11 maggio 2016 |
Il diritto del terzo estraneo al giudizio di impugnare la sentenza che ha disposto la confisca dei beni: la parola alla Corte Costituzionale
Cass., Sez. I pen., ord. 14 gennaio 2016 (dep. 1 marzo 2016), n. 8317, Rel. Magi, Ric. Gatto
1. La prima Sezione della Corte di cassazione con il provvedimento che qui pubblichiamo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., delle norme contenute negli artt. 573, 579 co. 3 e 593 del codice di procedura penale nella parte in cui dette norme non consentono al terzo estraneo al reato ma titolare formale del diritto di proprietà sui beni confiscati di proporre appello avverso la sentenza di primo grado relativamente al capo contenente la statuizione di confisca.
2. In estrema sintesi questa la vicenda processuale da cui trae origine l'ordinanza della Cassazione.
In primo grado il giudice ha disposto la confisca, ai sensi dell'art. 12 sexies della legge n. 365/1992, di numerosi beni (unità immobiliari urbane, quote sociali, terreni agricoli, autovetture) formalmente intestati a soggetti terzi estranei al reato - rispettivamente il coniuge, i figli e la madre dei due imputati - ma ritenuti nella disponibilità di fatto degli stessi imputati.
I terzi intestatari formali dei beni hanno proposto appello contro la decisione del giudice di prime cure ma la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile il relativo atto di impugnazione confermando la statuizione di confisca emessa in primo grado.
3. La declaratoria di inammissibilità è stata pronunciata dal giudice di secondo grado in ossequio a un indirizzo giurisprudenziale consolidato - tale da poter essere considerato diritto vivente - in base al quale non potrebbe riconoscersi al terzo, titolare formale del diritto di proprietà sul bene oggetto di confisca, la legittimazione a impugnare il capo della sentenza di primo grado relativo alle misure di sicurezza patrimoniali.
Tale indirizzo giurisprudenziale si fonda, secondo la comune interpretazione, su una pluralità di argomenti che vengono puntualmente ricostruiti nell'ordinanza della Suprema Corte qui pubblicata.
Viene innanzitutto in rilevo il principio di tassatività delle impugnazioni che riguarda - si afferma - anche la identificazione dei soggetti legittimati a proporle. L'art. 568 co. 1 c.p.p. dispone infatti che «il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce».
Vengono poi richiamate la previsione dell'art. 573 co. 1 c.p.p., secondo cui «l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale», e la previsione dell'art. 579 co. 3 c.p.p., secondo cui «l'impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca è proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali». Entrambe le disposizioni imporrebbero - in virtù del citato principio di tassatività delle impugnazioni - la necessità individuare una norma nel codice di procedura penale che facoltizzi il soggetto terzo, non raggiunto da alcuna imputazione penale ma colpito dal provvedimento di confisca, a proporre appello avverso la decisione di primo grado. Norma che, tuttavia, non è presente nel codice di rito.
Vengono infine in rilievo l'art. 593 c.p.p. nella parte in cui non menziona espressamente tra i titolari della facoltà di proporre appello il terzo intestatario formale dei beni assoggettati a confisca; nonché le disposizioni che - per converso - riconoscono tale facoltà alla parte civile (art. 576 c.p.p.) e al responsabile civile (art. 575 c.p.p.), categorie soggettive cui non può ritenersi assimilabile quella del terzo inciso nel diritto di proprietà in seguito a un provvedimento di confisca.
4. Secondo l'orientamento giurisprudenziale testé illustrato, il terzo potrebbe far valere le proprie ragioni nel processo penale impugnando il provvedimento cautelare di sequestro (cfr. art. 324 c.p.p.) oppure, durante il procedimento di primo grado, proponendo separata istanza di restituzione, eventualmente reclamabile ex art. 322 bis c.p.p.
Una volta pronunciata sentenza di primo grado, invece, il terzo potrebbe far valere le proprie ragioni solamente dopo la formazione del giudicato di condanna promuovendo incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 676 c.p.p.
5. Avverso la decisione della Corte d'appello hanno proposto ricorso per cassazione i terzi intestatari dei beni sottoposti a confisca, sostenendo - tra le altre cose - che la disciplina in tema di impugnazioni, per come correntemente interpretata dalla giurisprudenza, precludendo al titolare del diritto di proprietà di intervenire nel giudizio d'appello, si porrebbe in contrasto con diverse disposizioni della Carta costituzionale (segnatamente, gli artt. 3, 24 e 42 Cost. e l'art. 6 CEDU).
La prima Sezione della Suprema Corte investita del ricorso ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata e ha conseguentemente trasmesso gli atti alla Corte costituzionale.
6. Nessun dubbio circa la rilevanza della questione, posto che la Suprema Corte è chiamata ad applicare proprio le norme di cui si sospetta la legittimità costituzionale.
