ISSN 2039-1676


14 marzo 2011

Il diritto ad un ricorso effettivo tra Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e CEDU

Nota alle Conclusioni dell'Avvocato Generale Cruz Villalà³n in data 1.03.2011 nella causa C69/10 Brahim Samba Diouf (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo del Gran Ducato di Lussemburgo)

SOMMARIO
 
1. Il mosaico della tutela mutilevel dei diritti fondamentali: un nuovo tassello?
2. Il fatto e le questioni pregiudiziali
3. L’emblematica reimpostazione delle questioni pregiudiziali ad opera dell’Avvocato Generale
4. I rapporti tra la Carta e la Convenzione nelle conclusioni dell’Avvocato Generale
5. Sulla compatibilità tra l’art. 39 direttiva 2005/85/CE e la normativa interna: brevi cenni
6. Una “tendenziale” autonomia della Carta dei diritti fondamentali
 
 
1. Il mosaico della tutela mutilevel dei diritti fondamentali: un nuovo tassello?
 
Le conclusioni presentate dall’Avv. Gen. Pedro Cruz Villalón il 1 marzo 2011 nella causa Brahim Samba Diouf meritano di essere segnalate poiché aggiungono un importante tassello al complesso mosaico della tutela multilivel dei diritti fondamentali, cui la dottrina ha già dedicato da tempo grande attenzione, abbozzando una ricostruzione «integrata delle varie espressioni di diritto positivo che (…) contribuiscono a definire un diritto fondamentale» (§ 2 delle conclusioni).
 
In particolare vengono delineati i rapporti che la Carta dei diritti fondamentali intrattiene, da un canto con il diritto derivato dell’Unione Europea e, dall’altro, con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. In questa sede rileva, nello specifico, la ricostruzione della relazione tra gli art. 6, § 1 e 13 della Convenzione e l’art. 47 della Carta, relativo al diritto ad un ricorso effettivo.
 
Al di là della materia oggetto della pronuncia che riguarda il tema del diritto di asilo e della protezione internazionale del cittadino extracomunitario, le conclusioni - e ancor di più la decisione della Corte di Giustizia che verrà –, nella parte in cui delineano i nuovi assetti interordinamentali, rappresentano anche per il penalista un tema di indiscutibile interesse, a causa degli effetti che potrebbero conseguire dall’impostazione in generale accolta, in primis, sotto il profilo della legalità e, poi, in senso più ampio, sotto il versante della tenuta degli altri principi e diritti fondamentali nei confronti degli ‘straripamenti’ del diritto penale. 
 
 
2. Il fatto e le questioni pregiudiziali
 
Prima di focalizzare l’attenzione sul percorso argomentativo seguito dall’Avvocato generale in relazione alla problematica in ultimo brevemente descritta, appare opportuno illustrare, seppur per sommi capi, le vicende di fatto e le questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale lussemburghese dinanzi alla Corte di Giustizia.
 
Il sig. Samba Diouf, cittadino della Mauritania, presentava presso l’ufficio competente del Ministero degli Affari esteri e dell’Immigrazione del Granducato di Lussemburgo una domanda di protezione internazionale che, al termine di un procedimento accelerato, veniva respinta, ai sensi dell’art. 20, lett. b) e d), della legge 9 maggio 2006, sul diritto di asilo e forme complementari di protezione, poiché il richiedente, per un verso, aveva presentato un passaporto falsificato, inducendo in errore le autorità e, per altro verso, aveva invocato ragioni di natura economica che non giustificavano la protezione internazionale.
 
Contro tale provvedimento veniva presentato un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo del Lussemburgo con il quale veniva chiesto l’annullamento della decisione che aveva applicato il procedimento d’urgenza, la riforma o l’annullamento della decisione con cui era stata rifiutata la protezione internazionale al ricorrente e l’annullamento dell’ordine di lasciare il territorio.
Il giudice amministrativo, ritenendo che l’art. 20, n. 5, della summenzionata legge ponesse dei dubbi circa l’interpretazione dell’art. 39 della direttiva 2005/85/CE (recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato), in relazione al diritto ad un ricorso effettivo, laddove non ammetteva la possibilità di impugnare la decisione di giudicare con un procedimento accelerato sulla fondatezza di una domanda di protezione, sollevava dinanzi alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali consecutivecon le quali chiedeva se il citato art. 39 o, in subordine, il principio generale del diritto ad un ricorso effettivo ispirato dagli artt. 6 e 13 CEDU, ostassero ad una normativa nazionale che non prevedeva un rimedio giurisdizionale contro una decisione amministrativa con il quale l’esame di una domanda di protezione internazionale veniva sottoposta a procedimento accelerato.
 
