11 gennaio 2012 |
Sull'uso collettivo di sostanze stupefacenti: si consolida il contrasto nella giurisprudenza di legittimità
Nota a Cass. pen., Sez. III, 20.4.2011 (dep. 3.10.2011), n. 35706, Pres. Ferrua, Rel. Rosi.
Secondo la sentenza allegata in calce, non può più escludersi, alla luce della nuova formulazione dell'art. 73 bis comma 1 lett. a) d.P.R. 309/1990, introdotta con la l. 21.02.2006, n. 49 (di conversione del d.l.30.12.2005 n. 272), la rilevanza penale di acquisto e detenzione, finalizzati all'uso collettivo, di sostanze stupefacenti. Tale norma incrimina chiunque esporti, importi, acquisti o riceva a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detenga sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, modo di presentazione o per altre circostanze, appaiano destinate ad un "uso non esclusivamente personale" al quale non è equiparabile, sul versante plurisoggettivo, l'acquisto finalizzato all'uso di gruppo.
La Sezione III della Cassazione chiarisce, nel rispetto dell'interpretazione "restrittiva" della norma incriminatrice, della quale è promotrice, ed in aperto contrasto con l'esegesi della norma offerta dalla Sezione VI nella sentenza 26 gennaio 2011 n. 8366 (commentata sinteticamente qui, ed in modo più approfondito in G. Amarelli, L'uso di gruppo tra modifiche normative ed overruling, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2011, pagg. 1038 s.s.), le ragioni per le quali il concetto di uso collettivo di stupefacenti è incompatibile con quello di uso esclusivamente personale.
In estrema sintesi, infatti, la Sezione Sesta, con la sentenza 8366/2011, aveva ritenuto che all'acquisto o detenzione di sostanza stupefacente, destinata ad essere consumata, in un luogo ed in tempi certi, da un gruppo predeterminato di soggetti, dovesse essere attribuita rilevanza soltanto come illecito amministrativo, rientrando tale fattispecie nel concetto di "uso esclusivamente personale" che funge da discrimine, nell'art. 73 d.P.R. 309/90, tra la responsabilità penale e quella esclusivamente amministrativa. Poiché dall'esame dei lavori parlamentari non poteva desumersi chiaramente l'intenzione del legislatore storico di attribuire rilevanza a qualsiasi forma di acquisto di stupefacente finalizzata all'uso collettivo, la Sesta sezione dava alla norma incriminatrice l'interpretazione più favorevole al reo, ritenendo sovrapponibili le nozioni di uso collettivo ed uso esclusivamente personale di stupefacenti, seppur in presenza di alcune stringenti condizioni, ossia la piena prova in ordine: 1) al consumo dello stupefacente da parte anche del soggetto incaricato di acquistarlo; 2) alla certezza dell'identità dei componenti del gruppo di assuntori, già nel momento del conferimento del mandato all'acquisto; 3) alla comune e condivisa volontà di procurarsi lo stupefacente già nel momento dell'accordo per l'acquisto, con intesa sul tempo e luogo dell'assunzione; 4) all'unicità del comportamento del gruppo, inteso quindi, come soggetto unitario, al quale attribuire gli effetti dell'acquisto dello stupefacente compiuto senza ulteriori passaggi mediati.
Diversamente la Sezione Terza, tornando ampiamente sulla questione (come già aveva fatto in un un passaggio contenuto, quale obiter dictum, nella parte motiva della Cass. Pen., Sez. III n. 13.01.2011 n. 7971, disponibile in De Jure e successiva al revirement della Sezione Sesta di gennaio), cerca di contrastare tale orientamento secondo motivazioni così sintetizzabili:
1) interpretazione letterale secondo la volontà del legislatore. L'aggiunta dell'avverbio "esclusivamente" all'art. 73 comma 1 bis lett. a), introdotta in sede di conversione del d.l. 30.12.2005 n. 272, in un emendamento sul quale è stata posta la fiducia dal Governo, è indice della volontà del legislatore di reprimere con maggiore severità i fenomeni criminali connessi all'uso di sostanze stupefacenti: oltre ad introdurre trattamenti sanzionatori più rigorosi la novella ha, quindi, voluto contrastare qualsiasi forma di diffusione degli stupefacenti, ivi compreso l'acquisto finalizzato all'uso collettivo;
2) interpretazione costituzionalmente orientata. La Sezione Terza evidenzia, altresì, come la Corte Costituzionale, con sentenza n. 360/1995, abbia escluso di poter ravvisare una disparità di trattamento nell'attribuzione di rilevanza penale alla sola coltivazione finalizzata all'uso personale di stupefacenti (nel caso di specie canapa indiana) e non anche alla detenzione ed all'acquisto di stupefacenti, sebbene orientate al medesimo fine. In tale pronuncia il Giudice delle Leggi ha rilevato come non possa provarsi che il "raccolto", frutto della coltivazione di specie vegetali dalle quali sono ricavabili tali sostanze, sia destinato all'uso personale del soggetto attivo, sottolineando, altresì, come la coltivazione di stupefacenti non sia antecedente necessario all'uso personale, penalmente irrilevante. Alla condotta di coltivazione di sostanze stupefacenti è stata, quindi, attribuita la medesima offensività del c.d. spaccio, quale condotta non necesariamente prodromica alla assunzione di stupefacente, e, quindi, non penalmente irrilevante come, invece, la detenzione per uso personale (cfr. Corte Costituzionale, sent., 24 luglio 1995, n. 360, in DeJure). Secondo la sentenza in commento, la Corte Costituzionale, avrebbe, con la pronuncia da ultimo indicata, offerto un argomento a favore di un'interpretazione restrittiva della nozione di "uso personale" di stupefacente, implicitamente affermando che debba essere attribuita rilevanza penale a qualsiasi forma di diffusione di sostanze stupefacenti o psicotrope. La nozione di uso personale sarebbe da interpretare, quindi, quale frutto di norma eccezionale e specifica, con conseguente preclusione al compimento di alcuna analogia;
3) originaria mancanza di effetti del mandato in rerum propria ad oggetto illecito. La Sezione Terza rileva, altresì, come l'interpretazione offerta dalla Sezione Sesta si fondi su una sorta di "mandato d'acquisto collettivo", conferito dagli assuntori dello stupefacente ad un appartenente al gruppo, anche nel suo interesse (in questi termini di parla di mandato in rerum propria). Avendo ad oggetto l'acquisto di stupefacente e, quindi, una condotta penalmente rilevante, tale mandato sarebbe illecito e, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 comma 2 e 1346 c.c., nullo. Sottolinea la sentenza commento come un contratto nullo, affetto da vizio rilevabile d'ufficio, debba essere considerato tipicamente improduttivo di effetti, e che, quindi, alcun effetto possa essergli attribuito anche sul versante penale, tanto più quello di escludere la rilevanza penale al fatto commesso dai partecipi all'accordo illecito.
