ISSN 2039-1676


17 marzo 2017 |

Brevi riflessioni su un particolare caso di omicidio ritenuto scriminato dalla "legittima difesa domiciliare putativa incolpevole"

Nota a Corte d’Assise di appello di Brescia, sent. 12 febbraio 2016 (dep. 5 maggio 2016), n. 17118, Pres. Est. Fischetti, Imp. Cerioli

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2017

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1. Con la pronuncia qui pubblicata la Corte d’assise di appello di Brescia ha riconosciuto l’applicabilità della legittima difesa domiciliare putativa incolpevole all’accidentale uccisione di un ladro, attinto da due colpi di pistola esplosi dall’aggredito a soli fini intimidatori.

La sentenza in commento fornisce un utile spunto di riflessione sulla non facile qualificazione giuridica di fatti che, a fronte delle peculiari modalità di svolgimento dell’azione, sembrano realizzare quelle ipotesi solitamente confinate ai “casi di scuola”.

 

2. Questi i fatti, così come ricostruiti nel giudizio abbreviato di primo grado – già conclusosi in udienza preliminare con una sentenza di assoluzione per “legittima difesa domiciliare” – e in appello.

L’imputato, proprietario di una villetta – composta al piano inferiore da un negozio di articoli da giardinaggio e, a quello superiore, dalla propria abitazione –, veniva svegliato nel cuore della notte dallo scattare dell’allarme, accompagnato dal suono di ripetuti colpi inferti alla porta dell’esercizio commerciale. Chiedeva allora alla figlia di chiamare il pronto intervento e si sporgeva dalla finestra. Individuato un uomo intento a sfondare la porta d’ingresso, gli intimava inutilmente di desistere dall’azione criminale. L’imputato allora, impugnata un’arma da fuoco legittimamente detenuta, sparava, secondo la ricostruzione dei giudici, in direzione dei campi attigui alla villetta, al fine di spaventare l’aggressore. I due colpi esplosi, tuttavia, attingevano alle spalle un terzo soggetto, che si è poi scoperto essere un complice nascosto nel buio, provocandone la morte.

In primo grado l’imputato veniva assolto all’esito di giudizio abbreviato, avendo il g.u.p. ravvisato la sussistenza di tutti gli estremi della legittima difesa ‘domiciliare’. Proponevano quindi appello il p.m. e le parti civili, richiedendo, il primo, una condanna per eccesso colposo in legittima difesa putativa e, i secondi, l’affermazione della responsabilità penale ex art. 575 c.p., ritenuta la sussistenza di un dolo eventuale nell’azione omicida, ovvero, in subordine, ex art. 589 c.p.

 

3. Anzitutto, la sentenza in commento valuta se l’episodio sia sussumibile entro i confini applicativi della causa di giustificazione di cui all’art. 52, comma 2 c.p. dal punto di vista oggettivo.

La norma richiede, per prima cosa, che l’azione difensiva sia rivolta contro un soggetto che abbia commesso una violazione di domicilio consumata, non essendo sufficiente che si arresti allo stadio del tentativo. Il requisito è ritenuto sussistente nel caso di specie, dal momento che i malviventi erano già penetrati all’interno del cortile attraverso un varco aperto nella rete di recinzione.

La norma richiede poi che l’autore della difesa sia presente legittimamente in questi luoghi; nel caso di specie, anche tale requisito è evidentemente sussistente, dato che l’imputato era proprietario tanto dell’esercizio commerciale, quanto dell’abitazione sovrastante e delle loro pertinenze.

L’offesa deve poi essere cagionata per mezzo di un’arma legittimamente detenuta; anche questo requisito non desta problemi nel caso di specie, posto che l’imputato aveva legalmente ottenuto il porto d’armi per difesa personale.

