ISSN 2039-1676


11 gennaio 2012 |

Rimessa alle Sezioni Unite la questione circa l'interpretazione del concetto di "ingente quantità " di sostanza stupefacente, di cui all'aggravante ex art. 80 co. 2 T.U. Stupefacenti

Nota a Cass. sez. IV, ord. 11.10.2011 (dep. 25.10.2011), n. 38748, Pres. Marzano, Rel. Marinelli

1. Con l'ordinanza[1] che può essere letta in allegato, la IV sezione della Suprema Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite[2] una questione ormai da tempo oggetto di contrasto giurisprudenziale.

Si tratta del significato da dare al concetto di 'ingente quantità' di cui all'art. 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. Stupefacenti), il quale al comma 2 dispone che "se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi"[3].

Il problema, lungi dall'essere solo teorico, è di grande rilevanza pratica[4]: ove, nei reati previsti dall'art. 73 T.U. Stupefacenti, sia riconosciuta l'aggravante di cui all'art. 80, secondo comma, la pena base, già di per sé elevata (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 a 260.000 euro), viene drasticamente aumentata[5].

Come si vedrà nei paragrafi che seguono, l'opportuna investitura delle Sezioni Unite è dovuta ad una sezione della Corte (la IV) che è stata parte molto attiva del dibattito giurisprudenziale sulla fisionomia dell'aggravante. L'ordinanza di rimessione, per altro, si limita a registrare il conflitto interpretativo. Ecco, allora, un sintetico quadro dei precedenti nella materia.

 

2. Il tema era già stato oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, la n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera[6], che aveva cercato di definire dei criteri cui attenersi per superare l'indeterminatezza dell'espressione.

Nella giurisprudenza precedente al 2000 si era affermato l'utilizzo del concetto di "saturazione del mercato". La quantità veniva cioè rapportata "all'area di mercato considerata in un determinato momento storico e al periodo di tempo necessario per quel mercato di assorbire od esaurire la quantità destinata allo spaccio"[7]. Era considerata 'ingente' quella idonea "a saturare una vasta area di mercato per un apprezzabile periodo di tempo"[8].

Il giudice di merito, secondo questa impostazione, avrebbe dovuto "stabilire di volta in volta le condizioni in base alle quali può dirsi realizzata tale saturazione del mercato", determinando per un verso "quale sia l'area di mercato nella quale la droga detenuta è destinata (...) [e] la presumibile quantità di domanda cui l'offerta dello stupefacente sarà destinato" e, per altro verso, "quale sia il periodo nel quale possa durare la saturazione del mercato"[9].

Le SS.UU. sopra citate hanno tentato di scardinare tale impostazione, dichiarando doversi "abbandonare la incerta nozione di 'mercato'", elemento "non richiesto e spurio rispetto alla ratio della disposizione, (...) di impossibile accertamento con gli ordinari strumenti di indagine", e quindi "del tutto immaginario". Il richiamo ad un "fantomatico mercato", ed alla capacità di assorbimento di una "indefinibile massa di ipotetici consumatori" cadrebbe infatti necessariamente nell'"enunciazione di nozioni del tutto generiche e sottratte ad ogni riscontro fattuale".

Ciò premesso, le SS.UU., pur non abbandonando del tutto, in realtà, il riferimento al mercato[10], hanno enunciato un principio teso a dare maggior rilevanza al numero di consumatori che la sostanza è in grado, potenzialmente, di raggiungere. L'aggravante in questione sarebbe infatti integrata "tutte le volte in cui il quantitativo di stupefacente, "pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili, secondo l'apprezzamento del giudice di merito che vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza".

La giurisprudenza successiva a questa pronuncia si è tendenzialmente conformata al principio enunciato dalle SS.UU. [11], facendo riferimento più all'"agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili" che al raffronto con le transazioni usuali nell'ambito territoriale in cui agisce il giudice[12].

