ISSN 2039-1676


16 gennaio 2017 |

La concessione della provvisionale richiesta per la prima volta in appello non viola né il principio devolutivo né il divieto di reformatio in peius

Nota a Cass., SSUU, sent. 27 ottobre 2016 (dep. 15 dicembre 2016), n. 53153, Pres. Canzio, Est. Montagni

Contributo pubblicato nel Fascicolo 1/2017

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1.  Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che «la sentenza di appello che accolga la richiesta di una provvisionale proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non appellante non viola il principio devolutivo né il divieto di reformatio in peius».

La vicenda processuale che ha dato luogo all’affermazione di tale principio di diritto è facilmente riassumibile: all’esito di un giudizio abbreviato, il G.I.P. presso il Tribunale di Pavia aveva pronunciato sentenza di condanna per i delitti di cui agli artt. 609-bis e 609-quater c.p.; in assenza di specifica richiesta di provvisionale, lo stesso giudice aveva condannato l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da determinarsi in separato giudizio ai sensi dell’art. 539, comma I, c.p.p.. Contro la sentenza di primo grado veniva proposto appello da parte del solo imputato ma, nel corso dell’udienza avanti alla Corte d’Appello di Milano, la difesa della parte civile – rappresentando le sopravvenute difficoltà economiche della propria assistita – aveva chiesto ed ottenuto il riconoscimento di una provvisionale pari ad € 30.000. Con l’odierno ricorso per cassazione, la difesa dell’imputato lamenta la violazione dell’art. 597 c.p.p. in relazione al divieto di reformatio in peius, essendo stata concessa una provvisionale in favore della parte civile senza che quest’ultima proponesse autonomo atto d’appello e, dunque, in violazione del principio devolutivo.

La Terza Sezione della Corte, rilevando un contrasto interpretativo sulla questione sollevata dalla difesa, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite[1].

 

2. Il Supremo Collegio osserva immediatamente come non sia effettivamente delineabile un contrasto giurisprudenziale in relazione alla specifica questione proposta dalla sezione rimettente, evidenziando – al contrario – come diverse sentenze di legittimità si fossero già concordemente espresse affermando, da una parte, il diritto della parte civile di giovarsi della pronuncia di condanna generica ottenuta in primo grado attraverso una richiesta di provvisionale in appello e, d’altra parte, il dovere per il giudice d’appello di pronunciarsi su tali “inedite” istanze di provvisionale[2].

Le Sezioni Unite, piuttosto, individuano un contrasto con riferimento ad altre due questioni, prodromiche e strettamente correlate con quella oggetto del quesito loro rivolto: la prima, relativa alla concedibilità della provvisionale (sia in primo grado che in appello) in assenza di apposita richiesta della parte civile; la seconda, incentrata sulla possibilità per il giudice d’appello di modificare la somma già liquidata a titolo di provvisionale dal giudice di primo grado. Secondo la Corte, le due questioni poc’anzi richiamate coinvolgono problematiche relative all’ambito funzionale del principio devolutivo e del divieto di reformatio in peius e, perciò, assumono sicuro rilievo anche in riferimento al quesito posto all’attenzione delle Sezioni Unite.

 

3. Le Sezioni Unite, preliminarmente, chiariscono come la questione qui di interesse non si possa porre nei casi in cui il giudice di primo grado abbia disatteso l’esplicita richiesta di provvisionale avanzata dalla parte civile ovvero abbia omesso di pronunciarsi sulla medesima richiesta: in tali evenienze, la mancata statuizione della provvisionale costituisce un punto della sentenza contro il quale la parte civile interessata avrà l’onere di proporre impugnazione. Su questi presupposti, non si può che osservare come le problematiche in esame trovino spazio solamente nelle differenti occasioni in cui, nel giudizio di primo grado, la questione relativa alla provvisionale non si sia mai affrontata.

Posto ciò, la Suprema Corte provvede a comporre i due contrasti giurisprudenziali da lei stessa evidenziati:

- quanto alla prima questione, le Sezioni Unite – richiamando i criteri di interpretazione letterale recentissimamente riepilogati dalla sentenza SSUU Schirru[3] – aderiscono all’orientamento secondo il quale la concessione della provvisionale ex officio deve ritenersi vietata, evidenziando come il dato normativo dell’art. 539, comma 2, c.p.p. limiti chiaramente il ricorso a tale istituto ai casi di richiesta esplicita della parte civile; tale disposizione, in particolare, dovrà trovare applicazione anche nel giudizio d’appello, in virtù del rinvio operato dall’art. 598 c.p.p.;

