ISSN 2039-1676


02 maggio 2018 |

Confisca ‘amministrativa’ per l’insider trading: verso una limitazione al solo profitto? La parola alla Corte costituzionale, in attesa dell’attuazione (mancata?) della legge delega per l’adeguamento alla disciplina europea del market abuse

Cass. Civ., Sez. I, 12.2018 (dep. 6 aprile 2018), n. 8590, Pres. Ambrosio, Rel. Fraulini, Scanferlin Mario e Veneto Banca S.p.A. c. CONSOB; Cass. Civ., Sez. II, 14 aprile 2017 (dep. 16 febbraio 2018), ord. n. 3831, Pres. Petitti, Rel. Cosentino, Bolognesi c. CONSOB

Contributo pubblicato nel Fascicolo 5/2018

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1. Due recenti pronunce della Cassazione civile – rese nell’ambito di altrettanti giudizi di opposizione a delibere con le quali la CONSOB ha irrogato sanzioni (pecuniarie e interdittive) e disposto la confisca ex art. 187 sexies T.U.F. per l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate di cui all’art. 186 bis T.U.F. – affrontano un problema di particolare rilievo: se, in caso di acquisto di azioni realizzato sfruttando un’informazione privilegiata, la confisca, anche per equivalente, possa avere ad oggetto l’intero valore delle azioni acquistate (comprensivo pertanto dei beni impiegati per l’acquisto), ovvero, in ossequio ai principi d ragionevolezza e proporzione, debba essere limitata al solo profitto (il maggior ricavo ottenuto dall’operazione finanziaria).

L’art. 187 sexies T.U.F. prevede che l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato “importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo” e che “qualora non sia possibile seguire la confisca [diretta], la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente”. Va subito incidentalmente notato che la medesima disciplina è prevista dall’art. 187 T.U.F. per la confisca ordinata dall’autorità giudiziaria in caso di condanna per i delitti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato di cui, rispettivamente, agli artt. 184 e 185 T.U.F.; sicché – lo anticipiamo subito – i problemi affrontati dalle decisioni in commento, in rapporto alla confisca ‘amministrativa’, si presentano anche in rapporto alla confisca ‘penale’.

 

2. Ridotta all’osso, la questione è la seguente: la confisca va estesa all’intero valore dei titoli negoziati – acquistati, come nel caso di specie, oppure venduti – o deve essere limitata al maggior ricavo, in caso di acquisto, o alla mancata perdita, in caso di vendita, realizzati grazie all’abuso dell’informazione privilegiata?

Se Tizio, sfruttando l’informazione privilegiata, investe 100 per acquistare azioni che, di lì a breve, varranno 150, la confisca deve/può avere ad oggetto 100 (cioè le cose/il denaro usato per commettere il reato), 150 (cioè il prodotto del reato, vale a dire il risultato dell’operazione finanziaria compiuta, pari al valore ‘finale’ dei titoli nel giorno del loro acquisto), oppure solo 50 (cioè il profitto conseguito)?

Analogamente, se Caio, sfruttando l’informazione privilegiata, disinveste 100 per vendere a 90 azioni che, di lì a breve, varranno 50, la confisca deve/può avere ad oggetto 100 (cioè le cose/i titoli usati per commettere il reato), 90 (cioè il prodotto del reato, vale a dire il risultato dell’operazione finanziaria compiuta, pari al valore ‘finale’ dei titoli nel giorno della loro vendita), oppure 40, pari alla mancata perdita, cioè alla differenza tra il valore che i titoli avevano nel giorno in cui sono stati venduti (90) e quello (50) che avrebbero avuto nel giorno del disvelamento al pubblico dell’informazione della quale l’insider ha abusato?  

 

2.1. I casi affrontati dalla Cassazione Civile nelle decisioni qui commentate, riguardano come si è anticipato ipotesi di acquisto di azioni.

