ISSN 2039-1676


09 gennaio 2017 |

Lettera e ratio dell'aggravante di cui all’art. 80, co. 1, lett. g), D.P.R. 309/1990. Lo spaccio in università al vaglio della giurisprudenza di merito

Nota a G.I.P. Bologna, ord. 17 novembre 2016

Contributo pubblicato nel Fascicolo 1/2017

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1. Con l’ordinanza che si segnala l’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Bologna esclude l’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 80 co. 1 lett. g) D.P.R. 309/1990 in un caso di cessione di sostanze stupefacenti avvenuto nei pressi dell’area universitaria cittadina, ritenendo che l’università non possa essere ricondotta alla categoria delle “scuole di ogni ordine e grado”, né a quella delle “comunità giovanili. Si tratta di un provvedimento interessante, che chiama in causa questioni generali in tema di teoria dell’interpretazione e che si occupa per la prima volta di un profilo, sul quale – a conoscenza di chi scrive – non esistono precedenti. 

 

2. Il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di convalida dell’arresto e di emissione di una misura cautelare personale nei confronti di un soggetto colto in flagranza mentre cedeva un modesto quantitativo di cocaina del peso lordo di 1,73 grammi. Il G.I.P. ritiene anzitutto correttamente contestato il reato nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73 co. 5 D.P.R. 309/1990 “in ragione della modesta entità della sostanza stupefacente rinvenuta e delle modalità della cessione, tipiche da spaccio da strada”. Trattandosi di un delitto per il quale è previsto l’arresto facoltativo in flagranza, il giudice procede a valutare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 381 co. 4 c.p.p.: la gravità del fatto e la pericolosità del soggetto. Secondo una prima valutazione, entrambe queste circostanze sembrano da escludere, dal momento che una serie di indici fattuali (unicità della dose, quantitativo modesto, modalità della condotta realizzata sulla pubblica via) lasciano intendere che l’episodio sia connotato dalle “tipiche modalità di cessione utilizzate da parte dei soggetti che, nella catena criminale del commercio illecito di sostanze stupefacenti, si trovano nella posizione marginale”, lontani “dai livelli più alti della piramide criminale che si occupa del commercio illegale di droghe”.   

 

3. La gravità del fatto, secondo il giudicante, potrebbe peraltro discendere dalla contestata aggravante di cui all’art. 80 co. 1 lett. g) D.P.R. 309/1990, essendosi – come detto – la condotta di spaccio realizzata nei pressi di una sede dell’Università di Bologna. Va detto tra parentesi che il rapporto biunivoco tra gravità e aggravante è da ritenersi frutto di una libera valutazione in fatto del giudice, posto che dal punto di vista giuridico la sussistenza dell’aggravante in parola, ben compatibile con l’ipotesi di reato di cui all’art. 73 co. 5 D.P.R. 309/1990[1], non comporta l’arresto obbligatorio in flagranza, né esclude ipso iure che il fatto possa essere ritenuto non grave ex art. 381 co. 4 c.p.p. In ogni caso, formulata questa premessa argomentativa, il giudicante si interroga circa la configurabilità nel caso si specie della contestata aggravante e giunge ad escluderla sulla base di un’accurata motivazione.

 

4. Prima di scendere nel dettaglio delle argomentazioni, il G.I.P. procede a una condivisibile ricostruzione della ratio della aggravante in parola, la quale è tesa a rafforzare la tutela penale “laddove la condotta illecita sia attuata in presenza di collettività ritenute particolarmente vulnerabili o a cagione dell’età (scuole e comunità giovanili) o perché accomunate da uno stile di vita che può agevolare la diffusione anche emulativa del consumo di droghe (carceri e caserme) o, infine, perché debilitate nella propria capacità di autodeterminazione per ragioni di salute o per aver già vissuto vicissitudini di tossicodipendenza (ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti)”.

 

