ISSN 2039-1676


22 marzo 2018 |

Un singolare caso di 'truffa matrimoniale': la sentenza (assolutoria) del Tribunale di Roma nel caso Lollobrigida

Trib. Roma, Sez. VIII, sent. 23 marzo 2017, n. 3862, Giud. Roja, Imp. Rigau Rafols

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2018

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1. Con la decisione in commento il Tribunale di Roma ha assolto con formula piena dalle accuse di truffa e uso di atto falso l’imputato spagnolo Francisco Javier Rigau y Rafols, da anni legato sentimentalmente alla nota attrice Gina Lollobrigida. La procura romana aveva prospettato la responsabilità penale del Rigau per aver indotto con l’inganno la donna a ratificare il matrimonio canonico contratto tramite procura in Spagna con lo stesso Rigau, mirando in tal modo ad avanzare pretese sull’ingente patrimonio della diva.

 

2. Questi, in breve, i controversi e assai articolati fatti, così come ricostruiti nella sentenza.

Sin dagli anni ’80 la Lollobrigida e il Rigau sarebbero stati legati da una lunga relazione sentimentale, tanto da aver determinato anni dopo nell’attrice la volontà di suggellare tale unione nel vincolo del matrimonio. Nell’anno 2006 erano quindi iniziati i preparativi per le nozze, poi annullati per ripensamenti di cui, invero, ognuno dei due nubendi si attribuisce la paternità.

Ad ogni modo, sembra che in un secondo momento l’attrice e l’imputato si fossero decisi a celebrare il solo matrimonio canonico tramite procura, così da evitare di attirare su di sé le indesiderate attenzioni della stampa scandalistica. A tal fine la Lollobrigida, recatasi a Barcellona, in presenza di un notaio sottoscrive nel 2010 la procura nuziale. Il matrimonio viene quindi celebrato nel novembre 2010 in una chiesa della città spagnola alla presenza del Rigau e della designata procuratrice, mentre il certificato di matrimonio viene poi fatto sottoscrivere all’attrice in un momento successivo. Per comune volontà dei coniugi, il matrimonio canonico non viene trascritto nei registri civili.

Il Rigau è stato però pubblicamente accusato di aver contratto il matrimonio con la Lollobrigida ad insaputa della diva, al punto che la procura di Barcellona apre un’indagine nei suoi confronti per i delitti di usurpazione di stato civile e falsità. L’uomo, pertanto, trovandosi nella necessità di ottenere dalla Lollobrigida una ratifica della procura da poter esibire davanti alle autorità spagnole, così da fugare ogni dubbio circa l’asserita illiceità della sua condotta, nell’aprile 2012 si reca insieme all’attrice presso un notaio di Roma, mentendo, però, sul reale oggetto della ratifica: avrebbe infatti convinto la Lollobrigida che quella che andava a ratificare era una mera procura alle liti, necessaria per proporre querela nei confronti di chi aveva diffuso con modalità ritenute diffamatorie la notizia dell’annullamento del precedente matrimonio.

Invero, davanti al notaio, il Rigau produce non l’originale procura matrimoniale sottoscritta in Spagna, bensì un documento diverso, semplificato rispetto al primo e artatamente confezionato dallo stesso imputato, con il quale la Lollobrigida avrebbe ratificato, più genericamente, l’attività svolta dalla procuratrice nel novembre 2010, senza alcuna menzione espressa del matrimonio.

Proprio tale raggiro integrerebbe, secondo la prospettazione del Pubblico Ministero, il reato di truffa ai danni della Lollobrigida. In particolare, l’induzione in errore dell’attrice avrebbe determinato la ratifica di un atto ben diverso da una mera procura alle liti, permettendo così al Rigau di realizzare l’ingiusto profitto consistente nella “acquisizione piena dello status giuridico di coniuge (di persona estremamente facoltosa) e dei relativi diritti alimentari e successori” e, al contempo, producendo in capo alla stessa l’insorgere dei corrispettivi obblighi matrimoniali, qualificati come danno rilevante ai sensi della fattispecie di truffa.

