ISSN 2039-1676


13 settembre 2017 |

Una decisione della Cassazione che integra (e non contraddice) le conclusioni delle Sezioni unite, in tema di priorità fra dichiarazione di estinzione del reato e pronuncia di nullità della sentenza

Nota a Cass., Sez. III, sent. 31 maggio 2017 (dep. 2 agosto 2017), n. 38662, Pres. Cavalli, Rel. Socci, Ric. Lanzano

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2017

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1. L’annotata decisione della Terza sezione penale della Cassazione assume una valenza più pregnante di quanto potrebbe apparire ad una sua prima lettura qualora venga ricollegata ed analizzata congiuntamente alla decisione Iannelli, delle Sezioni unite[1], depositata meno di due mesi prima della data di deposito della pronuncia Socci.

Le Sezioni unite, chiamate a valutare «se la Corte di cassazione debba dichiarare la nullità della sentenza predibattimentale di appello pronunciata in violazione del contraddittorio, con cui, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione o, invece, debba dare prevalenza alla causa estintiva del reato», hanno affermato che in tal caso la causa estintiva del reato deve prevalere sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza.

A distanza, come abbiamo detto, di meno di due mesi la Terza sezione penale della cassazione, con riferimento ad una situazione processuale parimenti caratterizzata dalla sussistenza di una nullità assoluta ed insanabile della sentenza predibattimentale d’appello, derivante dall’inosservanza del principio del contraddittorio, ed ove ugualmente si doveva accertare se occorresse dare la priorità alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione o a quella di nullità della sentenza, ha invece ritenuto di considerare prioritaria la dichiarazione di nullità.

In realtà non vi è alcun contrasto, dal punto di vista delle prospettive di fondo, tra le due decisioni, in quanto la pronuncia della Terza sezione penale ha dovuto prendere atto di una circostanza ulteriore rispetto alla vicenda posta all’esame delle Sezioni unite, e rappresentata dalla sussistenza di «questioni civili da definire e valutare».  

Cerchiamo di chiarire meglio il senso di queste affermazioni, andando subito al cuore del problema, raffrontando al riguardo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite in c. Iannelli con quello elaborato dalla Terza sezione nell’annotata decisione.

Le Sezioni unite hanno rilevato, in primo luogo, che «Nell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza».

Questa enunciazione generale, posta ad incipit del principio di diritto, è stata interamente riscritta dalla Terza sezione penale nella propria pronuncia (sebbene essa sia poi giunta ad una soluzione volta a far prevalere la dichiarazione di nullità).

Vediamo dunque analiticamente quali siano gli elementi di diversificazione, che hanno condotto, in concreto, a conclusioni difformi.

Le Sezioni unite hanno apposto la seguente deroga alle precedenti enunciazioni: «sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.».

In tal caso la pronuncia la sentenza di proscioglimento nel merito prevale infatti su quella di estinzione del reato, e la Cassazione può direttamente pervenire a tale conclusione del processo, con un annullamento senza rinvio ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l) c.p.p.

Occorre però che l’evidenza della prova «risulti dalla motivazione della sentenza impugnata e dagli atti del processo, specificamente indicati nei motivi di gravame, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – come novellato dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46 – in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di motivazione».

Questa deroga, apposta dalle Sezioni unite al principio generale, tendente al riconoscimento della prevalenza della dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, è stata confermata e fatta propria anche dalla Terza sezione penale, che però ad essa ne ha aggiunta una ulteriore, in considerazione appunto delle connotazioni della vicenda ad essa sottoposta, non totalmente coincidente con quella che innescò la decisione delle Sezioni unite.

Infatti la Terza sezione penale ha così formulato l’ultima parte terminale del principio di diritto: «sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di Cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e sempreché non sussiste una questione civile da valutare».

 

2. Esaminiamo ora gli antefatti della pronuncia della Terza sezione della Cassazione. Una condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Napoli era stata appellata innanzi alla locale Corte di appello, che aveva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, confermando peraltro le statuizioni civili adottate dal Tribunale di Napoli.