Su tale base, in particolare, la Corte ha negli ultimi anni individuato tre elementi la cui sussistenza deve essere accertata dal giudice di merito per ritenere sussistente l'aggravante: in primo luogo "l'oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale"; in secondo luogo "il grave pericolo per la salute pubblica che lo smercio di tale quantitativo comporta", ed infine "la possibilità di soddisfare richieste di numerosissimi consumatori per l'elevatissimo numero di dosi ricavabili"[13].

 

3. Recentemente, tuttavia, alcune sentenze della sezione VI della Corte di Cassazione, a partire dalla n. 20119 del 2010[14], hanno elaborato un diverso criterio.

La Corte, dopo aver richiamato in parte il principio enunciato dalle SS.UU. chiarendo che "ciò che conta è (...) il numero di fruitori finali e non l'area dove essi insistono", ha ricordato che "la nozione di 'quantità ingente' esprime semanticamente un significato oggettivo"[15]. Tale significato consiste, secondo la Corte, nel valore ponderale ed in particolare nel numero di dosi aventi effetto stupefacente.

Nonostante la valutazione del giudice di merito debba essere di volta in volta raffrontata alla "corrente realtà del mercato", la Corte ha ritenuto opportuno individuare dei limiti ponderali al di sotto dei quali la quantità di stupefacente non possa, di regola, dirsi 'ingente'. Ciò  per "meglio definire l'ambito di apprezzamento rimesso al giudice di merito", ai fini di un'applicazione che "non presti il fianco a critiche di opinabilità di valutazioni, se non di casuale arbitrarietà".

E' stato così statuito che "non possono di regola definirsi 'ingenti'" quantitativi di droghe 'pesanti' - in particolare eroina e cocaina - inferiori ai due chilogrammi; e quantitativi di droghe 'leggere' - in particolare, hashish e marijuana - inferiori ai cinquanta chilogrammi", con riferimento a valori di purezza medi[16].

Tale criterio è stato elaborato constatando che la giurisprudenza successiva alle SS.UU. ha di fatto preso decisioni tra loro anche in "evidente disarmonia, [pur] a fronte di dati quali-quantitativi e di realtà territoriali in tutto assimilabili", mentre l'applicazione giurisprudenziale della norma deve muoversi "quanto più possibile su parametri improntati a criteri oggettivi, e, quindi, verificabili", ciò al fine di garantire il rispetto "del principio di determinatezza, aspetto del più generale principio di legalità presidiato dall'art. 25 Cost., comma 2"; a maggior ragione ove si consideri che si tratta di una disposizione aggravatrice molto severa, di cui la Corte sottolinea le conseguenze relative al trattamento sanzionatorio e penitenziario[17].

Aderendo a tale impostazione si è ad esempio esclusa la sussistenza dell'aggravante in un caso di detenzione di 850 e 210 gr. di eroina pura[18], così come, in relazione all'hashish, è stata esclusa l'aggravante nel caso di detenzione di 7, 10 e 18 kg di sostanza[19]. La Corte ha inoltre annullato con rinvio sentenze che avevano applicato l'aggravante in caso di detenzione di 6, 28, 30 e 40 kg di hashish[20]. Si segnala, tuttavia, che alcune sentenze, pur richiamandosi al criterio 'ponderale', hanno ritenuto applicabile l'aggravante anche nel caso di detenzione di quantitativi di sostanza stupefacenti inferiori ai limiti di cui si è detto (2 kg per le droghe 'leggere', 50 kg per quelle 'pesanti')[21].

 

4. Il criterio ponderale fatto proprio dalla sesta sezione, con limitate eccezioni[22], non è stato condiviso dalla sezione quarta della Corte. Alcune sentenze di questa sezione hanno infatti espressamente respinto il criterio dei limiti ponderali, riconoscendo l'aggravante anche per quantitativi inferiori ai parametri stabiliti dalla sesta sezione (in particolare per la detenzione di 10, 20 e 28 kg di hashish[23])[24].

Anche sentenze della III[25] e della V[26] sezione, inoltre, hanno respinto il criterio dei limiti ponderali[27], ritenendo legittima la scelta del legislatore "di riservare al giudicante il potere di considerare un fatto aggravato o attenuato in relazione agli innumerevoli, e mai predeterminabili, casi della vita", e richiamando le pronunce della IV sezione[28].