La procura romana aveva altresì contestato in capo al Rigau il reato di cui all’art. 489 c.p., avendo lo stesso fatto uso di un falso atto notarile proprio al fine di realizzare la truffa.

 

3. Ebbene, così ricostruiti i fatti, ritiene la pronuncia in commento che non siano integrati né il reato di truffa, né quello di uso di atto falso.

Quanto al primo, affermano i giudici di prime cure che la truffa non può ritenersi configurata nemmeno nella forma tentata, attesa l’assenza di alcuni requisiti essenziali della fattispecie di cui all’art. 640 c.p.

Invero, se da un lato l’elemento fattuale dell’atto di disposizione patrimoniale può essere identificato nella potenziale capacità della ratifica di incidere sul patrimonio della persona offesa[1], a diversa conclusione perviene la sentenza per quanto attiene ai requisiti del danno e dell’ingiusto profitto.

Il primo, a differenza del secondo, deve infatti essere inteso come necessariamente dotato di contenuto economico e patrimoniale, consistente in una lesione concreta e non meramente potenziale del bene giuridico protetto: la definitiva fuoriuscita del bene dal patrimonio, appunto, della vittima. Vero è, rileva la sentenza, che il concetto di patrimonio deve essere inteso in senso lato, come “insieme di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto per cui qualsiasi situazione possa incidere negativamente sull’assetto di un individuo è destinato a rientrare nel concetto di patrimonio, la cui offesa è penalmente apprezzabile”[2]. Ma anche alla luce di tale lettura della nozione di patrimonio, affinché nel caso di specie si possa configurare il delitto di truffa sarebbe necessario riscontrare concretamente, accanto all’offesa indubbiamente arrecata alla libertà negoziale della Lollobrigida, anche una lesione “effettiva certa” della sua sfera patrimoniale.

Osserva, infatti, la sentenza che nel delineare la fattispecie di cui all’art. 640 c.p. il legislatore non ha inteso sanzionare la frode in sé, quanto piuttosto le conseguenze economicamente apprezzabili da questa derivanti, ed in particolare proprio un “trasferimento di ricchezza a favore del reo o di terzi”. Da ciò deriverebbe, secondo i giudici di merito, che nel caso di specie proprio il mancato conseguimento di qualsivoglia vantaggio economicamente apprezzabile in capo all’imputato fa sì che non si possa configurare il reato di truffa, difettandone l’evento dannoso. Né, d’altra parte, tale evento potrebbe essere identificato con il matrimonio in sé, atteso che il “preteso profitto ingiusto a favore di un coniuge è neutralizzato dall’identico ed opposto potenziale profitto a favore dell’altro coniuge” (nel caso in esame è stata accertata la florida condizione patrimoniale dello sposo, oggetto di prova nel processo).

Quanto sin qui detto sarebbe stato già di per sé sufficiente per escludere la sussumibilità dei fatti in esame entro la fattispecie di cui all’art. 640 c.p. Ma v’è di più.

 

4. Il ragionamento della Corte si spinge infatti oltre, mosso dall’intento di dimostrare che la ratifica della procura oggetto di inganno – e della cui falsità si dirà oltre – è comunque del tutto inidonea a produrre in capo al Rigau qualsivoglia diritto o vantaggio economico, anche potenziale e futuro: la manifestazione di volontà sottesa a tale atto si risolverebbe infatti in una dichiarazione “inutile”, incapace di produrre alcun effetto giuridico nella vicenda matrimoniale in esame. A dimostrazione di ciò, vengono ipotizzati due diversi scenari: l’uno riscontrabile laddove la procura originaria rilasciata in territorio spagnolo fosse ritenuta valida, l’altro nel caso di invalidità della stessa.