Avverso detta sentenza veniva formulato ricorso per cassazione, volto a denunciare la sussistenza di plurime cause di nullità, tra cui la mancata celebrazione di un’udienza pubblica per discutere i motivi di impugnazione, la violazione del principio del contraddittorio e la carenza di motivazione.

In effetti, appariva in tal caso evidente che l’applicazione dell’estinzione per prescrizione, a seguito di quella che veniva definita come “sentenza predibattimentale”, svoltasi in assenza di contraddittorio, avesse conculcato il diritto riconosciuto ad ogni imputato ad opporsi ad una decisione in iure ogni qualvolta egli «ritenga di poter ottenere una formula ampiamente liberatoria nel merito attraverso l’elaborazione dibattimentale della prova»[2].

Del resto, l’adozione di una pronuncia che prescindeva totalmente dal contributo dialettico delle parti costituiva una palese violazione del canone del previo contraddittorio tra le parti, inteso non solo come metodo di formazione della prova, ma anche come «diritto delle stesse all’ascolto»[3].

Si potrebbe poi aggiungere una considerazione che non ha invece costituito motivo di specifica doglianza da parte dell’imputata, né è stata menzionata nella parte motiva dell’annotata pronuncia, a differenza di quanto è avvenuto nella sentenza Iannelli delle Sezioni unite.

Occorrerebbe cioè evidenziare come non sia stato rilevato che il legislatore non ha previsto la possibilità di adottare una “sentenza predibattimentale di appello”, ai sensi dell’art. 469 c.p.p., essendo detta norma riferibile esclusivamente al giudizio di primo grado.

Sul punto le Sezioni unite avevano invece sviluppato una serie di puntuali considerazioni, volte ad affermare che la disciplina del proscioglimento predibattimentale di cui all’art. 469 c.p.p., dettata per il giudizio di primo grado «non può ritenersi applicabile nel giudizio di appello, in quanto ad essa non effettua alcun rinvio, esplicito o implicito, il combinato disposto degli artt. 598, 599 e 601 cod. proc. pen.»[4]; era stato aggiunto che questa conclusione risultava condivisa da un consolidato orientamento giurisprudenziale[5].

Si era parimenti negato che comunque in tale fase potesse essere emessa de plano una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p., «in quanto l’obbligo del giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio, per cui il richiamo contenuto in quest’ultima disposizione ad “ogni stato e grado del processo” deve essere riferito al giudizio in senso tecnico, ossia al dibattimento di primo grado o ai giudizi in appello e in cassazione, atteso che, solo in tali ambiti, venendosi a realizzare la piena dialettica processuale fra le parti, il giudice dispone di tutti gli elementi per la scelta della formula assolutoria più favorevole per l’imputato»[6].

Detto orientamento interpretativo era già stato delineato in giurisprudenza dalle stesse Sezioni unite, a partire dalla pronuncia Angelucci[7], che tra l’altro, con specifico riferimento alla tematica costituente oggetto di questa nota, aveva affermato che nel predibattimento «la fondamentale cesura tra fase dell’indagine e fase del dibattimento porta ad escludere che possa emettersi una sentenza allo stato degli atti ex art. 129 c.p.p.».

A sua volta la successiva pronuncia De Rosa, parimenti a Sezioni unite[8], sottolineava con incisività che l’art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice «un potere di giudizio ulteriore, inteso quale occasione – per così dire – “atipica” di decidere la res iudicanda, rispetto a quello che gli deriva dalle specifiche norme che disciplinano i diversi segmenti processuali».

Tale considerazioni, anche se non sono state espressamente ripetute nella decisione da noi esaminata, sono comunque state poste a base della conclusione volta a ravvisare la sussistenza di una nullità della pronuncia della Corte di appello, volta invece evidentemente a ritenere che l’art. 129 c.p.p. potesse essere configurato come fonte di un generale potere di proscioglimento, applicabile senza la necessità di osservare le normali cadenze e garanzie processuali.

 

3. Dobbiamo a questo punto notare, con riferimento alla parte motiva della decisione annotata, che non sono state affatto contraddette le conclusioni alle quali erano giunte le Sezioni Unite in c. Iannelli, tendenti a chiarire come, in linea di generalità, laddove già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità della sentenza, sia pur assoluta ed insanabile, non sia rilevabile nel giudizio di cassazione, dovendo in tal caso il processo concludersi con la dichiarazione di estinzione del reato.