Quanto fin qui riscontrato non basta, tuttavia, per poter ritenere configurata la legittima difesa domiciliare: secondo la lettura prevalente in dottrina e giurisprudenza[1], infatti, il comma secondo dell’art. 52 c.p. si differenzia dalla generica legittima difesa di cui al primo comma soltanto perché il requisito della proporzione è qui legislativamente presunto, in presenza degli altri requisiti di cui si è detto sinora; mentre dovranno essere comunque riscontrati tutti gli altri presupposti indicati dal primo comma. In questo senso parlano, come correttamente rileva la sentenza in commento, tanto i lavori parlamentari, quanto lo stesso tenore letterale della norma.

Occorrerà dunque valutare se vi fosse nella specie il pericolo di un’offesa ingiusta, contro la quale deve essere indirizzata l’azione difensiva del soggetto agente. Nel caso di specie, tale offesa si identifica con l’aggressione al negozio dell’imputato posta in essere dai ladri, condotta pacificamente contra ius.

Quanto al requisito della necessarietà della reazione dell’imputato, intesa come inevitabilità della risposta difensiva così come posta in essere – e, dunque, in termini di mancanza di condotte alternative lecite o comunque meno lesive[2] –, anche qui la Corte perviene ad una conclusione in termini positivi. La condotta dell’imputato, infatti, è stata quella di sparare non all’indirizzo dell’aggressore intento a sfondare la porta d’ingresso, che pur aveva individuato proprio sotto la finestra dalla quale si era sporto, bensì verso una zona limitrofa, nella quale non era prevedibile che si trovassero terze persone, ed al solo fine di intimidire. Non sarebbe dunque stato possibile, a parere della Corte, esigere dall’imputato altra condotta meno lesiva. Né risulterebbe corretto rimproverargli di non aver, piuttosto, sparato verso l’alto, posto che l’unico scopo era quello di spaventare i ladri: la presenza di una tettoia sporgente proprio sopra l’angolo di tiro, infatti, avrebbe rappresentato un intralcio ad una simile modalità difensiva, e i proiettili avrebbero potuto rimbalzare addosso agli aggressori.

Una volta accertata l’inevitabilità dell’uso delle armi per difendersi, non è invece necessario – come già si è sottolineato, e come la sentenza giustamente rileva – riscontrare la presenza della proporzione tra offesa e difesa, essendo questo elemento presunto normativamente nella fattispecie di legittima difesa domiciliare[3].

Laddove l’aggressione prenda di mira non già la vita e l’incolumità fisica, ma i beni patrimoniali, sarà invece necessario accertare che non vi sia stata desistenza (ossia che l’aggressore persista nella propria condotta illecita) e che sussista un pericolo di aggressione, quest’ultimo da identificarsi in una probabilità – o rilevante possibilità – che dall’aggressione scaturisca altresì un evento lesivo a carico dell’aggredito, stimata sulla base di un giudizio ex post a base totale. In base a un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, sottolinea la sentenza, il pericolo in esame deve essere letto in riferimento almeno all’incolumità fisica – se non necessariamente alla vita stessa – dell’aggredito; da ciò deriva che, mentre la mancata desistenza dovrà essere riferita ad un’aggressione attuale nei confronti dei beni patrimoniali, il pericolo sarà da intendersi come probabilità di una aggressione alla persona “in atto, incombente, o, quantomeno, imminente”. Ebbene, nel nostro caso risulta indubbia – stando ai fatti accertati in giudizio – l’attualità dell’aggressione nei confronti dei beni patrimoniali: almeno uno dei ladri, che già avevano sottratto alcune motoseghe, persisteva, infatti, nell’assalto all’esercizio commerciale dell’imputato. Più problematico risulta, invece, il riscontro del pericolo per l’incolumità fisica dell’aggredito e dei suoi familiari. Invero, anche una volta penetrati all’interno del negozio i ladri avrebbero trovato sbarrata da una porta la strada verso l’abitazione con conseguente assenza del requisito della probabilità (o anche solo della rilevante possibilità) di un danno per la vita o l’incolumità fisica dell’imputato e dei suoi familiari.