Con la sentenza n. 8590/2018 la Prima Sezione Civile ha rigettato il ricorso avverso due sentenze della Corte d’Appello di Torino, rese nell’ambito del medesimo procedimento, che avevano a loro volta rigettato l’opposizione avverso una delibera della Consob che – accertato l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate (art. 187 bis. T.u.i.f.) – aveva applicato una sanzione amministrativa pecuniaria di € 1.800.000 nonché la confisca ex art. 187 sexies t.u.i.f. dei titoli azionari sequestrati per un controvalore di oltre venti milioni di Euro. La vicenda riguarda l’acquisto di azioni di Mediobanca da parte di un consigliere di amministrazione di Cofito (Compagnia Finanziaria Torinese, poi confluita in Veneto Banca), realizzato nel 2005 per conto della società stessa utilizzando l’informazione privilegiata che importanti ordini di acquisto di azioni di Mediobanca (con conseguente prevedibile aumento del relativo valore) stavano per essere effettuati su disposizione di due noti imprenditori da parte di Banca Intermobiliare, società nella quale il medesimo consigliere di Cofito rivestiva il ruolo di vice presidente del c.d.a. (circostanza che gli ha pertanto consentito di entrare in possesso dell’informazione privilegiata in ragione dell’attività lavorativa e delle funzioni svolte).

La Prima Sezione ha confermato l’orientamento della giurisprudenza (e della Consob) volto a estendere l’oggetto della confisca al valore finale dei titoli negoziati, pari alla somma tra il valore originario di acquisto e il profitto conseguente alla vendita in condizioni privilegiate. Secondo la Cassazione, infatti, “i titoli utilizzati per realizzare l’illecito accertato non costituiscono semplicemente lo strumento operativo utilizzato dal trasgressore per commettere l’illecito”. Essi, in altri termini, non costituirebbero un semplice mezzo per commettere l’illecito perché “allorquando lo strumento finanziario, che certamente in origine il trasgressore acquista con il proprio patrimonio, viene utilizzato come oggetto della condotta illecita (nella specie aumento del valore delle azioni per effetto dell’abuso delle informazioni privilegiate da parte del proprietario dei titoli) esso si trasforma nel profitto stesso dell’illecito, senza che sia più possibile distinguere il suo valore legittimo iniziale da quello artificioso finale per effetto dell’illecita negoziazione”.

Si legge ancora nella sentenza n. 8590/2018: “lo strumento finanziario è un bene che si identifica, quanto ai diritti patrimoniali che reca in sé, con il suo valore; e se, come nella specie, è uno strumento quotato nei mercati regolamentati, il suo valore è dato istantaneamente dal valore di quotazione. Ne deriva che non è affatto possibile…distinguere un valore legittimo iniziale dello strumento finanziario utilizzato per commettere l’illecito, da un valore finale che si identificherebbe con il plusvalore illegittimamente acquisito, sicché solo quest’ultimo sarebbe confiscabile. In realtà, allorquando il trasgressore utilizza strumenti finanziari per realizzare un illecito, il prodotto della condotta illecita si identifica proprio con lo strumento stesso che, per effetto della violazione, ha mutato artificiosamente il proprio valore, divenendo appunto non già solo un profitto, ma proprio il prodotto dell’illecito commesso.

Come il lettore può vedere, secondo la sentenza della Prima Sezione Civile la confisca, in caso di acquisto di azioni, dovrebbe avere ad oggetto il risultato dell’operazione finanziaria realizzata attraverso l’abuso dell’informazione privilegiata, qualificato nella motivazione – in modo a dir vero non lineare – prima come profitto (lordo) e, poco dopo, come prodotto dell’illecito.

Viene così ribadito un orientamento di particolare rigore, che ha ad esempio portato la Cassazione penale, nell’ambito di un procedimento cautelare relativo al sequestro di titoli acquistati da persona indagata per il delitto di abuso di informazioni privilegiate, a ritenere legittimo il sequestro dei “compendi assoggettati a cautela, equivalenti oltre che alle plusvalenze eventualmente realizzate, anche all'ammontare delle provviste finanziarie impegnate” (Cass. Sez. V, 12.3.2012, n. 28486, in DeJure).