Va osservato, a soli fini di precisione espositiva, come in tal senso risultasse comunque già da tempo orientata la giurisprudenza maggioritaria, essendosi sottolineato come la tesi contraria, diretta a privilegiare la dichiarazione di nullità, determinasse un’inutile dilatazione dell’attività processuale, imponendo una regressione del processo che si sarebbe rivelata del tutto antieconomica, in quanto comunque destinata a sfociare nella rilevazione della causa estintiva, peraltro già immediatamente dichiarabile, senza dover procedere ad un annullamento con rinvio[9].

La prevalenza della dichiarazione di estinzione del reato sulla dichiarazione di nullità della sentenza non è peraltro mai stata considerata come un principio assoluto e privo di eccezioni.

Si è infatti osservato che la prevalenza della causa estintiva deve essere esclusa nelle ipotesi in cui la rilevabilità della stessa non appaia “pacifica”, come ad esempio può accadere qualora sia necessario acquisire dati fattuali funzionali all’applicabilità della prescrizione, in quanto il presupposto per l’operatività della causa estintiva non emerga ictu oculi, ma implichi «accertamenti e valutazioni rientranti nelle prerogative esclusive del giudice di merito»[10].

In tal caso si ritiene necessario privilegiare la dichiarazione di nullità, funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio.

Riteniamo importante menzionare queste conclusioni interpretative, volte a delineare una simile eccezione, proprio perché esse appaiono ispirate al criterio volto ad ammettere una deroga al principio della normale priorità della dichiarazione di estinzione del reato, operante in tutte le ipotesi in cui emerga una reale necessità di pervenire ad un nuovo giudizio nel merito, onde affrontare questioni la cui possibilità di trattazione risulterebbe altrimenti preclusa.

Ampliando la prospettiva, si può osservare come la giurisprudenza maggioritaria delineatasi nel corso degli anni su queste tematiche risponda ad una logica di fondo di assoluta coerenza, a cui si ispira anche la decisione annotata.

Decisioni quali la pronuncia Iannelli e la pronuncia Conti mostrano di tener conto di due diverse considerazioni. Da un lato infatti è stata valorizzata la necessità di giungere all’eliminazione di passaggi procedimentali non necessari e che non contribuiscano ad accrescere le garanzie di cui devono godere le parti processuali, eliminazione che può essere realizzata disincentivando le opzioni esegetiche che conducano ad inutili rallentamenti temporali, quali la regressione del processo, a seguito della dichiarazione di nullità, anche qualora questo regresso sia comunque destinato a produrre la stessa soluzione che potrebbe essere raggiunta immediatamente, attribuendo priorità alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione rispetto all’eventuale pronuncia di nullità.

D’altro canto, si è osservato come debba invece giungersi a diverse conclusioni qualora l’eventuale protrarsi del processo, dovuto alla dichiarazione di nullità e al conseguente regresso del procedimento, a seguito di un annullamento con rinvio, potrebbe condurre ad esiti maggiormente favorevoli per l’imputato, e comunque si tradurrebbe in un incremento reale dell’ambito di garanzie.

 

4. Una delle ipotesi di deroga al criterio di priorità della dichiarazione di estinzione del reato è rappresentata ovviamente dall’ipotesi in cui risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo in tal caso la Cassazione adottare la formula di merito ex art. 129, comma 2, c.p.p.

Al riguardo occorre peraltro precisare come la giurisprudenza abbia reiteratamente ribadito che il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p.p. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato o la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo “assolutamente non contestabile”, e cioè qualora la valutazione sul punto «appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento”, e non esiga dunque alcun particolare approfondimento»[11].

Accanto a tale eccezione l’annotata decisione ha collocato, come abbiamo visto, quella derivante dalla sussistenza di questioni civili da definire e valutare.

Anch’essa appare pienamente coerente con la complessiva elaborazione giurisprudenziale volta a pervenire ad un equilibrato contemperamento fra esigenze di efficienza e tutela dei diritti.