 
3. L’emblematica reimpostazione delle questioni pregiudiziali ad opera dell’Avvocato Generale
 
Nell’ambito delle conclusioni, l’Avvocato Generale ha, in via preliminare, reimpostato le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice lussemburghese (§§ 29-34 Concl.).
 
Prima di tutto, ha invertito l’ordine di analisi dei quesiti posti. Difatti, solo dopo che è stato fugato ogni dubbio sulla conformità del contenuto dell’art. 39 alla previsione dell’art. 47 CDFUE e, «indirettamente» (§ 34), agli artt. 6 § 1 e 13 CEDU, può essere risolta la questione formulata in via principale sulla compatibilità tra la norma interna e la disposizione della direttiva.
 
Inoltre, ha riformulato la seconda questione pregiudiziale (§ 34), ponendo quale oggetto diretto della valutazione l’eventuale contrasto tra l’art. 39 della direttiva e l’art. 47 CDFUE che, a differenza delle norme convenzionali, è un parametro normativo non presente nella formulazione letterale della questione pregiudiziale.
 
Tali operazioni, al di là dei percorsi argomentativi singolari che le sorreggono, si saldano in modo emblematico con la dichiarazione d’intenti espressa dall’Avvocato Generale nei primi due paragrafi: le file rouge delle conclusioni è, infatti, il tentativo di ricostruzione del sistema delle fonti in ambito europeo ponendo al centro del quadro normativo un nuovo soggetto: la Carta.
 
 
4. I rapporti tra la Carta e la Convenzione nelle conclusioni dell’Avvocato Generale
 
Individuate alcune coordinate di fondo delle conclusioni in commento, ci si può soffermare sulla ricostruzione delle relazioni tra la Carta e la Convenzione in tema di diritto ad un ricorso effettivo, lasciando temporaneamente dietro le quinte il diritto derivato dell’Unione Europea.
 
A tal riguardo, l’Avvocato generale, dopo aver evidenziato che, «secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, la tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è stato sancito dall’art. 6 CEDU», ha sottolineato che, tale diritto, «essendo stato recepito dall’art. 47 CDFUE, (…) ha acquistato, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lo stesso valore giuridico dei Trattati, come enuncia l’art. 6, n. 1, TUE, e deve pertanto essere rispettato dagli Stati membri quando applicano il diritto dell’Unione (art. 51, n. 1, CDFUE)» (§§ 36 e 37 Concl.). Il diritto ad un ricorso effettivo è pertanto di rango primario nell’ambito dell’Unione.
 
Su tali basi si ritiene che, «in forza, tanto dell’art. 6, n. 1, terzo comma, TUE, quanto dell’art. 52, n. 7, CDFUE, ai fini dell’interpretazione dell’art. 47 CDFUE, è necessario prendere in considerazione le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, elaborate inizialmente dal presidium che ha redatto la Convenzione: tale documento si limita a dichiarare che il primo comma dell’art. 47 CDFUE si basa sull’art. 13 CEDU, mentre il secondo comma corrisponde all’art. 6, n. 1, CEDU, in entrambi i casi presentando una portata più ampia» (§ 38 Concl.).
 
Tuttavia, precisa l’Avvocato generale, «al di là del valore interpretativo di tali Spiegazioni, essendo stato proclamato diritto dell’Unione mediante l’art. 47 CDFUE, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, come viene enunciato da tale disposizione, ha acquistato un’identità ed una essenza proprie, proiettandosi al di là della mera sommatoria degli enunciati di cui agli artt. 6 e 13 CEDU. In altri termini, il diritto fondamentale in parola viene ad acquistare, quale diritto sancito e garantito dall’ordinamento dell’Unione, un contenuto proprio, nella definizione del quale giocano un ruolo fondamentale non soltanto gli strumenti internazionali cui tale diritto si ispira, tra i quali, in primis, la CEDU, ma anche le tradizioni costituzionali da cui tale diritto deriva, e, con esse, l’universo concettuale dei principi che caratterizzano lo Stato di diritto. Tutto ciò senza rinnegare in nessun caso la propria tradizione rappresentata dall’acquis comunitario affermatosi da più di mezzo secolo, che ha dato luogo, quale sistema normativo, allo sviluppo di una dottrina sui principi che gli sono propri» (§ 39 Concl.).
 