Per giungere a tale risultato, come mostra anche la sentenza annotata, possono percorrersi due vie: quella che, sostanzialmente, porta a qualificare l’intero ricavato della vendita delle azioni come profitto lordo (comprensivo dei costi sostenuti per commettere l’illecito: in questo senso v. Cass. Pen. Sez. VI, 22.5.2013, n. 24558, in DeJure) e quella che qualifica invece il ricavato dell’intera operazione finanziaria come prodotto dell’illecito.

 

2.2.  L’ordinanza n. 3831/2018 della Seconda Sezione della Cassazione Civile si segnala invece per un’inversione di rotta. Il caso riguarda l’irrogazione, da parte della CONSOB, di sanzioni amministrative per € 200.000 (oltre a sanzioni interdittive) a fronte di un fatto di insider trading realizzato attraverso l’acquisto di azioni di FMR Art’è, da parte di un socio, sulla base del possesso dell’informazione privilegiata relativa all’imminente lancio di un’OPA su tale società, promossa dallo stesso autore del fatto assieme ad altri socie della stessa Art’è. Con la medesima delibera CONSOB ordinava la confisca per equivalente del profitto e dei mezzi usati per ottenerlo, fino alla concorrenza dell’importo di € 149.670.

Nel caso di specie il ricorrente, osserva la Cassazione, “grazie all’informazione privilegiata di cui disponeva ha speso € 123.175,07 (beni utilizzati per commettere l’illecito) per acquistare titoli da cui ha ricavato € 149.760 (prodotto dell’illecito), ritraendo dall’operazione di trading una plusvalenza di € 26.580 (profitto dell’illecito). La CONSOB, come si è detto, ha confiscato per equivalente il maggiore dei tre importi, pari al prodotto dell’illecito (= beni utilizzati per commetterlo + profitto conseguito). Di qui la prospettazione, da parte della difesa, di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F., che la Cassazione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata – in relazione agli artt. 3, 42, 117 Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nonché agli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento agli artt. 17 e 49 CDFUE –  “nella parte in cui esso assoggetta a confisca per equivalente non soltanto il profitto dell’illecito ma anche i mezzi impiegati per commetterlo, ossia l’intero prodotto dell’illecito”.

 

3. Preliminarmente, l’ordinanza n. 3831/2018, in linea con la giurisprudenza costituzionale, sottolinea e ribadisce, da un lato, la natura obbligatoria (cfr. Corte cost. n. 252/2012) e, dall’altro, la natura sanzionatoria (cioè sostanzialmente penale: cfr. Corte cost. n. 68/2017), della confisca per equivalente ex art. 187 sexies, comma 2 T.U.F.[1] In particolare, secondo l’ordinanza annotata, “mentre la confisca diretta [di cui al primo comma dell’art. 187 sexies T.U.F.], reagendo alla pericolosità indotta nell’autore dell’illecito dalla disponibilità dei beni utilizzati per commetterlo e dei beni dal medesimo ricavati, assolve a una funzione essenzialmente preventiva, la confisca per equivalente, che raggiunge beni di altra natura [privi di un nesso diretto, attuale e strumentale con il reato], palesa una connotazione prevalentemente afflittiva ed ha dunque [alla luce dei noti criteri Engel elaborati dalla Corte EDU] una natura eminentemente sanzionatoria.

La sottolineatura di tale duplice natura della confisca de qua (obbligatoria e sanzionatoria) è funzionale alla tesi della mancanza di proporzionalità della misura, quando riguardi i mezzi impiegati dall’agente per effettuare l’operazione di trading; tesi che viene argomentata dalla S.C. alla luce di diversi parametri – di diritto interno e sovranazionale – sulla scorta di un duplice rilievo. La confisca dei mezzi:

a) “aggiungendosi alla sanzione amministrativa pecuniaria, può in concreto produrre un effetto sanzionatorio sproporzionato rispetto al profitto che l’agente ha tratto dalla sua illecita condotta”;

b) “assume una misura che, in relazione al profitto realizzato in una specifica operazione di trading, risulta inversamente proporzionale al vantaggio concretamente derivato all’agente dall’uso di una informazione privilegiata, vale a dire inversamente proporzionale al tasso di profitto dell’operazione stessa; infatti, il tasso di profitto generato da un’operazione di trading realizzata abusando di informazioni privilegiate è tanto maggiore quanto minore è l’entità dei mezzi che l’agente ha impiegato (e pertanto vengono assoggettati a confisca) per conseguire il profitto concretamente ritratto dall’operazione stessa”.