Se il requisito del pericolo sembra difettare da un punto di vista oggettivo, diverse sono le conclusioni alle quali perviene la Corte da una prospettiva soggettiva. Affinché si configuri una situazione di legittima difesa putativa non è sufficiente la mera convinzione dell’imputato di trovarsi in una situazione di pericolo, ma è anche necessario che tale convinzione sia supportata nei fatti da elementi oggettivi che ne giustifichino l’erroneo insorgere[4]. Ma la Corte d’Appello ritiene plausibile che l’imputato si fosse erroneamente rappresentato, nella concitazione del momento e alla luce della concreta situazione in atto, la probabilità di un’imminente aggressione personale, posto che non era chiaro a quale distanza dalla porta dell’abitazione si trovassero i ladri, dei quali, peraltro, erano sconosciuti all’autore tanto il numero, quanto il tipo di armi a loro disposizione. La sentenza parla, in proposito, di “colpi violenti sferrati con una mazza ferrata che facevano ritenere imminente una aggressione domestica con strumenti altamente lesivi nei confronti di chi non poteva scappare e si trovava intrappolato in casa”.

Alla luce di quest’ultima valutazione, la Corte ritiene configurata, nel caso di specie, un’ipotesi di legittima difesa putativa, modificando così in parte la sentenza di primo grado, che, riscontrata la sussistenza di tutti i requisiti della legittima difesa domiciliare, ivi compreso l’oggettivo pericolo di aggressione alla persona, aveva concluso per la semplice oggettiva operatività della causa di giustificazione.

Ora, l’art. 59, comma 4, del codice penale prescrive di verificare la natura dell’errore che ha determinato l’autore a ritenere sussistente la causa di giustificazione; qualora, infatti, questo fosse insorto colposamente, l’autore dovrebbe rispondere del reato commesso a titolo di colpa. Sul punto, la Corte esclude comunque la presenza di colpa tanto nell’erronea valutazione circa la configurabilità della legittima difesa domiciliare, quanto nella condotta concretamente tenuta, fugando così ogni dubbio circa l’eventuale sussistenza di un’ipotesi di omicidio colposo o di eccesso colposo in legittima difesa: nessuna negligenza, imperizia ed imprudenza potrebbero infatti essere imputate al soggetto, che ha scelto, tra le varie detenute, l’arma meno letale, sparando nel vuoto a solo scopo intimidatorio, precisandosi ulteriormente da parte dei giudici che “la presenza in un luogo buio e lontano dalla finestra, dalla quale sono stati esplosi i due colpi […] in zona del tutto defilata rispetto a quella dove erano stati visti gli aggressori si è rivelata un fatto del tutto casuale e non prevedibile da parte del prevenuto anche con la normale diligenza”.

***

4. Ciò che rende la vicenda esaminata in questa sentenza di particolare interesse sta nelle singolari modalità di svolgimento dei fatti.

Occorre innanzitutto premettere che, in termini generali, la legittima difesa – putativa o meno che sia – si configura solo allorché l’azione difensiva, va da sé, sia rivolta nei confronti dell’autore dell’offesa ingiusta; è questo, infatti, un requisito che, anche se non espressamente indicato dall’art. 52 c.p., si pone implicitamente alla base stessa della causa di giustificazione in esame. Tanto più che proprio questo elemento segna il discrimine tra legittima difesa e stato di necessità – quest’ultimo eventualmente riscontrabile solo in presenza dei più severi requisiti di cui all’art. 54 c.p.[5].

Tuttavia, nel caso di specie, l’imputato non ha rivolto l’azione difensiva nei confronti del soggetto contro il quale sarebbe stata configurabile un’eventuale legittima difesa domiciliare: non ha sparato all’indirizzo dell’aggressore alle prese con lo sfondamento della porta. Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dalla sentenza, che qui dobbiamo necessariamente assumere come un dato di partenza per le nostre riflessioni, i colpi esplosi erano rivolti nel vuoto, con l’unico intento di spaventare i ladri, salvo poi aver cagionato – come conseguenza non voluta, né prevista, né prevedibile, come vedremo – la morte di un soggetto diverso, della cui presenza l’imputato neppure si era accorto.

