ISSN 2039-1676


21 settembre 2017 |

È applicabile l'aggravante ex art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. 309/1990 al traffico di sostanze stupefacenti nei pressi dell'Università?

Nota a Cass., Sez. VI, sent. 14 febbraio 2017 (dep. 1 giugno 2017), n. 27458, Pres. Rotundo, Rel. Fidelbo, Ric. P.M. in proc. Maarafi

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2017

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1. Con la sentenza in commento, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione esclude la configurabilità dell'aggravante ad effetto speciale ex art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. 309/1990[1] al traffico di sostanze stupefacenti avvenuto nei pressi dell'Università.

Più nello specifico, la Suprema Corte rigetta il ricorso promosso dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del G.I.P. di Bologna con cui veniva respinta la richiesta di convalida dell'arresto e di applicazione di una misura cautelare custodiale a carico dell'imputato perché ritenuti infondati entrambi i motivi dedotti.

 

2. Nella vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, l'imputato veniva tratto in arresto dalla polizia giudiziaria perché colto nell'atto di vendita di un modesto quantitativo di cocaina dal peso lordo di 1.73 grammi verso un corrispettivo di denaro non identificato, nei pressi dell'area universitaria. Il reato, correttamente ipotizzato nell'ipotesi lieve di cui all'articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, in ragione della modesta entità della sostanza stupefacente rinvenuta e delle modalità dell'avvenuta cessione[2], veniva, secondo il primo giudice, erroneamente contestato con l'aggravante di cui sopra in quanto non riconducibile l'università né alla categoria di “scuole di ogni ordine e grado” né a quella “delle comunità giovanili.

                                                                                                                                                                

3. Avverso tale ordinanza ricorreva il Pubblico Ministero deducendo l'erronea applicazione dell'art. 80, comma 1, lett. g) d.P.R. 309/1990 laddove si esclude che l'aggravante in questione possa essere contestata anche con riferimento alle aree universitarie, visto che la norma sarebbe applicabile al traffico di sostanze stupefacenti avvenuto nei pressi di “scuole di ogni ordine e grado” ed, eventualmente, anche nelle zone identificabili come “comunità giovanili”, nonché la mancata convalida dell'arresto per non aver considerato la pericolosità dell'imputato, desumibile dalla circostanza che a carico dello stesso risultava già un arresto in flagranza di reato per un'identica condotta commessa negli stessi luoghi.

 

4. Nell'analizzare il primo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione, ripercorre le motivazioni che hanno portato il G.I.P. di Bologna ad escludere l'applicazione della suddetta aggravante all'ipotesi in questione. In primo luogo, si afferma nel provvedimento impugnato, i principi di tassatività e di legalità in materia penale non consentono di sanzionare una condotta o ritenere sussistente una circostanza che aggravi la pena attraverso un'interpretazione di tipo analogico in malam partem, spettando al legislatore le scelte di natura sanzionatoria. Da ciò evidentemente deve ricavarsi che i luoghi presi in considerazione dall'aggravante in questione (“scuole di ogni ordine e grado” e “comunità giovanili”) siano da interpretarsi strictu sensu, dovendosi evitare applicazioni estensive della norma ancorché ispirate all'ottenimento di un più efficace contrasto alla diffusione delle droghe in situazioni di particolare vulnerabilità sociale.

In secondo luogo, prosegue l'ordinanza, nonostante la ratio dell'aggravante in questione consista nel rafforzare la tutela penale nei confronti di quelle condotte illecite poste in essere proprio in presenza di collettività ritenute particolarmente vulnerabili perché maggiormente esposte alle insidie dello spaccio di droga a causa della giovane età ovvero dei luoghi frequentati, in cui è più facile la diffusione degli stupefacenti (scuole, comunità giovanili, caserme, ospedali e strutture per la cura dei tossicodipendenti), il dovere di interpretazione restrittiva della circostanza aggravante, nonché il rispetto del divieto di analogia in malam partem, impongono di escludere che l'area universitaria possa essere ricompresa nelle categorie, ancorché generiche, dalla norma menzionate.

A tal fine, si cerca di corroborare la suddetta tesi attraverso la valorizzazione del disposto dell'art. 33 della Costituzione nel quale si distingue in maniera netta la scuola dall'istruzione universitaria. Conformemente al dettato costituzionale, si sostiene che l’ordinamento delle scuole e quello delle università costituirebbero sistemi del tutto distinti e ispirati a principi in parte antitetici: basti considerare che il ciclo di studi scolastico è vincolato al rispetto di programmi predisposti dal competente Ministero, laddove l’insegnamento universitario è libero (ragione per cui i docenti universitari non sono sottoposti a giuramento), nonché al fatto che il ciclo scolastico si conclude con un esame di Stato (art. 33 comma 5° Cost.), anziché con un diploma di laurea conferito da una commissione interna, come nel caso dell'istruzione universitaria.