La sezione quarta, in particolare, pur dichiarando di condividere le premesse dell'orientamento della sesta sezione - ossia "l'esigenza di garantire l'osservanza di parametri oggettivi e di rispettare il principio di determinatezza" - ha osservato che la fissazione di indici quantitativi ha valenza sostanzialmente normativa ed è, pertanto, prerogativa del legislatore[29].

E' stata inoltre evidenziata la problematicità del riferimento a valori 'medi' di purezza della sostanza. A parere della Corte, infatti, si tratta di un riferimento inadeguato, dato che "le percentuali di principio attivo variano da valori irrisori (anche inferiori all'1%) a valori superiori al 90%", aggiungendo che, "nella logica introdotta dalla sesta sezione (...) (condivisibile nelle sue finalità) andrebbe individuata, per coerenza sistematica, una soglia per l'aggravante anche per le altre sostanze stupefacenti, in particolare per quelle maggiormente diffuse (per es.: quante pastiglie di extasy sono necessarie per configurare l'aggravante in questione?)"[30].

Queste sentenze ritengono che la norma di cui all'art. 80 del T.U. Stupefacenti non sia eccessivamente generica, e che il suo contenuto possa essere adeguatamente precisato grazie ai parametri elaborati dalla giurisprudenza successiva alle SS.UU. del 2000. Del resto - è stato fatto notare - "in numerosi casi il legislatore - nell'impossibilità di determinare quantitativamente limiti che consentono di ritenere una condotta aggravata o attenuata - utilizza espressioni lessicali di carattere generico per individuare una maggiore o minore gravità della condotta"[31], e "in tutte queste ipotesi mai si è dubitato della determinatezza delle fattispecie e la giurisprudenza ha elaborato parametri e criteri idonei a rendere concrete le fattispecie attenuate o aggravate in base a giudizi di valore che competono ai giudici di merito"[32].

Secondo questo orientamento, denunciare la carenza di precisione della norma in questione non potrebbe in ogni caso giustificare l'individuazione di specifici limiti ponderali, ma solo l'eventuale proposizione di una questione di legittimità costituzionale: infatti "o effettivamente la descrizione del fatto tipico è priva del richiesto carattere di determinatezza, e allora la conseguenza non può che essere quella di ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale", oppure la norma è sufficientemente determinata, "e dunque l'autorità giudiziaria ha il compito di individuare i criteri e i parametri necessari per consentirne l'applicazione ma non può svolgere una funzione normativa trasformando parametri interpretativi elastici in limiti quantitativi predeterminati"[33].

La Corte[34], nel dichiarare manifestamente infondata la questione, ha fatto espresso riferimento alla sentenza n. 327 del 2008 della Corte Costituzionale[35], ed in particolare al passo ove il giudice delle leggi precisa quale sia la duplice funzione del principio di legalità, volto sia "a garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico penali della propria condotta", che ad "evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri e con la riserva assoluta di legge in materia penale, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l'illecito".

I parametri finora utilizzati dalla giurisprudenza in seguito alla sentenza della Sezioni Unite del 2000, in questa prospettiva, "consentono di dare alla norma una concretezza che vale ad escludere il rischio di genericità ipotizzato e consentono altresì al destinatario della norma - per ripetere le parole della Corte costituzionale - 'di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo'". Insomma, conclude la Corte, "l'agente è a conoscenza - o dovrebbe esserlo - che se il suo illecito traffico ha per oggetto chili o decine di chili di sostanza stupefacente la sua condotta può essere ritenuta aggravata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2"[36].

5. Sia consentito a chi scrive osservare, in merito a quest'ultimo aspetto, come la norma in realtà non appaia "chiara ed immediata": e ciò alla luce della stessa giurisprudenza di legittimità, del "diritto vivente", che non appare affatto uniforme e che di fatto ha riconosciuto la sussistenza di questa aggravante in casi quantitativamente anche molto diversi tra loro[37].

