ISSN 2039-1676


19 dicembre 2016

La Consulta respinge le censure di illegittimità costituzionale della c.d. legge Severino in materia di sospensione dalle cariche politiche in conseguenza di sentenze di condanna

Corte cost., sent. 16 dicembre 2016, n. 276, Pres. Grossi, Rel. De Pretis

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Con la sentenza in epigrafe, la Corte costituzionale respinge le censure di illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni relative alla sospensione delle cariche politiche nelle regioni e negli enti locali in caso di condanna non definitiva per determinati reati contenute nel d.lgs. 235/2012 (c.d. legge Severino) sollevate dai Tribunali di Messina e di Napoli e dalla Corte d’appello di Bari.

In attesa di potere ospitare un articolato commento della sentenza, che ne ricostruisca anche il complesso iter motivazionale – che conduce ora a dichiarazioni di inammissibilità, ora di infondatezza delle questioni sollevate –, segnaliamo soltanto che le questioni concernevano a) un asserito eccesso di delega, in violazione dell’art. 76 Cost.; b) l’asserita violazione del principio di legalità e irretroattività in materia penale di cui agli artt. 25 co. 2 e 117 co. 1 Cost. (quest’ultimo in riferimento all’art. 7 Cedu); c) l'efficacia retroattiva delle norme in questione rispetto a reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge, in asserita violazione degli artt. 2, 4 co. 2, 51 e 97 co. 2 Cost.; d) un’asserita disparità di trattamento tra gli eletti ai consigli regionali e gli eletti al Parlamento nazionale ed europeo, in violazione degli artt. 3, 51, 76 e 76 Cost.

Particolarmente interessante, dal punto di vista del penalista, è ovviamente la risposta della Corte al secondo profilo di censura, concernente per l’appunto il nullum crimen e i suoi corollari in materia di applicazione della legge penale nel tempo.

Secondo la prospettiva dei giudici remittenti, le norme censurate violerebbero tale principio, nella sua dimensione costituzionale e convenzionale, nella misura in cui la loro applicazione non è limitata alle sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore.

Dopo aver ribadito la propria giurisprudenza, secondo cui tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto anche in forza dell’art. 25 co. 2 Cost., oltre che dell’art. 7 Cedu (sent. n. 196/2010; 104/2014), la Corte esclude tuttavia che il principio di irretroattività – valido per le pene e per le misure amministrative di carattere punitivo-afflittivo – debba trovare applicazione anche rispetto alle disposizioni ora censurate, in relazione alla natura “non punitiva” di quanto in esse previsto. Come già ritenuto dalla Corte nella recente sent. n. 236/2015 in relazione alle medesime misure relative alla incandidabilità, decadenza e sospensione previste dalla legge Severino, ltali misure appresentano infatti non già una ulteriore sanzione per le condotte già sanzionate nell’ambito del precedente procedimento penale, ma semplicemente il “venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate” (§ 5.2).

Tale conclusione rimane ferma, secondo la Consulta, anche alla luce dell’art. 7 Cedu. Sul punto, la sentenza verifica se le norme impugnate possano ritenersi di natura ‘sostanzialmente penale’ alla luce dei notissimi criteri Engel, in particolare sotto il profilo della natura della misura e dalla sua gravità per l’interessato: ribadendo, sotto il primo profilo, che la sospensione della carica non ha alcuna finalità punitiva, bensì il mero scopo di “tutelare la pubblica funzione in attesa che l’accertamento penale si consolidi nel giudicato”, ciò che “trova il suo fondamento nella valutazione, compiuta dal legislatore, delle condizioni che sconsigliano provvisoriamente la permanenza dell’eletto in una determinata carica pubblica, al fine di sottrarre l’ufficio a dubbi sulla onorabilità di chi lo riveste che potrebbero metterne in discussione il prestigio e pregiudicarne il buon andamento”; e osservando, sotto il secondo profilo, che la circoscritta durata temporale della sospensione (diciotto mesi) ne evidenzia la “limitata severità”, con conseguente inidoneità della misura a essere assimilata a una sanzione con finalità deterrente o punitiva. (F. V.)