L'applicazione delle suddette disposizioni porterebbe infatti alla conferma della valutazione di inammissibilità dell'impugnazione proposta dai terzi avverso la sentenza di primo grado. Laddove risultasse fondato, invece, il dubbio in ordina alla compatibilità dell'attuale disciplina normativa con il dettato costituzionale, «la conseguenza immediata - osservano i giudici della Cassazione - sarebbe quella, favorevole ai ricorrenti, di ribaltare il fondamento della decisione impugnata (nel senso della inammissibilità degli atti d'appello) con l'ulteriore profilo di inevitabile accoglimento del ricorso per carenza di motivazione sui contenuti specifici delle doglianze (non esaminati in secondo grado in virtù della ritenuta assenza di legittimazione ad impugnare)».
7. La Suprema Corte ritiene altresì che la questione non sia manifestamente infondata, evidenziando un possibile contrasto dell'attuale assetto normativo in tema di impugnazioni con gli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost., nonché con la previsione dell'art. 117 Cost., in riferimento a quanto disposto dagli artt. 6 § 1, 13, e 1 prot. add. della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
7.1. Un primo argomento posto a fondamento del giudizio di non manifesta infondatezza è di natura sistematica e poggia - in particolare - sul confronto tra la posizione del terzo intestatario del bene raggiunto da un provvedimento di sequestro funzionale a confisca allargata ex art. 12 sexies e quella del terzo raggiunto invece da sequestro funzionale a confisca di prevenzione.
La posizione in cui si trova il soggetto colpito dal provvedimento ablatorio è analoga nelle due ipotesi di confisca: il titolare formale del bene infatti è estraneo al reato come alla condizione di pericolosità che giustifica la misura di prevenzione. Tuttavia, i margini di tutela riconosciuti al proprietario del bene sono diversi: mentre in sede di prevenzione è previsto un vero e proprio diritto del terzo a partecipare al procedimento e un suo autonomo potere di impugnazione del provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado (cfr. art. 23 co. 2 e 3, e art. 27 co. 1 d.lgs. n. 159/2011), in sede di confisca ex art. 12 sexies è prevista la mera facoltà di proporre impugnazione avverso il sequestro nel corso delle indagini preliminari o di proporre istanza fuori udienza tesa alla restituzione del bene nel corso del giudizio, ma non la facoltà di proporre appello avverso la decisione di primo grado.
Si palesa pertanto - rilevano i giudici della Cassazione - un'obiettiva diversità del livello di tutela offerto dall'ordinamento al medesimo diritto (quello di proprietà), che non sembra trovare però alcuna giustificazione in termini di ragionevolezza ai sensi dell'art. 3 Cost.
7.2. All'argomento di tipo sistematico, se ne aggiunge poi un secondo che fa leva invece sulla «complessiva "qualità" della tutela».
L'omessa previsione in capo al terzo della facoltà di impugnare la sentenza determina un deferimento della tutela che - ad avviso della Suprema Corte - pone un dubbio di compatibilità con il parametro dell'effettività del diritto di difesa, con conseguente lesione degli artt. 24 e 42 Cost., nonché con i principi di cui agli artt. 6 co. 1, 13 e 1 prot. add. Convenzione europea, per come interpretati dalla giurisprudenza della Corte EDU.
La mancata possibilità di contestare il fondamento del provvedimento di confisca nel giudizio di secondo grado - dimostrando, in particolare, la non fittizietà dell'acquisto del bene - pone il terzo in una condizione di carenza di tutela effettiva: costui vede aggredito in sede penale il proprio diritto di proprietà ma non ha facoltà di intervenire in quella sede per tutelare appieno il proprio diritto.
L'attuale assetto normativo - si legge nell'ordinanza in commento - determina anche un'irragionevole «asimmetria» del potere di tutela, posto che i poteri di reazione riconosciuti al terzo si riducono quando la probabilità di privazione del diritto di proprietà in via definitiva è maggiore. Nel corso delle indagini preliminari e durante il giudizio di primo grado, infatti, il terzo può far valere dinnanzi al giudice i propri diritti sui beni sequestrati; ma allo stesso è precluso di rivolgersi all'autorità giudiziaria dopo la sentenza di primo grado e fino alla formazione del giudicato.
Ciò rilevato, i giudici di legittimità dubitano che la «intermittenza» della tutela accordata al terzo - che può impugnare il decreto di sequestro e formulare istanze restitutorie durante il giudizio di primo grado, ma non può appellare la sentenza potendo soltanto proporre incidente di esecuzione dopo la formazione del giudicato - sia «razionalmente giustificata e compatibile con i principi del giusto processo».
7.3. Peraltro, osservano in chiusura i giudici della Suprema Corte, lo strumento dell'incidente di esecuzione - che è il solo rimedio cui il terzo ha facoltà di accedere dopo la sentenza di primo grado - è per sua natura inidoneo a garantire la pienezza dei diritti difensivi. Tale strumento, nato per finalità affatto diverse, «realizza solo in via mediata il diritto alla prova del soggetto istante»; e risulta inevitabilmente influenzato dalla decisione irrevocabile posta a monte, «nel cui ambito ben potrebbero essere stati presi in esame - senza contradditorio effettivo con il titolare formale del diritto di proprietà - profili di ricostruzione probatoria e valutativi rilevanti anche in rapporto alla condizione giuridica del terzo».