 

3.1. Quanto ai parametri invocati a fondamento della tesi della sproporzione della confisca, va anzitutto segnalato – ed è interessante notare – come la S.C. (§ 12.9 della motivazione) ritiene manifestamente infondata la questione, eccepita dalla difesa in rapporto all’art. 27, comma 3 Cost., ritenendo che tale parametro non possa essere richiamato in relazione a una misura di natura amministrativa come la confisca; d’altra parte, l’attrazione della stessa, nella forma per equivalente, nell’ambito della ‘materia penale’, “trascina soltanto le garanzie” convenzionali, tra le quali non si annovera la finalità rieducativa della pena.

La questione viene invece ritenuta non manifestamente infondata in rapporto all’art. 3 Cost., sotto il profilo del vulnus al principio di ragionevolezza in considerazione del carattere non proporzionato che la confisca può assumere in concreto e della “mancanza di un rapporto predefinito tra il valore dei beni suscettibili di confisca e il profitto realizzato dall’agente”.

Ancora, la questione è ritenuta non manifestamente infondata, per la lesione del diritto di proprietà, in rapporto all’art. 42 Cost. e all’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, alla luce del quale la confisca, in quanto misura che incide sul diritto di proprietà, deve risultare una misura proporzionata in rapporto alle esigenze di pubblico interesse, da un lato, e agli interessi dell’individuo, dall’altro lato.

Last but non least, dopo avere ricordato come la materia degli abusi di mercato rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE, e dopo aver altresì ribadito la natura sostanzialmente penale della confisca per equivalente di cui all’art. 186 sexies, comma 2 T.U.F., la S.C. invoca quali ulteriori parametri due disposizioni della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), rilevanti ex artt. 11 e 117 Cost:

- l’art. 17, che ripropone, sostanzialmente, la tutela del diritto di proprietà accordata dall’art. 1 del Primo Protocollo addiazionale alle CEDU;

- l’art. 49, comma 3, che sancisce il principio di proporzionalità delle pene (“le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”).

 

3.2. Con riferimento ai parametri riconducibili alla CDFUE, la S.C. (§ 13.3.4.2.) sostiene che sarebbe opportuno un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE, che sollecita alla Corte Costituzionale; rinvio che dovrebbe mirare a chiarire:

a) se debba riconoscersi efficacia diretta agli artt. 17 e 49, comma  CDFUE, con conseguente dovere di non applicare le norme interne con essi contrastanti;

b) se i concetti di “pena” e “reato”, nell’art. 49 CDFUE, vadano intesi in conformità alla nozione di ‘materia penale’ elaborata dalla Corte EDU;

c) se gli artt. 17 e 49 CDFUE vadano interpretati nel senso che impongono di ritenere non proporzionata una confisca per equivalente il cui oggetto non sia limitato all’equivalente del profitto ricavato dalle illecite operazioni di trading, ma si estenda anche all’equivalente dei mezzi impiegati per realizzare tali operazioni; quesito, quest’ultimo, che andrebbe messo in relazione alla pertinente normativa comunitaria (direttive e regolamenti in materia di market abuse), che richiede agli Stati membri l’adozione di sanzioni proporzionate e dissuasive.