Quanto alla prima ipotesi, sarebbe evidente come la ratifica di un atto già di per sé valido ed autentico non spiega alcun effetto giuridico, dal momento che “presupposto di ogni efficace ratifica è l’assenza o la limitazione dei poteri originari del rappresentante”: ma se il contenuto della procura era proprio quello di autorizzare la procuratrice a contrarre matrimonio in vece della Lollobrigida, non si vede quale discrasia vi sia tra i poteri attribuiti alla prima e quelli effettivamente esercitati, tale da renderne necessaria una ratifica. Il consenso al matrimonio canonico espresso dalla procuratrice è risultato perfettamente valido ai fini della contrazione dello stesso e conforme, altresì, al contenuto della procura rilasciatale. Sul piano penale, pertanto, la ratifica di tale procura risulta del tutto “inidonea, in concreto e in assoluto, a produrre l’evento giuridico del reato, anche nella prospettiva del delitto tentato”.

Lo stesso risultato si otterrebbe laddove si concludesse per l’invalidità della procura spagnola. Nell’ordinamento italiano, infatti, chi rappresenta il nubendo nel matrimonio per procura acquisisce in realtà la posizione di mero nuncius, pertanto nell’ipotesi di mancanza dei poteri a questo attribuiti il prestato consenso alle nozze non è solo inefficace, ma del tutto inesistente: nel diritto civile sarebbe inammissibile la ratifica dell’attività del falsus nuncius. Lo stesso vale per il diritto canonico, dove il potere di esprimere il consenso al matrimonio deve necessariamente essere prestato dall’interessato in un momento precedente alla celebrazione dello stesso, senza alcuna possibilità di ratifica a posteriori. Quanto all’ambito penale, una simile ratifica riconduce la potenziale condotta fraudolenta all’alveo del reato impossibile per inidoneità dell’azione a cagionare l’evento, ai sensi dell’art. 49, comma 2 c.p.

Ciò posto, la sentenza ha quindi indagato le ragioni che avrebbero spinto il Rigau a far ratificare alla Lollobrigida una procura falsa priva di efficacia giuridica, rinvenendole infine nell’uso che l’imputato ne avrebbe fatto dinnanzi all’autorità spagnola che, come visto, stava indagando su una potenziale responsabilità dello stesso per usurpazione di titolo.

 

5. Le conclusioni raggiunte dalla Corte, prosegue la sentenza, non devono neppure mutare a seconda che il matrimonio canonico contratto a Barcellona si consideri spiegante o meno effetti civili nel territorio italiano.

Infatti, spostando la prospettiva dalla ratifica del 2012 al conferimento iniziale della procura in terra catalana nel 2010, appare evidente, secondo quanto indicato nella sentenza, che il matrimonio canonico non trascritto nei registri civili spagnoli è inidoneo ad attribuire lo status di coniuge ai sensi del diritto civile italiano. In particolare, dal momento che il matrimonio canonico non trascritto in Spagna non spiega effetti civili ai sensi dell’ordinamento straniero, la sua efficacia in Italia è subordinata alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano, trascrizione che in questa precisa ipotesi avrebbe valenza costitutiva, e non già dichiarativa (come invece nel diverso caso in cui il matrimonio contratto all’estero sia già ivi produttivo di effetti giuridici, ai sensi dell’art. 28 l. 218/1995)[3]. Ma la trascrizione di un simile matrimonio, prosegue la Corte, è impedita all’ufficiale di Stato civile italiano “ai sensi dell’art. 63 d.P.R. n. 396/2000 perché privo di un requisito richiesto dalla legge del luogo per il pieno riconoscimento dei suoi effetti civili”, previsti dallo stesso art. 28 l. 218/1995.