Si pensi che l'aggravante è stata riconosciuta, ad esempio[38], in caso di detenzione di mezzo chilo, un chilo e 1,5 chili di cocaina[39], e di 10 kg di hashish[40] (oltre che, ovviamente, in relazione a quantità più elevate, quali 126, 287 e addirittura 8.762 chili di hashish[41], 72 e 170 chili di cocaina[42], 2.500 kg di canapa indiana[43]).

L'aggravante è stata invece esclusa in casi analoghi, quali la detenzione di 10 e 18 chili di hashish[44]; la Corte ha inoltre annullato con rinvio per nuova valutazione sentenze che avevano riconosciuto l'aggravante in relazione a 30 e 40 kg di hashish[45], 4,5 kg di cocaina[46], 850 grammi di eroina pura[47].

La differenza tra "chili" e "decine di chili" di sostanza stupefacente cui fa riferimento la sezione VI non appare, del resto, di poco conto, soprattutto a fronte degli ingenti aumenti di pena ad essa conseguenti (tra l'altro oggetto di forti dubbi di costituzionalità in relazione al principio di proporzione e ragionevolezza, avanzati in dottrina anche rispetto al quadro sanzionatorio "base" di cui all'art. 73 T.U. Stupefacenti[48]: dubbi ancor più significativi in relazione alla fattispecie aggravata in oggetto, punito con la pena fino a trenta anni di reclusione: una pena, dunque, "in linea con l'omicidio doloso consumato"[49]).

Rispetto al principio di precisione, la stessa pronuncia della Corte costituzionale richiamata dalla IV sezione chiarisce che nemmeno un orientamento di legittimità concordante e chiaro può essere di per sé sufficiente a sanare eventuali carenze strutturali in termini di chiarezza della norma.. L'esistenza di una interpretazione giurisprudenziale costante, infatti, mentre può confermare "[la] possibilità di identificare, sulla scorta d'un ordinario percorso ermeneutico, la più puntuale valenza di un'espressione normativa in sé ambigua, generica o polisensa", non vale, di per sé, "a colmare l'eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale. Sostenere il contrario significherebbe, difatti, 'tradire' entrambe le funzioni del principio di determinatezza"[50].

Del resto, alla luce delle riflessioni finora svolte e delle osservazioni proposte dalla sezione IV della Corte di Cassazione, la questione sembra in effetti difficilmente superabile attraverso la previsione giurisprudenziale di limiti tendenzialmente 'fissi', al di sotto dei quali la quantità di stupefacente non possa dirsi ingente: pena l'assunzione, da parte del giudice, di un ruolo sostanzialmente normativo, spettante al Parlamento.

Sembra legittimo chiedersi, dunque, date le molte voci che - in seno alla stessa Corte di legittimità - si sono espresse nel senso di una carenza di precisione della norma, come mai la questione continui ad essere considerata manifestamente infondata, in relazione anche al principio di uguaglianza, per la disparità di trattamento di casi simili permessa dall'indeterminatezza della formulazione normativa. Ciò  maggior ragione ove si ricordi che il nostro sistema di controllo della legittimità costituzionale delle disposizioni normative è fondato su un meccanismo che impone al giudice di sollevare la questione di legittimità non soltanto quando sia convinto della sua fondatezza, ma anche quando semplicemente la ritenga "non manifestamente infondata"[51].

 


[1]    Cass., sez. IV, ord. 11 ottobre 2011 (dep. 25 ottobre 2011), n. 38748.

[2]    L'udienza è fissata per il 22 febbraio 2012.

[3]    Il comma 2 dell'art. 80 T.U. Stupefacenti dispone inoltre che "la pena e' di trenta anni di reclusione quando i fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 73 riguardano quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e ricorre l'aggravante di cui alla lettera e) del comma 1", ossia quando "le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva".

[4]    Anche se, nel caso concreto oggetto del giudizio rimesso alle SS.UU., la scelta del criterio adottare sembra scarsamente rilevante, dato che si tratta di 14 kg di eroina, con una purezza del 15-17% (dunque con un quantitativo di principio attivo pari a circa 2,1-2,3 kg): quantitativo che, come vedremo, sarebbe considerato 'ingente' sia per l'orientamento adottato dalla VI sezione (che fa riferimento comunque alle quantità 'lorde') che, con ogni probabilità, da quello adottato dalla IV sezione.