Davvero è possibile, in queste condizioni, considerare l’omicidio di quest’ultimo soggetto scriminato dalla legittima difesa domiciliare putativa, ai sensi del combinato disposto dell’art. 52 comma secondo e 59 comma quarto c.p.? O piuttosto altre qualificazioni avrebbero potuto meglio supportare la soluzione della non punibilità, cui la Corte è nel caso di specie pervenuta?

 

5. Ora, è vero che nel caso di specie vittima dell’omicidio non è un terzo totalmente estraneo ai fatti: si tratta pur sempre di uno dei ladri, della cui presenza, tuttavia, l’imputato non risulta aver avuto alcuna percezione. In via del tutto teorica, si potrebbe allora ritenere che nei confronti di questo soggetto rilevi il dettato dell’art. 59, comma 1 del codice penale, a norma del quale le circostanze che escludono la pena – e tra queste le cause di giustificazione – operano sulla base della loro oggettiva esistenza, senza la necessità che siano anche conosciute dall’agente. Il che starebbe a significare, nel nostro caso, che la condotta omicida dell’imputato risulta scriminata dalla legittima difesa domiciliare per il fatto stesso della sua sussistenza, nonostante che egli non si fosse in alcun modo accorto di sparare all’indirizzo di un aggressore.

Senonché – e qui, ancora una volta, la particolarità dei fatti ne complica la qualificazione giuridica – il ladro fu attinto dai colpi alle spalle, il che fa pensare che fosse già in fuga. Ed allora, è ormai pacifico in dottrina come in giurisprudenza che la presunzione di proporzione propria della legittima difesa domiciliare non opera nei confronti dell’aggressore in fuga, pur se ancora in possesso della refurtiva, difettando in questi i casi il requisito del pericolo di aggressione[6]. Ne deriva che la vittima, nel momento in cui veniva attinta dai colpi esplosi dall’imputato, non stava ponendo in essere un’offesa tale da giustificare una reazione difensiva pari a quella concretamente realizzata; l’art. 59, comma 1 risulta quindi inapplicabile al caso di specie, in mancanza già dei requisiti oggettivi della legittima difesa domiciliare.

D’altra parte, una volta esclusa l’operatività del secondo comma dell’art. 52 c.p., non si potrebbero ravvisare nell’episodio in commento nemmeno gli estremi oggettivi dell’art. 52 primo comma c.p.: risulta infatti evidente il difetto di proporzione tra l’aggressione posta in essere dalla vittima – che in quest’ottica sarebbe limitata alla sottrazione di una motosega, e dunque rivolta al solo patrimonio dell’imputato – e la reazione difensiva.

 

6. Ancora, si potrebbe pensare che la condotta in esame sia da ricondurre alla fattispecie di cui all’art. 83 c.p.: la norma, nel disciplinare l’ipotesi di aberratio delicti, prescrive la punibilità a titolo di colpa dell’autore di un reato che, per un errore nell’esecuzione dei mezzi o per altra causa, risulta diverso da quello voluto. Ebbene, la condotta posta in essere dall’imputato nel caso di specie risulta sussumibile entro la fattispecie di minaccia di cui all’art. 612 c.p., per di più aggravata, ex art. 339 c.p., dall’uso dell’arma. Tuttavia, l’antigiuridicità del fatto di reato sarebbe esclusa proprio dall’operare dell’art. 52 c.p.: è evidente, infatti, che l’esplosione di colpi in aria al solo scopo di intimorire gli aggressori, pur configurando una minaccia, non può che essere scriminata dalla legittima difesa.