 

3.2.1. Va infine segnalato, per il particolare e più generale rilevo della questione, che, per le ragioni già illustrate in un altro contributo pubblicato in questa Rivista (al quale si rinvia), a commento di una diversa questione di legittimità costituzionale sollevata dalla S.C. con la stessa ordinanza n. 3831/2018 (in relazione all’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. e alla prospettata violazione del principio ‘nemo tenetur se detegere’), i giudici di legittimità dedicano apposita parte della motivazione (§ 13.3.4.3.) ad esporre i motivi per i quali, a fronte di una recente pronuncia della Corte Costituzionale (n. 269/2017) in tema di c.d. doppia pregiudizialità, ritengono di adottare la soluzione dell’incidente di costituzionalità e di non procedere essi stessi al rinvio alla Corte di Giustizia, funzionale all’eventuale (parziale) disapplicazione dell’art. 187 sexies T.U.F. Nel seguire questa strada, la S.C. rivolge peraltro alla Corte Costituzionale l’invito a “un chiarimento sull’ambito dei profili in relazione ai quali il giudice comune – e, segnatamente, il giudice di ultima istanza – mantenga il potere (se del caso, previo rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E., ove tale rinvio non fosse già stato azionato dalla Corte Costituzionale) di non applicare una norma interna che abbia superato il vaglio di legittimità costituzionale (anche, eventualmente, sotto il profilo della conformità alla CDFUE quale norma interposta rispetto agli artt. 11 e 117 Cost)”.

 

***

 

4. L’ordinanza n. 3831/2018 della Cassazione Civile ha il merito di avere posto sul tappeto, in modo argomentato e persuasivo, una questione – il carattere sproporzionato che può assumere la confisca per equivalente nell’insider trading – che non ha ad oggi ricevuto sufficiente considerazione e che, a ben vedere, può porsi, come si pone, anche rispetto al delitto di insider trading e alla confisca ex art. 187 T.U.F.. Non solo, tanto rispetto alla confisca ‘amministrativa’ (art. 187 sexies T.U.F.), quanto in rapporto alla confisca ‘penale’ (art. 187 T.U.F.), il problema della sproporzione, quando oggetto della misura siano i mezzi usati per commettere l’illecito, si pone infatti in termini sostanzialmente analoghi, nel diritto penale e nel diritto sanzionatorio amministrativo, sia per la confisca diretta sia per la confisca per equivalente.

La Cassazione penale, tuttavia, ha ritenuto alcuni anni fa manifestamente infondata una eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 187 T.U.F. (cfr. Cass. Sez. V, 12.3.2012, n. 28486), nella quale la difesa – con argomenti in linea con quelli oggi spesi dall’annotata ordinanza della Cassazione Civile – lamentava come, a fronte della realizzazione di profitti che ben possono essere modesti, la tesi che non limita la misura ablativa al profitto del reato consente di sequestrare/confiscare, anche per equivalente, capitali che invece possono essere ingentissimi.

Quanto alla Corte Costituzionale, va segnalato che proprio nell’ambito della vicenda conclusasi con la sentenza n. 8590/2018, qui pure annotata, la Corte d’Appello di Torino aveva sollevato in due diverse occasioni questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F. Nella prima occasione (la questione è stata dichiarata inammissibile per difetto di chiarezza e univocità del petitum), i giudici torinesi osservavano tra l’altro come “l’ammontare della sanzione di natura patrimoniale di cui si discute finirebbe per dipendere dalle circostanze del caso concreto, senza, peraltro, che dette circostanze riflettano necessariamente il disvalore del fatto. La ‘rigidità’ e l’‘automatismo’ della misura rischierebbero, conseguentemente, di provocare una rottura del rapporto di equilibrio tra entità della risposta sanzionatoria, da un lato, e offesa, dall’altro” (Corte cost., 10 giugno 2011, n. 186). Nella seconda occasione, il petitum è stato meglio precisato ed è stata sollevata dalla medesima Corte d’Appello una questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F. per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., con la quale si è lamentata l’impossibilità, per l’autorità amministrativa prima (la Consob) e per il giudice investito dell’opposizione poi, “di graduare anche tale misura in rapporto alla gravità in concreto della violazione commessa”. La questione è stata però dichiarata di nuovo inammissibile, questa volta però perché volta a chiedere alla Corte costituzionale di sostituirsi al legislatore, introducendo un innovativo regime di confisca “graduabile”, superando l’attuale carattere di misura ‘fissa’ (Corte cost., 15 novembre 2012, n. 252, in questa Rivista, con nota di Amati).  Di particolare interesse è quel che incidentalmente la Corte costituzionale afferma e riconosce in quest’ultima pronuncia: “nel denunciare le conseguenze ultra modum che possono scaturire, in determinati contesti, dalla previsione della confisca obbligatoria, non solo del profitto, ma anche dei beni strumentali alla commissione dell’illecito, specialmente se contemplata anche nella forma «per equivalente» – problema in sé reale e avvertito, da sottoporre all’attenzione del legislatore – il giudice a quo invoca, in effetti, una pronuncia che, per i suoi contenuti, esorbita dai poteri di questa Corte”.