5. Nel decidere se l’università sia riconducibile alla categoria delle “scuole di ogni ordine e grado, tuttavia, l’ordinanza segnalata mette da parte le predette finalità dell’aggravante. Il giudice ritiene infatti sufficiente, nel rispetto della gerarchia dei criteri ermeneutici, il ricorso a un’interpretazione letterale, resa ancora più stringente dal principio di legalità vigente in materia penale e dal conseguente divieto di analogia. Ragionando in quest’ottica, il giudicante adduce tre indici, di natura prettamente logico-sistematica, che permetterebbero di escludere l’università dalla “dizione normativa” in discussione. In primo luogo, verrebbe in rilievo l’art. 33 della Costituzione, il quale – secondo il giudice – distingue in maniera netta le scuole, trattate nei commi 2, 3, 4 e 5, dalle università, cui è riferito il sesto comma. A riprova di ciò, viene osservato nell’ordinanza che mentre ogni ciclo scolastico è concluso da un esame di Stato ex art. 33 co. 5 Cost., lo stesso non si potrebbe dire in riferimento all’università, ove la laurea, pur avendo “titolo legale”, “viene conferita da una commissione interna alla facoltà e non a seguito di esame di Stato”. In secondo luogo, deporrebbe nel senso predetto anche la normativa primaria e segnatamente il d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, il quale fa espressamente riferimento nella rubrica alle “scuole di ogni ordine e grado” e fra esse non menziona l’università, disciplinando solamente le scuole dalle materne alle medie superiori. In terzo luogo, per finire, una conferma dell’estraneità dell’università alle “scuole di ogni ordine e grado” si potrebbe trarre anche dalla nomenclatura ministeriale, la quale, definendo i nomi dei dicasteri, ha sempre tenuto distinti i concetti di istruzione e di università.

 

6. Passando al concetto di comunità giovanile, il G.I.P. ne riconosce anzitutto l’irriducibile genericità, ma nuovamente la possibilità che l’università sia sussumibile entro tale locuzione viene esclusa sulla base di quella che il giudicante ritiene essere la corretta esegesi del dato testuale. Secondo il giudice, in particolare, mancherebbe all’università la natura – propria invece della comunità giovanile – di “entità collettiva presente – in modo stabile, residenziale o comunque non estemporaneo – in un luogo ad essa esclusivamente dedicato”. La circostanza che manchi in questo caso “uno spazio fisico specifico e delimitato che sia sede di una ‘comunità giovanile” sarebbe confermato dalla considerazione che “l’istituzione universitaria consta di una complessità e di un’articolazione di compiti e di sedi che non possono farla ritenere una comunità giovanile” e che non appare possibile “individuare nell'ambito dell'attività universitaria un luogo stabile di presenza di giovani, dal momento che le varie attività didattiche sono normalmente suddivise in vari luoghi, anche distanti tra loro, e tempi del giorno e dell'anno, ovvero alla presenza di diverse attività di tipo amministrativo, altrettanto coessenziali all'esistenza dell'istituzione, che richiedono l'impiego di persone di svariate età e non solo giovani”.

 

7. Così argomentando, il giudice esclude ogni profilo di gravità della condotta di cessione contestata e, sulla base dei citati criteri previsti dal codice di rito, decide di non convalidare l’arresto. Per mera completezza, va detto a margine come invece il G.I.P. applichi all’indagato una (blanda) misura cautelare personale, stimando sussistenti tanto i gravi indizi di colpevolezza, quanto l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato.

 

* * *

 

8. Volendo formulare alcune brevi considerazioni, merita anzitutto di essere segnalato, a livello di approccio e di metodo esegetico, il coraggio del giudicante, il quale, nonostante l’attuale clima di securitarismo legislativo[2] e giudiziario e le comprensibili preoccupazioni dell’opinione pubblica per il degrado dei contesti urbani, ha optato per il rispetto dell’art. 25 Cost. quale “limite ermeneutico invalicabile” e ha fornito la propria interpretazione dei concetti in gioco senza pregiudizi, attraverso un articolato tessuto motivazionale.

 

9. A modesto parere di chi scrive, tuttavia, la tenuta dell’argomentazione del G.I.P. fatica a reggersi sullo stretto ed esclusivo canone di interpretazione testuale, che il giudicante stesso ha impostato quale perno dell’intero ragionamento. Ciò deriva non certo dall’astratta implausibilità degli argomenti proposti, quanto piuttosto dall’esistenza di una pluralità di possibili indici esegetici di segno inverso, che, unitamente all’imprecisione delle formule utilizzate dal legislatore all’art. 80 lett. g), potrebbero far sorgere un insolubile contrasto interpretativo. Basti sul punto considerare come entrambi gli argomenti sistematici adottati possano trovare una valida replica dialettica. Quanto al dato costituzionale, può infatti essere osservato che l’esistenza di un comma dell’art. 33 specificamente riferito all’università e alle altre istituzioni di alta cultura non implica, dal punto di vista logico, che a queste ultime non si applichino anche i commi precedenti, ossia che le stesse non facciano parte del sistema dell’istruzione e della scuola. Avere talune specificità non esclude infatti di appartenere a un genere. A conferma di ciò, pare d’altronde porsi la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto, in diverse occasioni, che “gli artt. 33 e 34 della Costituzione pongono i principi fondamentali relativi all’istruzione con riferimento […] all’organizzazione scolastica (della quale le università […] sono parte)[3]. Quanto poi al riferimento al D. Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, è vero che esso trascura il settore universitario, ma è anche vero che nell’epigrafe del decreto è indicato espressamente come tale limitazione derivi dal fatto che la legge delega autorizza “il Governo ad emanare un testo unico concernente le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, esclusa quella universitaria”. Ciò potrebbe portare ritenere che l’università faccia parte del sistema scolastico, sulla base della considerazione che sarebbe altrimenti superflua e priva di senso tale espressa esclusione.