L’applicabilità della scriminante al reato base di minaccia comporta una prima conseguenza: la morte della vittima non potrà essere inquadrata all’interno di quella più specifica ipotesi di aberratio disciplinata all’art. 586 c.p., posto che questa norma presuppone la commissione di un “fatto preveduto come delitto doloso”, e dunque, tra l’altro, anche antigiuridico; pertanto, in questo caso, la morte dovrà essere valutata autonomamente alla stregua dell’art. 589 c.p.[7]

Ora, una volta riconosciuta nel caso di specie l’operatività della legittima difesa nei confronti del reato di minaccia, occorre domandarsi se lo stesso possa dirsi per il diverso reato erroneamente realizzato dall’imputato: l’omicidio di un soggetto del quale lo stesso non risulta aver avuto alcuna percezione. Si tratta di valutare, in altre parole, se la causa di giustificazione si spinga o meno fino a coprire il reato aberrante. A tal proposito vengono in soccorso, mutatis mutandis, le considerazioni svolte da parte della dottrina in riferimento alla pur diversa ipotesi di aberratio ictus: nel dare risposta negativa al quesito se la legittima difesa giustifichi sempre anche l’evento dannoso non voluto, ma colposamente cagionato, si è osservato come “anche il comportamento scriminato nella sua attuazione non può prescindere da quelle regole di condotta codificate o no, la cui inosservanza costituisce il fondamento della colpa”[8]; l’art. 52 c.p., infatti, esclude l’antigiuridicità della sola condotta indispensabile alla tutela dell’aggredito, non estendendosi anche all’errore commesso nella sua fase esecutiva.

Ed allora, se nell’ipotesi di aberratio ictus l’evento dannoso cagionato nei confronti di un soggetto diverso da quello voluto non può dirsi automaticamente scriminato dalla legittima difesa, richiedendosi caso per caso una valutazione in ordine alla natura colposa o incolpevole della condotta, lo stesso dovrà dirsi per l’ipotesi di aberratio delicti, posto che in entrambe le situazioni si realizza una divergenza tra l’astrattamente voluto e il concretamente realizzato. Ne consegue che anche in presenza di una causa di giustificazione relativa all’evento avuto di mira dal soggetto agente e da lui conosciuta, non si potrà fare a meno di esaminare l’elemento psicologico che lo ha sostenuto nella causazione dell’evento aberrante.

In verità, come è stato più correttamente osservato, quello dell’applicabilità o meno della legittima difesa al reato colposo si risolve in un falso problema, posto che delle due l’una: o la causa di giustificazione risulta configurata, con pieno rispetto dei requisiti di proporzione e necessità, e allora a nulla serve indagare l’elemento soggettivo; o la condotta concretamente tenuta dall’agente ha travalicato i limiti di cui all’art. 52 c.p. e torna quindi ad essere antigiuridica, richiedendo una valutazione alla stregua dei criteri offerti in materia di eccesso colposo[9]. Tertium non datur.

 

7. In sintesi, per riprendere brevemente le fila del discorso:

- l’applicabilità della legittima difesa domiciliare, putativa o meno che sia, deve essere esclusa per il semplice fatto che l’azione difensiva non viene rivolta contro l’aggressore che sta per introdursi nella villetta;

- nei confronti nel ladro in fuga con la refurtiva può astrattamente configurarsi una legittima difesa a norma del comma primo dell’art. 52 c.p., che rileverebbe per la sua stessa esistenza, anche se non conosciuta dall’imputato: questi infatti – sempre stando alla ricostruzione processuale – non si è rappresentato neppure l’eventualità che qualcuno potesse trovarsi nella traiettoria dei colpi esplosi;

- tuttavia, nel caso di specie, l’evidente difetto di proporzione tra difesa e offesa esclude che possa essere ravvisata una legittima difesa ai sensi del primo comma dell’art 52 c.p. – dove, infatti, non opera quella presunzione di proporzione propria invece della legittima difesa domiciliare, di cui al comma secondo;

- in alternativa, l’uccisione del ladro potrebbe essere considerata ai sensi dell’art. 83 c.p. come reato diverso da quello voluto – la minaccia aggravata –; ma sulla base di questa ricostruzione, soltanto quest’ultima (la minaccia) sarebbe scriminata dalla legittima difesa, restando aperto il problema se l’evento non voluto (l’uccisione del malvivente) debba essere imputato all’agente a titolo di colpa, ovvero non possa essergli imputato per assenza di colpa.