[5]    L'aumento è "dalla metà a due terzi" della pena da irrogarsi in concreto; dunque il massimo potrà raggiungere i trenta anni (secondo l'interpretazione per cui il limite massimo di cui all'art. 66 c.p. si applica anche a questa ipotesi: v. Ruga Riva, Stupefacenti e doping, in Diritto penale, parte speciale, vol. I, a cura di Pulitanò, Torino 2011, p. 180).

[6]    Cass., Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 17 Primavera, in Cass. pen., 2001, p. 69.

[7]    Cass., sez. VI, 6 marzo 1998, n. 2868, Di Maria e altro.

[8]    Cass., sez. VI, 24 settembre 1998, n. 10722, Stomaci, in Cass. pen., 1999, p. 2371.

[9]    Così ancora Cass., 6 marzo 1998, n. 2868, Di Maria e altro, cit.

[10]  Come rilevato anche nell'ordinanza di remissione alle SS.UU. qui in commento, le SS.UU. n. 17/2000 hanno mantenuto tale riferimento nel sostenere che deve ritenersi ingente la quantità che sia "oggettivamente ... notevole", tale da "superare notevolmente, con accento di eccezionalità, la quantità usualmente trattata in transazioni del genere nell'ambito territoriale nel quale il giudice del fatto opera e, per questo, è in grado di formarsi una esperienza fondata sul dato reale presente nella comunità nella quale vive".

[11]  Cfr. Guglielmo Leo, Osservatorio Contrasti Giurisprudenziali, in DPP, 2011, 6, p. 693. Ivi un raffronto tra i diversi orientamenti della Corte di Cassazione precedenti e successivi alle SS.UU. del 2000.

[12]  Si v. però anche recentemente Cass., sez. III, 22 settembre 2011, n. 40009, che censura la sentenza di merito per non aver  indicato,"a fronte di un dato ponderale non eccessivamente rilevante", le ragioni per cui tale quantitativo "era idoneo a costituire una offerta straordinaria tale da aumentare in modo eccezionale il consumo di cocaina nell'ambito del territorio". Cfr. anche Cass., sez. VI, 14 dicembre 2004, n. 49085 e Cass., sez. V, 9 luglio 2008, n. 39205, che accolgono il criterio del raffronto con le transazioni normalmente in uso nel territorio di riferimento.

[13]  Così, ex multis, Cass., sez. IV, 12 luglio 2011, n. 33314 e Cass., sez. IV, 1 febbraio 2011, n. 9927; cfr. inoltre Cass., sez. IV, 24 settembre 2003, n. 44518 e Cass., sez. VI, 23 gennaio 2008, n. 10384. Per ulteriori riferimenti v. Leo, Osservatorio Contrasti Giurisprudenziali, cit.

[14]  Cass., sez. VI, 2 marzo 2010, n. 20119, Castrogiovanni.

[15]  In particolare, la Corte esclude che si debba fare riferimento alle "usuali transazioni effettuate 'al dettaglio' in una specifica area territoriale": unico parametro può essere costituito dai quantitativi importati e da quelli che dall'importazione confluiscono alla rete di smercio territoriale, dato il "carattere globale" del mercato della droga attuale.

[16]  I giudici di legittimità hanno individuato tali limiti ponderali alla luce dei "dati di comune esperienza, apprezzabili a maggior ragione dalla Corte di cassazione, sede privilegiata in quanto terminale di confluenza di una rappresentazione casistica generale": Cass., sez. VI, 2 marzo 2010, n. 20119 (Rv. 247374), Castrogiovanni. La Corte, nel caso di specie, ha escluso la sussistenza dell'aggravante in un caso di detenzione di circa 950 grammi di cocaina pura, pari a circa 4.000 dosi singole droganti.