Va comunque osservato che la pronuncia annotata trova un significativo punto di riferimento (peraltro non espressamente menzionato dai giudici della Terza sezione) nella già citata pronuncia Conti a Sezioni unite.

In tal caso i giudichi della nomofilachia, affrontando la questione, definita «del tutto peculiare», rappresentata dalla sussistenza di una «sentenza di merito, afflitta da nullità processuale assoluta ed insanabile, che ha deciso non solo in ordine al reato, per il quale è sopravvenuta la prescrizione, ma anche in ordine alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato», affermarono infatti che in una simile contesto «la nullità, anche se non funzionale alla operatività della prescrizione, deve essere comunque rilevata e dichiarata in sede di legittimità, perché si riverbera sulla validità delle statuizioni civili».

Possono essere svolte ulteriori considerazioni che permettono di ricollegare idealmente in maniera ancora più nitida le varie pronunce in materia.

Occorre partire dal rilievo che in presenza di una causa estintiva del reato, quale la prescrizione, e, contestualmente, di una nullità processuale assoluta ed insanabile, i giudici di legittimità devono dare, di norma, prevalenza alla prima.

Tale conclusione non vale peraltro se la dichiarazione di nullità risulta funzionale alla rinnovazione del giudizio tendente ad un nuovo accertamento di dati fattuali, come appunto avviene qualora occorra valutare la possibilità di accogliere la domanda risarcitoria avanzata dalla parte civile.

Nella pronuncia in commento, osservandosi come i giudici di appello avessero «confermate le statuizioni civili, il risarcimento del danno, senza nessuna valutazione nel contraddittorio delle parti dei motivi dell’appello» si afferma, del tutto correttamente, che in tal caso le esigenze di rapida definizione del processo, tante volte messe in luce dalla giurisprudenza con riferimento a detta tematica e poste a base, tra l’altro, dell’orientamento esegetico maggioritario, non possono prevalere sulla necessità di dichiarare la nullità della sentenza per violazione del contraddittorio, poiché una diversa soluzione, volta a privilegiare la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, pregiudicherebbe inevitabilmente gli interessi dell’impugnante, che, già privato in sede di appello della possibilità di confutare le ragioni poste a base della statuizione sul risarcimento del danno, vedrebbe definitivamente preclusa detta possibilità, a differenza di quanto avverrebbe qualora fosse emessa una decisione di annullamento con rinvio.

 


[1] Cass., sez. un., 27 aprile 2017, n. 28954, Iannelli, in Ced. Cass., Rv. 269810.

[2] A. M. Capitta, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, Milano, 2010, p. 94.

[3] Cfr. al riguardo G. Varraso, Richiesta di rinvio a giudizio, proscioglimento immediato e «diritto delle parti all’ascolto», in Cass. pen., 2005, p. 1843 ss.

[4] Cass., sez. un., 27 aprile 2017, n. 28954, Iannelli, cit., § 2.

[5] Sono state indicate, in tal senso, Cass., sez. II, 4 maggio 2016, n. 33741, Ventrella, in Ced. Cass., Rv. 267498; Cass., sez. VI, 24 novembre 2015, n. 50013, Capodicasa, in Ced. Cass., Rv. 265700; Cass., sez. VI, 27 giugno 2013, n. 28478, Corsaro, in Ced. Cass., Rv. 255862.

[6] Cass., sez. un., 27 aprile 2017, n. 28954, Iannelli, cit., § 2.

[7] Cass., sez. un., 19 dicembre 2001, n. 41, Angelucci, in Cass. pen., 2002, p. 1618, con nota di A. Marandola, Mancata opposizione delle parti e appellabilità delle sentenze di proscioglimento predibattimentale.

[8] Cass., sez. un. 25 gennaio 2005, De Rosa, in Cass. pen., 2005, p. 1835 ss.

[9] Cass., sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, Conti, in Giust. pen., 2003, III, c. 129 ss.

[10] Cass., sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, Conti, cit.

[11] Cass., sez. I, 22 febbraio 2011, Posti, in Foro it., 2011, II, c. 581 ss.; Cass., Sez. un., 28 maggio 2009, Tettamanti, cit.; Cass., sez. V, 11 novembre 2008, Mazzamuto, in Cass. pen., 2010, p. 1564 ss.