Ulteriormente, il G.I.P. di Bologna esclude che l'università possa essere ricompresa nella categoria delle comunità giovanili, ritenendo quest'ultimo che il legislatore, con la suddetta espressione, abbia voluto intendere contesti collettivi omogenei i cui componenti siano presenti in forma non occasionale in determinati luoghi”. Riconoscendo in primo luogo la indeterminatezza della suddetta locuzione, nondimeno anche in questo caso se ne esclude l'applicazione al caso concreto sulla base di una lettura testuale del dato normativo, dove non si richiama né la scuola, né tanto meno l'università[3]. Secondo l'ordinanza, a tal fine, non sarebbero ravvisabili nell'università i caratteri propri della comunità giovanile, intesa quale entità collettiva presente in modo stabile, residenziale o comunque non estemporaneo in un luogo ad essa esclusivamente dedicato. L'università si distingue per la presenza di una complessità e di un'articolazione di compiti e di sedi che non possono farla ritenere una comunità giovanile, anche perché le varie attività didattiche sono normalmente suddivise in vari luoghi, anche distanti fra loro, e i tempi del giorno e dell'anno, ovvero la presenza di diverse attività di tipo amministrativo, altrettanto coessenziali all'esistenza dell'istituzione, richiedono l'impiego di persone di svariate età e non soltanto giovani.

 

5. In verità, osserva la Suprema Corte, contrariamente a quanto in precedenza affermato dal primo giudice, l'estrema genericità dell'espressione “comunità giovanili” potrebbe giustificare il riferimento anche all'università, così come sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, senza per questo ricorrere al ragionamento analogico. Ciononostante, nel caso in questione, ciò che impedisce l'applicazione all'imputato dell'aggravante in commento è costituito, essenzialmente, dalla nozione di “prossimità” contenuta nel testo dell'art. 80. Si sostiene, conseguentemente, che l'espressione designi quelle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate, che devono essere ubicate nelle immediate vicinanze e, proprio per questo, abitualmente frequentate dagli utenti istituzionali, siano essi studenti, militari o pazienti: in altri termini, tra i luoghi indicati e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di relazione immediata, altrimenti non si giustificherebbe nemmeno la previsione dell'aggravante, riferita, appunto, alla oggettiva localizzazione della cessione o dell'offerta dello stupefacente alle persone che frequentano tali luoghi. Sotto questo profilo, a giudizio dei giudici di legittimità, i fatti contestati all'imputato dalla pubblica accusa non sarebbero sufficienti ad integrare tali caratteri, atteso che l'imputazione si riferisce genericamente alla cessione di cocaina “commessa in via [...], angolo [...], in prossimità dell'area universitaria”, mentre il verbale di arresto riferisce semplicemente che il fatto è avvenuto nei pressi dell'ingresso dei […]. Tali considerazioni portano a ritenere evidente che il concetto di prossimità sia stato inteso in senso molto ampio, facendosi generale riferimento alla zona universitaria che nel centro di Bologna occupa interi quartieri, laddove invece si è sostenuto che la nozione di prossimità va intesa, rigorosamente, come contiguità fisica e posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio (o all'offerta) in un luogo che consente l'immediato accesso alle droghe per le persone che lo frequentano[4]. Concludendo sul punto, la Suprema Corte ritiene che il riferimento del tutto vago alla “zona universitaria”, accompagnata dalla puntualizzazione che i fatti si sono svolti all'ingresso di giardini pubblici, non consente di ritenere concretamente che la cessione dello stupefacente da parte dell'imputato sia avvenuta “in prossimità” di una “comunità giovanile”, anche a voler intendere come tale un'area universitaria.

 

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7. Volendo formulare qualche breve considerazione sulla pronuncia in esame, appare necessario sottolineare come la Suprema Corte, contraddicendo quanto affermato dal G.I.P. di Bologna, ammetta la possibilità di ricomprendere l'istruzione universitaria nell'ampio concetto di comunità giovanile tipizzato all'art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. 309/1990.