Il passaggio centrale dell’argomentazione consiste – poggiandosi su tale premesse – nell’escludere che la Carta ‘restringa’ i diritti: ed infatti «è difficilmente ammissibile che, laddove l’art. 47, n. 1, CDFUE si ispira alla suddetta disposizione, stia per ciò stesso anche limitando la propria portata, esclusivamente, ai diritti garantiti dalla CDFUE» (§ 40 Concl.).
 
Tirando le fila del discorso «il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto dall’art. 47 CDFUE deve essere definito con riferimento al significato e alla portata conferita (…) dalla CEDU (art. 52, n. 3, CDFUE); tuttavia, una volta precisato, l’ambito di applicazione (…) deve essere quello stabilito dalla CDFUE» (§ 40). D’altra parte, la Carta, «in forza del medesimo art. 52, n. 3, CDFUE, può sempre concedere una tutela più estesa di quella della CEDU» (nt. 6 Concl.).
 
Premesso ciò, l’Avvocato generale, in relazione al caso de quo, ha sottolineato che l’art. 47 CDFUE, per quanto concerne il profilo relativo all’accesso alla giustizia, garantisce – quale minimum standard – il diritto ad un ricorso effettivo nella dimensione in concreto definita dalla Corte di Strasburgo (§ 43 Concl.).
 
In conclusione, l’art. 39 della direttiva europea, garantendo espressamente al soggetto che chiede asilo il «diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice», è stato ritenuto conforme all’art. 47 CDFUE «e, quindi, indirettamente», al diritto ad un ricorso effettivo convenzionalmente previsto (§ 46 Concl.).
 
In particolare, la disposizione della direttiva è stata ritenuta confacente ai presupposti di validità imposti ad ogni norma di diritto derivato dall’art. 6, n. 1, TUE in relazione ad «entrambi i livelli sui quali deve articolarsi l’azione dell’Unione: da un lato, nell’esercizio della propria competenza normativa in materia (…); dall’altro, obbligando gli Stati membri ad adempiere il proprio compito» (§ 47 Concl.)
 
 
5. Sulla compatibilità tra l’art. 39 direttiva 2005/85/CE e la normativa interna: brevi cenni
 
Per quanto concerne la seconda questione, l’Avvocato Generale, al termine del percorso argomentativo, è pervenuto a sostenere che «l’art. 39 della direttiva 2005/85/CE non osta ad una norma nazionale, come quella introdotta nel Granducato di Lussemburgo dall’art. 20, n. 5, della legge 5 maggio 2006, (…) in applicazione della quale un richiedente asilo non dispone di un mezzo di ricorso giurisdizionale autonomo avverso la decisione dell’autorità amministrativa che ha sottoposto a procedimento accelerato la sua domanda di protezione internazionale, purché i motivi di rigetto della domanda, la valutazione della quale sia stata anticipata dalla decisione relativa al procedimento, possano essere effettivamente contestati dinanzi al giudice nell’ambito di un ricorso, di cui, in ogni caso, deve poter formare oggetto la decisione ultima adottata in esito al procedimento di esame della domanda di asilo» (§ 67 Concl.)
 
 
6. Una “tendenziale” autonomia della Carta dei diritti fondamentali
 
La conclusione prospettata, da un lato, conferma che, a seguito dell’introduzione della Carta, i diritti fondamentali in essa consacrati sono assurti, se già in precedenza non lo erano, a rango di diritto primario dell’Unione e, dall’altro lato, sembra ricostruire i rapporti tra la CDFUE e la CEDU nei termini di una “tendenziale” autonomia.
 
Per quanto concerne, nello specifico, il diritto ad un ricorso effettivo, la Corte di Giustizia avrà il compito di verificare che le previsioni di fonte europea, adottate nell’ambito delle competenze penali ad essa attribuita, che vincolano i legislatori interni, siano conformi a questo e agli altri diritti fondamentali sanciti nella CDFUE.
 
E’ dato rimarcare, inoltre, che ai fini della soluzione delle questioni pregiudiziali non è emersa, nell’ambito delle conclusioni, una difformità tra i contenuti delle norme previste nelle due carte europee dei diritti fondamentali in grado di incidere, nel concreto, in maniera antitetica sulla validità delle disposizioni di diritto derivato dell’Unione Europea.
 
In definitiva, il tema dei rapporti tra i diritti riconosciuti nelle Carte fondamentali e negli altri strumenti normativi interni, europei ed internazionali, che si delineano in action per effetto di un «dialogo» tra i giudici, meritano una costante attenzione per gli inevitabili impatti che determinano direttamente o indirettamente in materia penale.