ISSN 2039-1676


14 luglio 2016

Stupefacenti e fatto di lieve entità: un nuovo orientamento in ipotesi di spaccio continuato

Nota a C. App. Venezia, Sent. 5 aprile 2016 (dep. 13 maggio 2016), Pres. Galli, Est. Miazzi, Imp. Martin

1. Con la sentenza commentata, depositata il 13 maggio 2016, la Corte d'appello di Venezia ha qualificato come fatto di lieve entità la condotta di un imputato accusato di plurime cessioni di cocaina, condannato in primo grado alla pena di anni 2 mesi 10 di reclusione e € 14.000 di multa, perché ritenuto colpevole del reato nella forma ordinaria prevista dall'art. 73 comma 1 D.P.R. 309/1990, partendo da una pena base di anni 6 di reclusione e € 27.000 di multa (minimo di legge ai sensi della l. 49/2006 poi dichiarata incostituzionale).

In fatto, l'imputato era accusato di avere ceduto sostanza stupefacente del tipo cocaina in circa 20 occasioni a un consumatore, in 11 occasioni ad un altro, in 3 occasioni ciascuno ad altri 3; cessioni effettuate sempre per  una dose alla volta, in un arco di tempo di sei mesi.

All'esito del giudizio di appello, la Corte afferma che "si deve riconoscere il reato autonomo di lieve entità di cui all'art. 73 co. V D.P.R. n. 309/1990 nelle condotte di modesta e non rilevante detenzione di sostanze stupefacenti; e nelle condotte di cessione a consumatori finali, anche continuative, effettuate con rudimentale organizzazione di mezzi e di persone, quando non risulti una diretta partecipazione ad attività organizzative di rilevante pericolosità".

 

2. Il provvedimento rileva per l'innovativa interpretazione degli elementi normativi dell'istituto, che consente - come prefigura la stessa sentenza - l'applicazione del principio enunciato anche ad altre condotte di detenzione e spaccio.

In primo luogo, la Corte d'appello afferma che il combinato disposto delle modifiche legislative e delle abrogazioni costituzionali ha creato un reato autonomo che è cosa diversa dalla semplice  trasformazione formale dell'attenuante di cui al comma V previgente. A questa conclusione il giudice giunge dopo aver ricostruita la disciplina succedutasi nel tempo in relazione all'art. 73 co. V D.P.R. n. 309/1990: il D.L. n. 146/2013, che ha modificato il comma V dell'art. 73 t.u., qualificandolo come reato autonomo e prevedendo la reclusione da uno a cinque anni per i fatti di lieve entità, concernenti droghe 'pesanti' e 'leggere' senza distinzione; la sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, che ha ripristinato per il reato base del comma I la legge n. 162/1990 che distingueva le pene a seconda che si trattasse di droghe leggere o di droghe pesanti; la L.16 maggio 2014, n. 79, che ha nuovamente modificato l'art. 73, co. V t.u., prevedendo la reclusione da sei mesi a quattro anni per droghe 'pesanti' e 'leggere' indistintamente [1].

Il giudice osserva quindi che – all'esito di queste modifiche normative – nel reato "ordinario", commi I e IV dell'art. 73, si distingue fra droghe pesanti e droghe leggere, tanto che la pena minima delle pesanti è più alta della massima delle leggere; e coerentemente ha  modificato nuovamente gli articoli 13 e 14 in materia di tabelle stabilendo i criteri per la formazione delle cinque tabelle,  di cui quattro sono richiamate dalle disposizioni sanzionatorie di cui all'art. 73.

Il comma V, invece, ora prevede non più una circostanza attenuante, ma - sia per le droghe pesanti che per quelle leggere punite indifferentemente - un reato autonomo che sanziona i fatti previsti dall'art. 73 (quindi descritti nel I come nel IV comma) che siano di lieve entità: e quindi le condotte di chi "coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene" le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle previste dalla legge.

Il punto focale del ragionamento interpretativo della sentenza è quindi che nel nuovo contesto normativo "mentre nel reato ordinario, distinto in I e IV comma, conta il tipo di sostanza, nel V il tipo di sostanza non conta più, non è fra gli indici della tenuità descritti dal legislatore, che altrimenti differenzierebbe le pene. Ne consegue che la fattispecie del V comma non è più quella di un I o IV comma attenuato: sostenerlo ancora sarebbe contrario al dato normativo. Il fatto di lieve entità è un fatto diverso, che ha per oggetto una condotta diversa da quella delle ipotesi più gravi." [2]. Una interpretazione innovativa, questa, che sembra trovare sostegno anche nella motivazione della recente sentenza della Corte Costituzionale sull'art. 73 co. V D.P.R. n. 309/1990, secondo la quale - sotto il profilo della "irragionevolezza estrinseca" - il fatto che l'attuale art. 73 co. 5 t.u. stup. costituisca una fattispecie autonoma di reato (e non più una circostanza attenuante delle fattispecie base di cui ai commi precedenti, come si riteneva nel vigore del testo precedente al d.l. 146/2013), farebbe venir meno l'"esigenza di mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi" [3].