In definitiva, quale che sia la strada da percorrere ritenuta più idonea per risolvere il caso di specie, emerge comunque chiaro un dato: la partita dovrà giocarsi sul piano della colpa. In questa direzione dovrà quindi essere svolta – ad avviso di chi scrive – ogni valutazione necessaria alla soluzione del caso. In particolare, la condotta di chi – come l’imputato nell’episodio in commento – convinto di sparare nel vuoto finisce invece per colpire un soggetto della cui presenza non si era neppure accorto, sembra rientrare a pieno titolo nei confini dell’art. 47 comma 1 c.p., innestandosi su di un errore di fatto sul fatto, inteso come “inesatta rappresentazione soggettiva della realtà naturalistica”[10]; un errore che esclude di per se stesso ogni addebito a titolo di dolo dell’evento cagionato. A dover, quindi, essere presa in considerazione è la sola eventuale natura colposa dell’errore che ha comportato, nel caso di specie, la morte del ladro: un riscontro positivo di questo elemento condurrebbe all’affermazione della responsabilità dell’imputato per omicidio colposo, ex art. 589 c.p.

Ora, è evidente che, di per sé, sparare due colpi di pistola in un campo immerso nel buio comporta un rischio irragionevole, dal momento che non è possibile escludere a priori l’eventualità di colpire qualcuno; una simile condotta, pertanto, risulta astrattamente qualificabile come imprudente. Tuttavia, come noto, la natura imprudente di una condotta deve essere valutata non in astratto, bensì alla luce delle circostanze concrete del singolo caso di specie. Ebbene, nell’episodio in commento, l’agente si trovava a fronteggiare una situazione anomala, tale da giustificare l’utilizzo di armi quanto meno al fine di indurre alla fuga l’aggressore individuato; sulla sua colpevolezza hanno, dunque, influito fortemente la concitazione del momento, il timore per l’incolumità propria e dei propri familiari – per altro rafforzato dai furti già subiti in passato – e la stessa situazione di legittima difesa domiciliare putativa che era pur sempre in atto, anche se in uno scenario, per così dire, parallelo. Pertanto, la scelta di indirizzare i colpi non verso il malvivente in azione, ma verso i campi che sapeva essere, di norma, non frequentati, non sembra violare alcuna regola cautelare, in quanto condotta che, ex ante, risulta ragionevole sulla base delle peculiari circostanze concrete.

In conclusione, l’uccisione casuale dell’aggressore in fuga non sarà scriminata dalla legittima difesa domiciliare, della quale si sarebbe potuto discutere qualora i colpi fossero stati esplosi all’indirizzo del complice intento a sfondare la porta d’ingresso; al più, l’aggressione in corso potrà influire sull’elemento soggettivo, come una sorta di quasi scusante impropria. L’insieme di queste considerazioni, dunque, porta ad escludere la colpa dell’imputato, che dovrà pertanto essere assolto non per legittima difesa domiciliare putativa incolpevole, quanto piuttosto per difetto dell’elemento soggettivo rispetto alla causazione dell’evento morte della vittima.

 

 

[1] Cfr. Corte d'Assise d'appello di Brescia, sent. 29 giugno 2012, (dep. 24 settembre 2012) n. 14655, Pres. rel. Fischetti, imp. Monella, in questa rivista, 18 novembre 2015. In dottrina, ex multis, F. Viganò, Sulla “nuova” legittima difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 189 e ss.

[2] Cfr., F. Viganò, Sulla “nuova” legittima difesa, cit., p. 203.