 

10. È evidente a tutti, peraltro, come nemmeno gli argomenti da ultimo suggeriti siano tali da superare ogni incertezza. Essi si pongono semplicemente in tensione dialettica con quelli correttamente indicati dal giudice, sì da preservare quello stato di dubbio esegetico che discende dall’imprecisa tecnica legislativa. Ad avviso di chi scrive, nel corroborare la condivisibile soluzione ermeneutica fornita dal giudicante, avrebbe dovuto essere valorizzato un argomento di natura teleologica, che discende dalle corrette premesse che l’ordinanza reca in punto di ratio dell’aggravante in parola. Il maggior disvalore sancito da quest’ultima si deve individuare – come indicato nell’ordinanza – nella maggiore fragilità che connota determinate comunità, o meglio i soggetti che in esse convivono. La caratteristica comune di costoro è di essere più facilmente plasmabili e, dunque, potenzialmente inclini a cadere nell’uso di sostanze stupefacenti: vuoi per caratteristiche loro intrinseche quali la giovane età (minorenni all’interno delle scuole e delle comunità giovanili) e le precarie condizioni psico-fisiche (infermi all’interno degli ospedali ed ex tossicodipendenti all’interno dei centri di recupero e riabilitazione); vuoi perché gli stessi sono costretti all’interno di istituzioni totali[4] (detenuti all’interno delle carceri, militari nelle caserme). Ebbene, né queste né altre fonti di fragilità sembrano in effetti sussistere rispetto all’istituzione universitaria, la quale ospita, per tempi limitati e in assenza di qualsivoglia “meccanismo totalizzante”, giovani e meno giovani adulti, sempre maggiorenni e normalmente sani da un punto di vista psico-fisico, che si limitano a studiare e ad assistere ad attività didattiche senza alcun obbligo di permanenza.

 

11. Queste considerazioni permettono, in definitiva, di fornire ulteriore sostegno alle argomentazioni del G.I.P. di Bologna. Esse portano a escludere che l’università possa essere annoverata fra le scuole di ogni ordine e grado e fra le comunità giovanili, menzionate all’art. 80 co. 1 lett. g) D.P.R. 309/1990, in ragione di una serie di argomenti teleologici che soccorrono l’interprete, quali criteri esegetici sussidiari, al cospetto di un dato testuale impreciso, che si presta a letture diversificate. Questi stessi parametri potranno essere utili in futuro per valutare ulteriori casi dubbi che si dovessero presentare, non essendo verosimile (né forse auspicabile) che il legislatore intervenga a dettagliare, con una prolissa tecnica casistica, tutte le possibili estrinsecazioni dei concetti menzionati e, soprattutto, del concetto più lato di “comunità giovanile”.       

 

[1] Vd., per tutti, G. Piffer, sub art. 73 D.P.R. 309/1990, in E. Dolcini-G. L. Gatta (diretto da), Codice Penale Commentato, 4a ed., Milano, 2015, p. 2271. In giurisprudenza, pur con riferimento alla precedente configurazione dell’art. 73 co. 5 quale circostanza attenuante e non quale titolo autonomo di reato, cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 10947 dell’8 luglio 1993 in Foro it., 1994, II, 289 ss., con nota di G. Amato, Qualche notazione sul “fatto di lieve entità” in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope.

[2] Sui vizi di irragionevolezza e sulla tendenza eccessivamente repressiva della legislazione penale sugli stupefacenti vd., da ultimo, A. Gaboardi, La disciplina penale in materia di stupefacenti al cimento della ragionevolezza, un G. Morgante (a cura di), Stupefacenti e diritto penale. Un rapporto di non lieve entità, Torino, 2015, p. 83 ss.

[3] In questi termini C. Cost., sent. n. 383 del 23-27novembre 1998. Conf. C. Cost., sent. n. 195 del 14 dicembre 1972 che riconosce l’applicabilità alle università di tutti i principi di cui all’art. 33 Cost.

[4] Sul processo di “disculturazione” in atto all’interno delle istituzioni totali si veda il classico E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, 2010, p. 43 ss.