Da ultimo, sul punto, i giudici di merito chiariscono come sia preclusa alla Corte qualsiasi ulteriore valutazione quanto ai fatti avvenuti in territorio spagnolo. Ciò, invero, non tanto in applicazione del principio del ne bis in idem internazionale (che, anche laddove ritenuto principio generale dell’ordinamento europeo direttamente applicabile dai giudici nazionali, si scontrerebbe comunque con la “natura precaria” del provvedimento spagnolo con cui è stata archiviata la posizione del Rigau), quanto, piuttosto, per assenza di giurisdizione italiana, essendosi i fatti perfezionati in territorio spagnolo[4].

 

6. Venendo ora al reato di falso, la Corte in primo luogo condivide la decisione della pubblica accusa di modificare l’originaria contestazione di formazione del falso atto pubblico spagnolo (artt. 476, 482 c.p.) nella fattispecie di cui all’art. 489 c.p., uso di atto falso. Tale ultima norma risulterebbe infatti integrata non solo nell’ipotesi – oggetto di clausola di sussidiarietà espressa – in cui l’agente non sia concorso nella falsificazione, ma anche qualora tale falsità, il cui uso venga fatto in Italia, sia stata commessa all’estero e difetti la richiesta del Ministro della Giustizia, condizione di procedibilità prescritta ai sensi dell’art. 10 c.p.

Ciò premesso, si ritiene che, pur essendo l’integrale formazione della procura riconducibile al Rigau, tale condotta, per le concrete modalità con cui si è manifestata, non risulta idonea a configurare il delitto in parola: non già perché si tratterebbe di falso grossolano – la procura fraudolentemente redatta dal Rigau si è mostrata infatti idonea a trarre in inganno persino un soggetto qualificato quale il notaio romano – quanto perché l’oggetto materiale della condotta non può essere ricondotto alla nozione di ciò che l’art. 492 c.p. parifica all’atto pubblico.

In tal senso, precisa la Corte, per giurisprudenza maggioritaria l’alterazione di copia informale di un atto pubblico non integrail reato di falso in atto pubblico, al più estendibile all’alterazione di copie autentiche di atti pubblici, né la diversa fattispecie di falsità in scrittura privata (per altro ormai abrogata). La ratio di tale orientamento giurisprudenziale starebbe nel fatto che “la fotocopia di cui non sia autenticata la conformità all’originale non ha di per sé alcun valore probatorio”, se non nei casi tassativamente previsti.

Ebbene, nel caso in esame quello artatamente confezionato dall’imputato sarebbe un atto del tutto privo di qualsivoglia rilevanza pubblicistica, essendo sprovvisto dei requisiti minimi di forma e sostanza indispensabili perché possa qualificarsi quale atto pubblico spagnolo.

 


[1] In questo senso, la pronuncia fa propria l’ampia nozione di “atto di disposizione patrimoniale” accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione, in ossequio alla quale può essere ritenuto tale qualsiasi atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa. Ne consegue che lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una "traditio", da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno” (Cass. SS. U. penali, 29 settembre 2011 (dep. 10 gennaio 2012) n. 251499, CED).

[2] La sentenza riprende qui la definizione di patrimonio data da Cass. pen., Sez. II, 12 luglio 2013 (dep. 25 ottobre 2013), n. 43769, relativa ad un caso di estorsione.

[3] La sentenza fa qui richiamo espresso di Cass. civ., sez. I, sent. n. 8312 del 19 giungo 2001.

[4] La Corte precisa, altresì, che anche a voler ritenere che l’evento, inteso come pregiudizio per il patrimonio di una cittadina italiana, si sarebbe potuto verificare in territorio italiano, in tal modo soddisfacendo i requisiti di cui all’art. 6 c.p., comunque “si tratterebbe di condotte del tutto ultronee, diverse e nuove rispetto a quelle di cui è stato qui chiamato a difendersi il Rigau”, per tale motivo precluse alla valutazione dei giudici in ossequio al principio della necessaria correlazione tra imputazione contestata e sentenza (art. 521, comma 2 c.p.p.).