 

3. Nella sentenza si procede quindi alla rilettura della giurisprudenza sinora elaborata  in materia di V comma,  per superare il "blocco" sinora costituito da un arresto delle SS.UU.  risalente ma mai rivisto, secondo il quale  "l'attenuante non è infatti concedibile relativamente allo spaccio esercitato in modo continuativo, attività questa cui è attribuibile la diffusione sempre più larga e capillare, della droga e, per ciò, di rilevante pericolosità sociale" [4]. Ciò avviene rivalutando quell'orientamento, emerso nei primi anni di vigenza della l. n. 162/1990 e poi divenuto minoritario e abbandonato, secondo il quale "anche lo spaccio continuativo può essere astrattamente definito di lieve entità ove, tenuto conto della quantità e qualità delle sostanze cedute e dell'eventuale sussistenza di altre componenti relative alle modalità ed ai mezzi della condotta, valutate nel senso anzidetto, sia da ritenere che esso abbia inciso in modo ridotto sull'interesse protetto" [5].

E ciò anche alla luce del principio di ragionevolezza della pena, evidenziato anch'esso dalla una giurisprudenza poi accantonata, secondo la quale gli estremi sanzionatori del comma I, assai pesanti "rendono necessaria una interpretazione non restrittiva del carattere "lieve" del fatto. Considerate poi le pene previste dai commi primo e quarto dell'art. 73, il "fatto di lieve entità" deve essere individuato con criteri interpretativi che consentano di rapportare in modo razionale la pena al fatto, tenendo conto di quel criterio di ragionevolezza (che vale tanto per il legislatore quanto per l'interprete), imponendo l'art. 3 Cost., in materia penale, la proporzione fra la quantità e la qualità della pena e l'offensività del fatto" [6].

 

4. È rilevante anche la riflessione sul rapporto fra il piccolo spaccio e l'organizzazione criminale che lo stesso ha necessariamente alle spalle. Considerare comunque il piccolo spacciatore autore di una condotta di lieve entità, si osserva nella sentenza, "non significa che l'organizzazione sia indifferente": se lo spacciatore partecipa a un sistema stabile di approvvigionamento, di distribuzione e di cessione della droga, la condotta finale rimane il fatto autonomo del V comma, ma "l'organizzazione predisposta alle spalle dello spacciatore finale costituisce un'associazione per delinquere, anzi proprio l'associazione per delinquere "per commettere i fatti del V comma" prevista dall'articolo 74 comma 6 del testo unico."

Il percorso interpretativo intrapreso peraltro non limita la sua applicazione ai casi di spaccio continuato, ma "naturalmente" si estende anche ai casi di detenzione di modesti quantitativi di sostanza stupefacente. Nella sentenza si richiamano i parametri - indicati dalla Cassazione in relazione all'aggravante della ingente quantità - concernenti il quantitativo, le ricadute per la salute pubblica, la tipologia dei consumatori, le condizioni in genere del mercato illegale, applicandoli alla "quantificazione" della (non ingente, ma) modesta quantità della detenzione rientrante nel V comma. Quindi la Corte d'appello richiama i propri precedenti di raccolta della giurisprudenza di merito del distretto, che consente di registrare una sostanziale uniformità di valutazione, nel senso di considerare di lieve entità una detenzione sino a 10 grammi di principio attivo delle diverse sostanze [7].

L'interpretazione suggerita dalla sentenza commentata consente perciò, nella valutazione del fatto come di lieve entità, di considerare sotto aspetti diversi – e non ostativi alla qualificazione del fatto come attenuato – il dato quantitativo e quello organizzativo, meglio adattando la risposta della giurisprudenza alla realtà del fenomeno criminale.

F. V.

 


[1] Per la ricostruzione delle modifiche all'art. 73, si rinvia a Luisa Romano, Art. 73 del d.p.r. n. 309 del 1990: puntualizzazioni sul testo vigente, in questa Rivista, 22 luglio 2014.

[2] Al riguardo venne formulata, sia pure sotto un profilo particolare, dal Trib. di Nola, Sez. pen., ord. 8 maggio 2014, questione di legittimità costituzionale del trattamento sanzionatorio dei fatti di 'spaccio' di lieve entità, riportata con commento di Luisa Romano in questa Rivista, 3 ottobre 2014.

[3] Carlo Bray, Legittima la nuova formulazione dell'art. 73 co. 5 t.u. stup.: insindacabile la scelta legislativa di equiparare droghe pesanti e leggere, commento a Corte cost., sent. 13 gennaio 2016 (dep. 11 febbraio 2016), n. 23, in questa Rivista, 7 marzo 2016.

[4] Cassazione Sez. U, Sentenza n. 9148 del 1991.

[5] Cassazione, Sez. 6, Sentenza n. 3368 del 14/01/1994.

[6] Cassazione Sez. 6, n. 6887 del 17/05/1994.

[7] Il lavoro svolto in questo senso dalla Corte d'appello di Venezia è esposto da Lorenzo Miazzi, Determinazione della pena in materia di stupefacenti: è possibile elaborare delle linee-guida?, in questa Rivista, 3 giugno 2014.