17 aprile 2018 |
R. Bianchetti, La paura del crimine. Un'indagine criminologica in tema di mass media e politica criminale ai tempi dell'insicurezza, Giuffrè, Milano 2018
Prefazione al volume
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In un suo celebre saggio del 1974 Giorgio Marinucci, riflettendo sulla politica criminale e sulla (già allora, fortemente auspicabile) riforma del diritto penale, ammoniva che in una prospettiva de iure condendo “tutte le concezioni del diritto penale e della pena” dovranno essere “metodicamente sottoposte al banco di prova delle più mature indagini criminologiche”[1].
Sotto gli occhi abbiamo ora indubbiamente una “matura indagine criminologica”: in questo suo ponderoso lavoro, infatti, Raffaele Bianchetti – un giurista-criminologo, abbeveratosi agli ultimi insegnamenti di Gianluigi Ponti, cresciuto sotto la guida del suo compianto Maestro, Ernesto Calvanese, e infine corroboratosi nel confronto, costante e fecondo, con i penalisti della scuola di Giorgio Marinucci – condensa una ricerca pluriennale, condotta con umiltà e tenacia e illuminata da un vigile spirito critico, sul tema vasto e complesso della paura del crimine nella nostra società: una paura troppo spesso diffusa ed alimentata dai mezzi di comunicazione di massa, ed oculatamente amministrata dagli attori della scena politica al fine di garantirsi, con scelte solo simboliche ma dagli esiti rassicuranti, consenso sociale.
In un’epoca storica come la nostra, caratterizzata da profondi cambiamenti comunicativo-relazionali, dove le dinamiche della paura giocano un ruolo assolutamente determinante e dove lo scollamento tra dati “reali” e dati “comunicati” rischia di divenire incolmabile, il presente lavoro, per il tema affrontato e il metodo adottato, può, quindi, davvero aspirare a divenire “banco di prova” per le “concezioni del diritto penale e della pena”, chiamate in questi anni ad orientare le scelte del legislatore e, nelle more di un suo intervento, le interpretazioni dei giudici.
Ampio, accurato, limpido è, infatti, il contributo che il presente lavoro offre per una disincantata conoscenza critica della realtà sulla quale il sistema di diritto penale interviene o dovrebbe intervenire: una realtà qui finalmente ricostruita – senza le consuete e distorcenti suggestioni massmediatiche – sia attraverso la scrupolosa raccolta e l’intelligente rielaborazione di dati statistici (su delitti denunciati, su sentenze di condanna, su provvedimenti emessi in executivis, etc.), sia attraverso la somministrazione di un questionario le cui risposte offrono uno spaccato significativo delle opinioni, dei sentimenti, delle valutazioni, raccolte dal vivo, che la “gente comune” nutre sui temi della criminalità, della giustizia penale e delle scelte di politica criminale degli ultimi decenni.
L’aspirazione di questo lavoro di poter fornire indicazioni, solide e razionali, alla politica criminale trova, infine, legittima giustificazione nell’attenzione, costantemente riposta dall’autore, al dialogo con la scienza del diritto penale. Raffaele Bianchetti è, infatti, un criminologo capace di ascoltare i penalisti e di parlare ai penalisti, e che anzi proprio dallo studio del diritto penale riesce a cogliere preziose indicazioni e tracce da seguire, nella lucida consapevolezza, come insegnava Jescheck, che se “il diritto penale senza la criminologia è cieco, la criminologia senza il diritto penale è sconfinata”[2]
[1] G. Marinucci, Politica criminale e riforma del diritto penale, 1974, ora in G. Marinucci – E. Dolcini, Studi di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1991, p. 57.
[2] H. H. Jescheck – T. Weigend, Lehrbuch des Strafrechts - Allgemeiner Teil, V ed., Duncker & Humblot, Berlin, 1996, p. 41.