4) contraddittorietà dell'esimente dell'uso collettivo coi principi alla base del concorso di persone nel reato. Infine, sottolinea la sentenza in commento come il "frazionamento ideale" della quantità di stupefacente, acquistata dal mandante al fine dell'uso collettivo, per il numero di partecipanti all'accordo criminoso, quale espediente utilizzato nell'interpretazione estensiva della norma incriminatrice per ripartire l'intera sostanza acquistata dal mandante in singole dosi ad uso esclusivamente personale, costituisca uno "sfasamento" dell'istituto del concorso di persone nel reato. Di fatto, così, la disciplina del concorso di persone nel reato, che consente di attribuire, in forza di norma estensiva della punibilità (art. 110 c.p.), rilevanza penale a condotte che rappresentano anche solo una frazione del fatto tipico descritto dalla norma incriminatrice, purchè causalmente orientate alla commissione del reato, verrebbe utilizzata al fine di "frazionare" il fatto commesso tra i partecipanti all'accordo criminoso, ma per escluderne la rilevanza penale.
Sebbene molto efficaci e suggestive, le obiezioni proposte dalla Terza Sezione alla interpretazione estensiva offerta dalla sentenza 8366/2011 non paiono completamente dirimenti, poiché, in parte, controvertibili.
Infatti, quanto all'argomento sub 1), potrebbe opporsi che la posizione della fiducia sull'emendamento al decreto legge 272/2005, introdotto in sede di conversione, e riguardante proprio la riformulazione dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, ha impedito un serio dibattito parlamentare che consenta di trarre argomenti univoci sull'intenzione del legislatore storico, considerata altresì la diversità di vedute emergente dal dibattito, seppur succinto, compiuto in Senato nelle sedute del 6 e 7 febbraio 2005 (clicca qui per accedere ai lavori parlamentari).
Quanto all'argomento sub 2), non convince del tutto l'equiparazione dell'uso collettivo di stupefacenti alla fattispecie esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 360/1995. Sebbene la Corte Costituzionale abbia stigmatizzato, nella sentenza richiamata, qualsiasi condotta non necessariamente ed immediatamente prodromica all'uso personale di stupefacente, l'acquisto al fine della consumazione di gruppo, se consentito negli stringenti limiti individuati dalla giurisprudenza della Sezione Sesta, non parrebbe influire sulla diffusione dello stupefacente negli stessi termini della coltivazione della sostanza. L'acquisto di stupefacente su richiesta di un gruppo predeterminato di soggetti che ha già scelto quando e dove assumere stupefacenti, infatti, non sembra contribuire ad incentivare immediatamente la diffusione dell'uso di droghe, fintanto che si provi che l'acquisto di gruppo da parte del "mandante" avrebbe concretamente potuto essere sostituito dall'acquisto di ciascuno degli assuntori (prova, di per sé, tutt'altro che agevole). L'acquisto finalizzato all'uso collettivo non pare, quindi, dotato del medesimo grado di riprovevolezza attribuito alla coltivazione ed allo spaccio di stupefacenti.
Quanto, poi, all'argomento sub 3), potrebbe rilevarsi come per l'ordinamento civilistico, seppur principalmente in via normativa, non è estraneo il riconoscimento di effetti a contratti nulli, che, per definizione, non dovrebbero produrre alcun effetto sin dalla loro stipulazione (per un esempio su tutti si veda l'art. 2126 c.c.). La stessa sentenza in commento, invero, pur rigettando qualsiasi interpretazione del mandato all'acquisto di gruppo di stupefacenti che consenta alle parti del contratto di giovarsi degli effetti di un contratto nullo per illiceità dell'oggetto, suggerisce di attribuire rilevanza all'accordo per l'acquisto di gruppo ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, ovvero della determinazione della pena in concreto.
Infine, quanto all'argomento sub 4), tale obiezione è perfettamente speculare all'interpretazione offerta dalla sentenza 8366/2011: utilizza i medesimi argomenti e gli stessi istituti di riferimento al fine di trarre conclusioni diametralmente opposte alla interpretazione estensiva dell'art. 73 comma 1 lett. a) d.P.R. 309/1990.
Può, quindi, desumersi che, qualora la Sezione Sesta non si adegui spontaneamente, all'interpretazione restrittiva offerta della Sezione Terza, non sia più eludibile la rimessione della questione alle Sezioni Unite.