[17]  L'art. 4 bis ord. pen., al comma 1 ter, prevede restrizioni per l'accesso di detenuti e internati ai benefici quali "L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata": questi possono essere attribuiti solo allorché il condannato dimostri che "non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva" (sull'onere di allegazione da parte del condannato della specifica situazione di derogabilità della condizione ostativa alla concessione stessa v. Cass., sez. I, 26 settembre 2007, n. 39795, G.G.).

[18]  Rispettivamente Cass., sez. VI, 2 marzo 2010, n. 20119 (Rv. 247375), Mutmwa (caso relativo alla detenzione di 850 grammi di principio attivo di eroina, pari a circa 33.000 dosi singole droganti) e Cass., 4 novembre 2010, n. 42027, Immorlano (detenzione di 210 grammi di principio attivo di eroina, idoneo alla preparazione di circa 8.100 dosi singole).

[19]  Rispettivamente Cass., sez. VI, 25 maggio 2011, n. 27128 (Rv. 250796), D'Antonio, Cass., sez. VI, 8 luglio 2011, n. 26073 e Cass., sez. VI, 5 novembre 2010, n. 9029 (detenzione di 18 kg di hashish da cui potevano ricavarsi circa 6.500 dosi singole). Si v. anche, recentemente, Cass., sez. VI, 15 novembre 2011, n.42897 e Cass. Sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 37933, che hanno da ultimo ribadito il criterio ponderale, in casi in cui la quantità risultava comunque abbondantemente superiore ai limiti posti, trattandosi di 124 e 287 kg di marijuana.

[20]  Rispettivamente Cass., sez. VI, 14 gennaio 2011, n. 12404, Laratta (Rv. 249635), che ha fatto proprio il criterio dei limiti ponderali annullando la sentenza con rinvio affinché, "fermi i suoi poteri discrezionali nell'apprezzamento dei parametri sopra ricordati", la Corte d'Appello decida in merito alla sussistenza dell'aggravante attenendosi ai principi di diritto enunciati e Cass. sez. VI, 19 maggio 2011, n. 31351 (Rv. 250545), Turi, la quale tuttavia, pur dichiarando di condividere il criterio ponderale, ha censurato in sostanza la decisione di merito - che aveva riconosciuto l'ingente quantità in relazione alla detenzione di 30 kg di hashish, da cui potevano ricavarsi circa 66.000 dosi singole - per la mancata indicazione "di specifici parametri di riferimento tratti dall'esperienza offerta dall'area territoriale interessata".

[21]  Cass., sez. VI,, 21 settembre 2011, n. 35572, la quale, a quanto risulta dal testo della sentenza, ha confermato l'aggravante in un caso di detenzione e spaccio di 1,5 chili di cocaina oltre a 11 grammi di hashish.

[22]  Cfr. Cass., sez. IV, 21 luglio 2011, n. 30873, che utilizza il parametro dei limiti ponderali per riconoscere la sussistenza dell'aggravante in un caso riguardante la detenzione di sei e nove kg di cocaina; la Corte in ogni caso sottolinea come "anche secondo il diverso orientamento interpretativo" di parte della giurisprudenza di legittimità, l'aggravante sarebbe da riconoscersi sussistente.

[23]  Rispettivamente Cass., sez. IV, 1 febbraio 2011, n. 9927, Ardizzone, Cass., sez. IV, 29 settembre 2011, n. 38794 e Cass. sez. IV, 12 luglio 2011, n. 33314.

[24]  Anche in casi in cui anche il criterio 'ponderale' avrebbe portato al riconoscimento dell'aggravante, del resto, la Corte ha voluto espressamente respingere tale orientamento: si v. Cass., sez. IV, 3 giugno 2010, n. 24571 (Rv. 247823), Iberdemaj (il quantitativo di 3 kg di eroina era idoneo a confezionare 9.200 dosi, quello di cocaina 2.400).

[25]  Cass., sez. III, 14 luglio 2011, n. 30237; Cass., sez. III, 13 luglio 2011, n. 35144; Cass., sez. III, 18 marzo 2011, n. 16447, Ramos Vergara (Rv. 249860) (che ha ravvisato l'aggravante in un caso di detenzione di 2,4 kg di cocaina con percentuale elevata di principio attivo, idonea a confezionare 15.800 dosi medie singole).

[26]  Cass., sez. V, 14 luglio 2011, n. 36362.

[27]  Non solo in relazione all'ingente quantità di stupefacenti, ma anche in relazione ad una diversa fattispecie incriminatrice (art. 600 quater c.p.: detenzione di materiale pornografico) aggravata dall'ingente quantità di materiale detenuto: v. Cass. Pen., sez. III, 31 marzo 2011, n. 17211 (Rv. 250152), R., con nota di Aimi, Sull'aggravante della ingente quantità di materiale pedopornografico, in archiviodpc.dirittopenaleuomo.org.

[28]  Cass. Pen., sez. III, 31 marzo 2011, n. 17211, R., cit.

[29]  Così Cass., sez. IV, 3 giugno 2010, n. 24571 (Rv. 247823), Iberdemaj.  Cass., sez. IV, 1 febbraio 2011, n. 9927 aggiunge che "un tale compito [appartiene] in via esclusiva al legislatore e che non [può] essere attribuito ai giudici di merito o di legittimità". Proprio a tale critica risponde la recente Cass., sez. VI,  19 maggio 2011, n. 31351, Turi, cit., ove) in cui si  afferma che "le entità-soglia definite dall'orientamento (...) ai fini della configurabilità dell'aggravante (...) non intendono porsi alla stregua di valori assoluti o immutabili, perché non è in discussione che debba essere la corrente realtà del mercato degli stupefacenti a definire caso per caso, e in relazione a una specifica realtà temporale e territoriale, quali siano le quantità che possano definirsi 'ingenti'; rappresentando tali valori quantitativi solo parametri indicativi tratti, come detto, dalla casistica apprezzata dalla Corte di cassazione sulla base dei dati provenienti dalla esperienza processuale; parametri che ben possono essere ritenuti non confacenti al caso di specie, a patto però che il giudice di merito offra specifica indicazione dei criteri di riferimento impiegati".

[30]  Così  Cass., sez. IV, n. 9927/2011, Ardizzone, cit.

[31]  Così Cass. n. 9927/2011. Tra gli esempi portati vi è il danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61 n. 7 c.p.) e l'ipotesi di reato, prevista dall'art. 38, comma 2 dello Statuto dei Lavoratori, che prevede un aggravamento del trattamento sanzionatorio nei casi più gravi.

[32]  Ibidem.

[33]  La giurisprudenza di legittimità "non potrebbe, per quanto si è detto, stabilire, per es., che danno di rilevante gravita, in un reato che offende il patrimonio, è quello che supera i 100.000,00 Euro (e neppure affermare che si ha speciale tenuità del danno quando non supera, per es., i 100,00 Euro)" (Cass., sez. IV, 1 febbraio 2011, n. 9927). Si veda anche Cass. n. 24571/2010, Ibedermaj, cit., la quale osserva che se l'espressione utilizzata dal legislatore dovesse ritenersi effettivamente indeterminata, tanto da richiedere "la previa indicazione di limiti e discrimini quantitativi, non prefissati dal legislatore", ciò "comporterebbe un vulnus al principio di tassatività" che dovrebbe indurre "a sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale, questione che non risulta essere stata mai sollevata in questi venti anni di vigenza della norma". Ha espressamente ritenuto manifestamente infondata la questione Cass., sez. IV, 10 luglio 2008 n. 40792 (Rv. 241366), Tsiripidis.

[34]  Cass. 9927/2011, cit.

[35]  La quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 434 c.p. ("crollo di costruzioni o altri disastri dolosi") sollevata per contrasto con il principio di tassatività e precisione. Tale sentenza ha riaffermato, richiamando i precedenti della Corte, che "l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito, di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero (...) di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice - avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo".

[36]  Così Cass. n. 9927/2011, cit.

[37]  Sull'irrimediabile imprecisione dei concetti descrittivi "racchiusi in espressioni 'quantitative' di natura non numerica e (...) non individuabili con l'aiuto di altri criteri desumibili dalla legge" cfr. Marinucci e Dolcini, Corso di diritto penale, III ed., Milano, 2001, pp. 135 s.