[3] E la presunzione opera anche nel caso di una legittima difesa domiciliare putativa; in questo senso Cass. pen., Sez. I, 9 febbraio 2011, n. 11610, in DeJure; Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2013, n. 691, in DeJure ([…] non è più rimesso ad apprezzamento discrezionale il giudizio sulla proporzionalità della difesa all'offesa, essendo il rapporto di proporzionalità sussistente per legge, sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole”).

[4] Così Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2013, n. 691, in DeJure.

[5] Cfr. F. Viganò, commento all’art. 52, in G. Marinucci – E. Dolcini (a cura di), Codice penale commentato, Milanofiori, Assago, 2015, p. 945; come precisato, una simile conclusione deriva da un’interpretazione sistematica, alla luce della differente disciplina contenuta nell’art. 2044 c.c., da una parte, e 2045 c.c., dall’altra.

[6] Cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. IV, 04 luglio 2006, n. 32282, in DeJure; Cass. pen., Sez. I, 08 gennaio 2016, n. 29240, in DeJure; Cass. pen., 25 febbraio 2014, n. 28802, in DeJure. Contra, alcune pronunce giurisprudenziali hanno ritenuto scriminata l’uccisione del ladro in fuga, laddove tale condotta fosse indispensabile per impedire il furto; e ciò sulla base della teoria per la quale il requisito della proporzione nella legittima difesa comporti un mero raffronto tra i mezzi utilizzati dal soggetto aggredito e quelli a sua disposizione. In questo senso cfr. Cass. pen. 2 dicembre 1983, in Riv. pen., 1985, p. 792 e ss; Corte di appello di Milano, 19 ottobre 1978, Giur. it., 1980, II, p. 68 e ss. È questa, tuttavia, una tesi evidentemente erronea per una serie di motivi, per una più puntuale analisi dei quali si rimanda a F. Viganò, commento all’art. 52, cit., p. 933 e ss.

[7] Cfr. F. Basile, commento all’art. 586, in Marinucci G. – Dolcini E., (a cura di), Codice penale commentato, Milanofiori, Assago, 2015, vol. II, p. 3061.

[8] Cfr. A. Maggini, Aberratio ictus e legittima difesa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, p. 943. Pervengono alla stessa conclusione E. Ondei, La legittima difesa nella vigente e futura legislazione, in Giust. pen., 1945-46, p. 345 e ss.; A. Dall’Ora, Legittima difesa e reato colposo, in Giust. pen., 1950, p. 1202-1203; G. Leone, Il reato aberrante, Napoli, 1964, p. 37 e ss. Contra, ritiene sempre scriminata da legittima difesa anche la condotta colposamente cagionata G. Delitala, Legittima difesa e reato colposo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1940, p. 540 e ss. (“l’azione necessitata non può in pari tempo ritenersi, per la contraddizione che nol consente, come imprudente o imperita […] nulla quindi si oppone a ritenere che anche un fatto colposo possa apparire scriminato dalla legittima difesa, ove l’azione volontaria che dovrebbe costituirne il primo indefettibile momento sia stata commessa per la necessità di difendere un proprio diritto dal pericolo di una incombente aggressione”).

[9] F. Viganò, commento all’art. 52, cit., p. 946. Cfr. anche T. Padovani, voce Difesa legittima, in Dig. disc. pen., vol. III, Torino, 1989, p. 497.

[10] Così R. Garofoli, Manuale di diritto penale, cit., p. 647. Evidenti sono, infatti, le similarità con il caso di scuola in tema di errore di fatto sul fatto: si tratta del cacciatore che, convinto di uccidere un cinghiale, esplode dei colpi verso un cespuglio, finendo, tuttavia, per uccidere un uomo che lì si era nascosto (cfr. anche F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 375; G. Marinucci – E. Dolcini, Manuale di diritto penale, Parte generale, V edizione aggiornata da E. Dolcini e G. L. Gatta, Milano, 2015, p. 314).