- per la soluzione della seconda questione, invece, la Corte richiama i principi dell’azione civile nel processo civile[4]: le Sezioni Unite penali, specificamente, ricordano come lo stesso Supremo Collegio, pronunciandosi in sede civile, abbia evidenziato che «si ha domanda nuova soltanto se si amplia il petitum o si introduce nel giudizio una pretesa avente presupposti distinti da quelli di fatto della domanda originaria»[5] e che, proprio per questo motivo, «la richiesta di provvisionale non costituisce una nuova domanda, in quanto rientrante nell’ambito della originaria domanda di condanna»[6]. Su queste basi, dunque, le Sezioni Unite – richiamando anche il principio di immanenza della parte civile nel processo penale[7] – accolgono l’orientamento secondo cui, nel giudizio di appello, la richiesta di modifica (o, similmente, di concessione ex novo) della provvisionale non determina violazione né del principio devolutivo né del diritto di interlocuzione dell’imputato, il quale avrà sempre e comunque spazio per il contraddittorio: dunque, una decisione del giudice d’appello che accogliesse una richiesta della parte civile nel senso poc’anzi descritto deve senz’altro ritenersi legittima.

 

4. La Corte, da ultimo, esclude altresì la sussistenza – nei casi di specie – di una violazione del divieto di reformatio in peius, evidenziando come la quasi totalità delle pronunce di legittimità abbia sempre sostenuto che tale divieto sia riferibile solamente alle statuizioni penali della sentenza impugnata[8]; questi orientamenti, in particolare, appaiono indiscutibili ricordando che «nell’ambito del divieto peggiorativo, normativamente definito, si rinvengono diverse ipotesi […] che involgono unicamente le statuizioni penali della decisione»[9].

 

[1] L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite – Cass., sez. III, ord. 27 aprile 2016 (dep. 13 luglio 2016), n. 29398 – è già stata pubblicata dalla nostra Rivista il 28 ottobre 2016, in allegato all’informazione provvisoria relativa alla sentenza qui commentata.

[2] I riferimenti sono alle seguenti pronunce: Cass., sez. III, sent. 9 marzo 2016, n. 35570; Cass., sez. I, sent. 2 febbraio 2011, n. 17240; Cass., sez. III, sent. 7 maggio 2015, n. 42684.

[3] Cass., SSUU, sent. 29 settembre 2016 (dep. 7 novembre 2016), n. 46688, già pubblicata dalla nostra Rivista con commento – al quale sia consentito il rinvio – di E. Andolfatto, Abolitio criminis e nuovi illeciti puniti con sanzione pecuniaria civile: le Sezioni Unite negano la possibilità per il giudice dell’impugnazione di pronunciarsi sulle statuizioni civili.

[4] Il Supremo Collegio, sul punto, si è premurato di osservare come i principi civilistici debbano ritenersi validi anche nell’ambito dell’azione civile esercitata nel processo penale, pur rammentando le peculiarità della costituzione di parte civile rispetto alla principale disciplina processual-civilistica (cfr. i rinvii operati dalla sentenza in commento a C. Cost. 12/2016).

[5] Così la risalente ma tuttora condivisa Cass. civ., SSUU, sent. 7 aprile 1965, n. 592.

[6] In questo senso, in applicazione della sentenza SSUU civ. 592/1965 poc’anzi richiamata, si è espressa Cass. civ., sez. III, sent. 6 ottobre 1970, n. 1798; le Sezioni Unite, a questo proposito, hanno sottolineato che «la provvisionale non può essere qualificata come statuzione parziale, definitiva in parte qua, [ma] è ontologicamente funzionale a soddisfare le esigenze di anticipazione della liquidazione del danno, in favore della parte civile, insorte per effetto della durata del processo».

[7] Le Sezioni Unite, con riferimento al principio di immanenza della parte civile, ricordano la pronuncia Cass., SSUU, sent. 10 luglio 2002, n. 30327, secondo la quale il giudice di secondo grado che, su impugnazione del solo Pubblico Ministero, condanni l’imputato assolto in primo grado deve comunque decidere anche sulla domanda risarcitoria originariamente spiegata dalla parte civile; in conseguenza di ciò, la sentenza in commento osserva come «il principio di immanenza della parte civile [come delineato dalla sentenza testé richiamata, n.d.a.] induca a rilevare che l’impugnazione proposta dall’imputato devolve al giudice di appello anche la cognizione sulla domanda risarcitoria».

[8] Il ricco insieme di rinvii operati dalle Sezioni Unite comprende le seguenti pronunce: Cass., sez. III, sent. 9 marzo 2016, n. 35570; Cass., sez. V, sent. 18 maggio 2015, n. 25520; Cass., sez. III, sent. 7 maggio 2015, n. 42684; Cass., sez. I, sent. 2 febbraio 2011, n. 17240; Cass., sez. VI, sent. 23 settembre 2009, n. 38976; Cass., sez. IV, sent. 11 gennaio 1990, n. 3171.

[9] A questo proposito, giova ricordare il dettato normativo dell’art. 597, comma III, c.p.p., nel quale sono effettivamente enumerate solamente ipotesi relative a statuizioni di carattere penale e non civile: «Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado».