fatto espresso riferimento al braccialetto elettronico in termini di «nuovo strumento di controllo applicabile [...] alle misure già esistenti», precisando altresì che non si tratta di creare nuove misure alternative alla custodia cautelare in carcere. La specificazione poteva forse ritenersi superflua: come osserva Bressanelli, "Braccialetto elettronico": alle Sezioni Unite la questione della applicabilità della custodia cautelare in carcere in caso di accertata indisponibilità del dispositivo, in questa rivista, 4 aprile 2016, § 3, l'introduzione di una nuova misura cautelare con lo strumento della decretazione d'urgenza avrebbe determinato un insanabile contrasto con i principi costituzionali in tema di libertà personale.
[14] L'introduzione del controllo elettronico tra le "Disposizioni generali" del Capo I del Libro IV pareva, almeno in un primo momento, argomento "versatile", valorizzato anche a contrario, proprio per sostenere l'introduzione nel codice di rito di una nuova misura coercitiva. Diventerà, invece, indice univoco con la modifica legislativa di cui al d.l. 93/2013 che ha esteso l'applicazione di questa modalità di controllo anche alla misura di allontanamento dalla casa familiare.
[15] Si registra una suggestiva posizione contraria di parte della dottrina, che ricava dal nuovo onere motivazionale specifico di cui all'art. 275 comma 3 bis c.p.p. l'autonomia strutturale dell'art. 275 bis c.p.p.: gli arresti domiciliari "controllati" tutelano esigenze cautelari specifiche e distinte da quelle cui sono rispettivamente preposte la custodia cautelare in carcere e gli arresti domiciliari "semplici" e, quindi, integrano una misura specifica e giuridicamente distinta. Tra gli altri, Cisterna, Una figura autonoma da collocare in posizione mediana, in Guida dir.,2015, f. 44, 70 ss.
[16] Tra le altre Cass. sez. II, 19 giugno 2015, n. 28115, Candolfi, ced. n. 264230; Cass. sez. II, 10 novembre 2015, n. 46328, Pappalardo ed altro, ced. n. 265238.
[17] Oltre a ragioni di opportunità, che pongono il tema dell'inviolabilità della libertà personale degli individui su un piano distinto sia da quello delle «prestazioni pubbliche offerte ai cittadini», sia da quello dei necessari limiti alle risorse finanziarie dello Stato, è solo il caso di rilevare come anche da un punto di vista esclusivamente economico l'incentivo all'applicazione delle forme di controllo a distanza consentirebbe di ridurre i costi derivanti dal regime detentivo.
[18] Da ultimo, Cass. sez. I, 10 settembre 2015, n. 39529, Quici, ced. n. 264943.
[19] Più precisamente, si osserva a sostegno di questa interpretazione che il braccialetto elettronico «rappresenta una cautela che il giudice può adottare, se lo ritiene necessario, non già ai fini della adeguatezza della misura più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacità effettiva dell'indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, assumendo l'impegno di installare il braccialetto e di osservare le relative prescrizioni»; per la prima volta in Cass. sez. II, 29 ottobre 2003, Bianchi, n. ced 227582, poi ripresa da Cass. sez. II, 23 settembre 2014, Di Francesco, n. ced 261439 nonché da Cass. sez. I, 10 settembre 2015, Quici, cit.
[20] Confermerebbe questa impostazione anche la scelta del legislatore, in sede di conversione del d.l. 26 giugno 2014, n. 92, di non convalidare l'intervento di modifica dell'art. 97 bis disp. att. c.p.p., scelta dalla quale si ricaverebbe la volontà del legislatore di escludere la possibilità per il giudice di differire la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari "controllati". Critica, sul punto, Valentini, Arresti domiciliari cit., 9-10
[21] Sul punto, supra, nota 11.
[22] Così espressamente le Sezioni Unite in commento, § 5.1.
[23] Così la sentenza in commento, § 5.4.
[24] A fronte di situazioni simili, caratterizzate dalla adeguatezza della misura degli arresti domiciliari "controllati", la disponibilità o meno del braccialetto elettronico potrebbe comunque determinare in concreto effetti distinti e l'applicazione della custodia cautelare in carcere.
[25] Tanto è vero che, nel caso di specie, la Cassazione rigetta il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego della sostituzione della misura carceraria, rilevando che «il riferimento alla constatazione della indisponibilità del braccialetto elettronico rappresenta una considerazione solo rafforzativa sulla inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari "controllati"», in motivazione, § 6.
[26] Le Sezioni Unite in commento, in motivazione, § 3.
[27] Tra le chiavi di lettura della l. 47/2015, Spangher, Brevi riflessioni cit., 2, individua anche l'obiettivo di correggere alcune patologie del sistema, alla luce di orientamenti giurisprudenziali che si erano radicati attorno ad interventi delle Sezioni Unite (tra i quali il superamento della motivazione per relationem e l'attribuzione di specifici poteri di annullamento al Tribunale del riesame).
[28] Corte edu Torreggiani, nel condannare l'Italia per violazione dell'art. 3 Cedu, accerta che i detenuti ricorrenti erano stati sottoposti «ad una prova d'intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione».
[29] A parziale smentita di questa prospettiva, chiaramente espressa dalle Sezioni Unite in commento, potrebbero soccorrere alcuni argomenti spesi dall'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato (da ultimo, Cass. sez. I, 10 settembre 2015, n. 39529, Quici, cit., supra note 18, 19 e 20).