[38]  Limitando gli esempi a sentenze successive le SS.UU. del 2000.

[39]  Rispettivamente Cass., sez. IV, 13 marzo 2004, n. 12186, Duro, Cass., sez. IV, 11 marzo 2004, n. 11510 (Rv. 228029), Esposito (in questo caso si trattava di sostanza pura al 44% ed idonea a confezionare 8.740 dosi)  e Cass., sez. VI,, 21 settembre 2011, n. 35572.

[40]  Cass., sez. IV, 1 febbraio 2011, n. 9927, Ardizzone.

[41]  Rispettivamente Cass., sez. VI, 42897, 15 novembre 2011, Cass. Sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 37933 e Cass., sez. IV, 10 luglio 2008 n. 40792 (Rv. 241366), Tsiripidis.

[42]  Rispettivamente Cass., sez. IV, 12 ottobre 2011, n. 42012 e Cass., sez. VI, 13 luglio 2011, 30202.

[43]  Sez. VI, 19 ottobre 2004, n. 7254 (Rv. 231313), Cusumano.

[44]  Rispettivamente Cass., sez. VI, 8 luglio 2011, n. 26073 e Cass., sez. VI, 5 novembre 2010, n. 9029. Dal quantitativo di sostanza potevano ricavarsi circa 6.500 dosi.

[45]  Cass. sez. VI, 19 maggio 2011, n. 31351 (Rv. 250545), Turi (dalla sostanza potevano ricavarsi circa 66.000 dosi singole) e Cass. sez. VI, 14 gennaio 2011, n. 12404 (Rv. 249635), Laratta.

[46]  Cass., sez. VI, 16 marzo 2010, n. 19085 (Rv. 247377), Giannusa. Si trattava di cocaina pura al 50-55% .

[47]  Cass., sez. VI, 2 marzo 2010, n. 20119 (Rv. 247375), Mutmwa. La sostanza era pari a circa 33.000 dosi singole droganti.

[48]  In relazione ai principi di eguaglianza-ragionevolezza ed in particolare per quanto riguarda le c.d. droghe leggere,  Ruga Riva, in Stupefacenti e doping, cit., p. 190, evidenzia che "lo spaccio (...) di hashish o marijuana è più grave, agli occhi del legislatore, di una violenza sessuale, di un'estorsione o di una rapina, e assume disvalore più (rispetto al massimo) o meno (rispetto al minimo) equivalente al tentato omicidio di un uomo, nonostante le droghe leggere non siano idonee ad uccidere".

[49]  Ibidem, p. 190.

[50]  Corte cost., 327/2008, cit. Nel caso oggetto del vaglio di costituzionalità (relativo, come ricordato, alla legittimità costituzionale dell'art. 434 c.p. ("crollo di costruzioni o altri disastri dolosi"), la Corte aveva infatti ritenuto non illegittima la norma non tanto per l'esistenza di uno stabile orientamento interpretativo giurisprudenziale, quanto per la possibilità di precisarne il significato attraverso i normali criteri interpretativi. Sussistono infatti in quel caso indici che concorrono a precisare la valenza del vocabolo, quali le finalità dell'incriminazione e la sua collocazione sistematica come "formula di chiusura" del sistema dei delitti contro la pubblica incolumità: "detto concetto - spesso in sé alquanto indeterminato - [è] destinato a ricevere luce dalle species preliminarmente enumerate, le cui connotazioni di fondo debbono potersi rinvenire anche come tratti distintivi del genus": l' "altro disastro", cui fa riferimento l'art. 434 c.p. è dunque "un accadimento sì diverso, ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai 'disastri' contemplati negli altri articoli compresi nel capo relativo ai 'delitti di comune pericolo mediante violenza'", rispetto ai quali "la giurisprudenza ha da tempo enucleato - senza oscillazioni significative (...) - un concetto di 'disastro'" che fa perno su tratti distintivi condivisi dalla dottrina e avvalorati dai lavori preparatori del codice.

[51]  Art. 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1.