ISSN 2039-1676


7 aprile 2011 |

Non punibilità  dell'uso collettivo di sostanze stupefacenti: si profila un contrasto nella giurisprudenza di legittimità 

Nota a Cass. pen., Sez. VI, 26 gennaio 2011 (dep. 2 marzo 2011), n. 8366

Secondo la sentenza annotata, non è responsabile del delitto di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 chi acquisti e detenga sostanza stupefacente destinata ad essere consumata, in un luogo ed in tempi certi, da un gruppo predeterminato di soggetti, rientrando tale fattispecie nel concetto di “uso esclusivamente personale” di stupefacente che, in materia, funge da discrimine tra la responsabilità penale e quella esclusivamente amministrativa (artt. 73 comma 1 bis lett. a) e 75 d.P.R. 309/1990, come modificati dall'art. 4 bis d.l. 272/2005, conv. l. 49/2006).
 
Questo il fatto oggetto del giudizio: l’imputato è chiamato a rispondere del delitto di detenzione illecita di sostanza stupefacente per aver acquistato, come già in altre occasioni, 18 dosi di ecstasy su mandato di alcuni amici, che avrebbero dovuto, poi, rimborsargli la loro quota per l'acquisto della sostanza, destinata alla consumazione in comune. L'imputato, giudicato con rito abbreviato, veniva prosciolto dal Tribunale di Teramo perché il fatto, pur provato, non costituisce reato. Avverso la sentenza proponeva ricorso per saltum in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello dell'Aquila. Il P.G. ricorrente sostiene, in estrema sintesi, che il dettato del novellato art. 73 comma 1 bis lett. a) d.P.R. 309/90 in forza del quale è punibile chi illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope che appaiano destinate ad uso non esclusivamente personale, impone, come già affermato dalla Cass. Pen., Sez. II, 6 maggio 2009, n. 23574, di ritenere penalmente rilevante ogni ipotesi di consumo collettivo o di gruppo di stupefacenti, poiché tanto il mandato d'acquisto finalizzato all'uso collettivo quanto l'acquisto ed uso di gruppo di stupefacente non sono, in alcun modo, riconducibili al concetto di uso “esclusivamente personale” di stupefacenti, sanzionato solo in via amministrativa dall'art. 75 d.P.R. 309/1990. La Sezione Sesta della Suprema Corte, con l'annotata sentenza n. 8366/2011, rigetta, tuttavia, il ricorso.
 
In particolare la Cassazione, riallacciandosi espressamente alla giurisprudenza originata dalla pronuncia della Sezioni Unite 28 maggio 1997, n. 4, nel vigore della normativa precedente alla novella del 2005, ha sconfessato l'orientamento richiamato dal Procuratore Generale, ritenendo che l'odierna formulazione dell'art. 73 comma 1 bis lett. a) d.P.R. 309/90, che ha qualificato il limite del penalmente rilevante nel “non esclusivo” uso personale, sia imprecisa e non consenta, quindi, inequivocabilmente, di desumere la volontà del legislatore di reprimere l'uso di gruppo di sostanze stupefacenti. Pertanto, secondo la Cassazione, si impone, nel dubbio sull'effettiva volontà del legislatore di superare il diritto vivente, di dare prevalenza all'interpretazione più favorevole al reo.
 
La sentenza annotata richiama invero puntualmente le argomentazioni sostenute da Cass. Pen., Sez. II, 6 maggio 2009, n. 23574, secondo cui la riforma del 2005 (art. 4 bis. d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, conv. l. 21 fabbraio 2006 n. 49) avrebbe spostato il baricentro dell'irrilevanza penale della detenzione di sostanza stupefacente dal “consumo personale” ad un giudizio di favore accordato nei soli confronti del mero “consumatore”, ossia chi venga trovato in possesso di un quantitativo minimo di stupefacente, obiettivamente destinato ad essere utilizzato esclusivamente dal suo possessore. In questo senso il legislatore avrebbe introdotto l'avverbio “esclusivamente” per qualificare e delimitare l'area dell'uso personale di sostanze stupefacenti penalmente irrilevante, escludendo in radice che l'uso di gruppo o collettivo di stupefacenti possa, alla luce del mutato quadro normativo, essere considerato non punibile ai sensi dell'art. 73 comma 1 bis lett. a) d.P.R. 309/1990 (così in dottrina cfr. Amato, Stupefacenti. Teoria e Pratica, 2006, p. 73 ss.; in giurisprudenza, da ultimo, Cass. Pen., Sez. III, 13 gennaio 2011 n. 7971 eTrib. Torino, Sez. I, 21 dicembre 2010, in Plurisonline).
 
Per superare gli approdi di questa interpretazione, già emersa insistentemente nella giurisprudenza di merito e di legittimità, la Sesta Sezione della Cassazione si basa, tuttavia, proprio sulla equivocità degli obiettivi della riforma emersi durante l'iter parlamentare di conversione del decreto legge n. 272/2005. In assenza di una chiara presa di posizione da parte di legislatore in ordine alla volontà di sanzionare penalmente anche del fenomeno dell'uso di gruppo di stupefacenti, quindi, si ritiene che l'espressione uso “esclusivamente personale” in sé e per sé non sia ostativa a ricondurre anche l'ipotesi di acquisto finalizzato all'uso collettivo nell'area del mero illecito amministrativo, e che, quindi, tale interpretazione vada privilegiata nel rispetto del principio generale del favor rei.
 
Precisa, peraltro, la Suprema Corte che tale interpretazione di favore può essere consentita, nei casi di uso collettivo (ossia le ipotesi di uso di gruppo in senso lato, preceduto dal conferimento ad uno dei componenti del mandato ad acquistare lo stupefacente), solo entro stringenti limiti. In particolare si reputa necessario, al fine di affermare che l'uso collettivo non costituisce reato, che nel corso del giudizio si pervenga alla piena prova in ordine: 1) al consumo dello stupefacente da parte anche del soggetto che lo acquistato (come già Cass. Pen., Sez. IV, 10 luglio 2007, n. 35682, in DeJure); 2) alla certezza dell'identità dei componenti del gruppo, già nel momento in cui viene conferito il mandato all'acquisto; 3) alla comune e condivisa volontà di procurarsi lo stupefacente al momento di conferimento di tale mandato (Cass. Pen., Sez. VI, 1 marzo 2007, n. 37078, ed analogamente Cass. Pen. 10 giugno 2004, n. 34427 in DeJure) con intesa sul tempo e luogo dell'assunzione (Cass. Pen., Sez. VI, 3 giugno 2003, n. 28313 in DeJure); 4) all'unicità del comportamento del gruppo, che viene, quindi inteso come soggetto unitario verso cui transitano gli effetti dell'acquisto dello stupefacente senza passaggi mediati. Solo così potrà dirsi l'“uso collettivo” un uso “esclusivamente personale”.
 
Considerata, quindi, la rilevanza del contrasto che va profilandosi nella giurisprudenza di legittimità, per la quale se l'uso collettivo non può essere ricondotto alla nozione di uso esclusivamente personale di stupefacenti, si passa dalla irrilevanza penale del fatto alla possibile inflizione di una pena da sei a vent'anni di reclusione e da € 26.000,00 a 260.000,00, v'è da attendersi una rimessione della questione interpretativa alle Sezioni Unite.