A parere di chi scrive, questo mutamento di prospettiva rispetto al precedente grado di giudizio si mostra decisamente condivisibile. In primo luogo, l'esclusione delle zone universitarie dalle aree tipizzate nell'articolo in questione, sulla base di un'argomentazione per lo più letterale, appare eccessivamente restrittiva, alla luce in particolare della ratio dell'aggravante in commento, che mira a rafforzare la tutela penale nei confronti di quelle condotte illecite poste in essere proprio in presenza di collettività ritenute particolarmente vulnerabili perché maggiormente esposte alle insidie dello spaccio anche in ragione della giovane età.

In secondo luogo, la stessa si presenta convincente anche alla luce delle intenzioni del legislatore, il quale ha inteso delineare, con il termine comunità giovanile, semplicemente un contesto collettivo omogeneo in cui i componenti siano presenti in forma non occasionale in determinati luoghi (nozione che sembra dunque ricomprendere anche l'ambiente universitario). La lettura portata avanti dal primo giudice, infatti, poneva anche in questo caso alla base del proprio ragionamento una sterile interpretazione letterale del testo della norma che, appunto, non richiama direttamente l'istruzione universitaria: convalidare una siffatta impostazione comporterebbe un sensibile restringimento della portata della fattispecie nonché l'esclusione anche di altri contesti giovanili di vario tipo, frequentati da ragazzi potenzialmente inclini a cadere nell'uso di sostanze stupefacenti che, altresì, non siano letteralmente ricompresi nel testo dell'art. 80.

 

8. Tuttavia, i giudici di legittimità rigettano il ricorso promosso dal Pubblico Ministero escludendo l'applicabilità dell'aggravante al fatto in questione in quanto non ritenuto integrato il concetto di “prossimità” ai luoghi indicati dalla norma.

Nell'ordinanza si legge chiaramente che l'imputazione si riferisce genericamente alla cessione di cocaina commessa in via […], angolo […], in prossimità dell'area universitaria. Secondo la Suprema Corte, da tale provvedimento appare che il concetto di “prossimità” sia stato inteso in senso notevolmente ampio, facendo riferimento in via generale ed aspecifica alla zona universitaria, che nel centro di Bologna occupa interi quartieri, laddove, si sottolinea, la nozione di prossimità sia da intendere come contiguità fisica e posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio (o all'offerta) in un luogo che consente l'immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano. Nell'analizzare il concetto di prossimità ai luoghi tipizzati dalla norma, la Corte sembra dunque promuovere una lettura molto rigorosa del termine, escludendo ragionevolmente che lo stesso possa essere integrato da colui che casualmente venga colto, nei pressi dell'area universitaria, nell'attività di offerta di sostante stupefacenti ai passanti, richiedendo invece il posizionamento strategico dell'autore in quei luoghi.

 

9. In definitiva, le conclusioni ermeneutiche alle quali giunge la sentenza in commento appaiono condivisibili. Risulta senza dubbio apprezzabile la possibilità di ricomprendere l'area universitaria nell'ampio concetto di comunità giovanile ed, allo stesso stesso tempo, condivisibile la necessità di interpretare il concetto di “prossimità” in modo rigoroso, onde evitare una dilatazione sensibile della portata della norma. La Corte di Cassazione accantona così l'impostazione indebitamente restrittiva  che il G.I.P. di Bologna ha posto alla base del proprio ragionamento, per convalidare una ragionevole chiave di lettura più in linea con le finalità che l'aggravante stessa si pone di raggiungere.

 


[1] “Se l'offerta o la cessione è effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti”.

[2] Nell'ordinanza del G.I.P. di Bologna del 17 novembre 2016 si afferma “quanto alle modalità del fatto, si rileva che si è in presenza non soltanto di una cessione di un'unica dose di sostanza stupefacente, ma anche di una dose per un quantitativo lordo modesto, effettuata secondo le tipiche modalità di cessione utilizzate da parte dei soggetti che, nella catena criminale del commercio illecito di sostanze stupefacenti, si trovano nella posizione marginale di cessionari di singole dosi ad acquirenti contattati anche sulla pubblica via. Tali circostanze dimostrano la lontananza di tali soggetti, come l'odierno arrestato, dai livelli più alti della piramide criminale che si occupa del commercio illegale di droghe, e quindi la loro limitata pericolosità in relazione alla capacità di movimentazione di rilevanti quantitativi di sostanze stupefacente”.

[3] Si sostiene “Con tale dizione, all'evidenza, non possono intendersi, né gli istituti scolastici, perché oggetto di specifica previsione, né l'Università perché non esplicitamente richiamata”.

[4] Vedi Cass., IV Sez. Pen., n. 51957, 24 novembre 2016.