 

4.1. A tale ultimo proposito va segnalato che, nell’ordinanza n. 3831/2018, il giudice a quo (§12.10) ha giudicato manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente in rapporto all’art. 3 cost. lamentando l’asserita irragionevole disparità di disciplina tra la graduabilità della sanzione pecuniaria principale comminata dall’art. 187 bis T.U.F. e la non graduabilità della confisca per equivalente dei mezzi utilizzati nell’operazione di trading. Tale considerazione potrebbe risultare utile per superare l’argomento, scivoloso, del carattere graduabile della confisca, in rapporto alla gravità del fatto, che indubbiamente rappresenterebbe un novum nell’ordinamento. Ciò che il giudice a quo chiede alla Corte costituzionale, a me pare, non è di introdurre una forma di confisca graduabile, in rapporto alla gravità del fatto concreto, bensì, più semplicemente, di limitare la confisca a uno dei possibili tre oggetti oggi previsti dall’art. 187 sexies T.U.F.: il profitto dell’illecito; un risultato, questo, ottenibile amputando dalla disposizione i riferimenti al prodotto dell’illecito e ai mezzi utilizzati per commetterlo.

 

4.1.1. Il risultato cui mira il giudice a quo, a ben vedere, è quello che dovrebbe realizzare il Governo sulla base della legge di delegazione europea 2016/2017 (L. 25 ottobre 2017, n. 163, art. 8, comma 3, lett. g ed h), in attuazione di una delega (della durata di sei mesi) la cui scadenza è tuttavia prossima (scadrà il 21 maggio 2018).

Procediamo per gradi: il Regolamento UE n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato), che ha abrogato la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione, si occupa all’art. 30 (“Sanzioni amministrative e altre misure amministrative”) delle sanzioni per l’insider trading. Esso è ispirato proprio al principio di proporzione e manifesta un’opzione a favore di sanzioni ablative che si limitino a interessare il profitto dell’illecito, comportando la “restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate grazie alla violazione, per quanto possano essere determinati” (art. 30, comma 2, lett. b). Ancora, lo stesso Regolamento prevede l’applicazione, da parte degli Stati membri, di “sanzioni amministrative pecuniarie massime di valore pari ad almeno tre volte l’importo dei guadagni ottenuti o delle perdite evitate grazie alla violazione, quando possono essere determinati”, dando così una chiara indicazione sulla necessità di un rapporto proporzionato, tra i guadagni realizzati e le perdite evitate attraverso l’illecito, e le sanzioni amministrative irrogate (art. 30, comma 2, lett. h). D’altra parte, è lo stesso Regolamento ad imporre agli Stati membri, “nello stabilire il tipo e il livello di sanzioni amministrative”, di tenere conto dell’“ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte dell’autore della violazione, nella misura in cui possano essere determinati” (art. 31, comma 1, lett. d).

Proprio per adeguare la disciplina dell’art. 187 sexies al Regolamento UE n. 596/2014 la l. n. 163/2017, all’art. 8, comma 3, lett. g ed h), ha delegato il Governo ad adeguare entro sei mesi la disciplina della confisca ex art. 187 sexies t.u.f. al diritto UE secondo i seguenti principi e criteri direttivi specifici:

“g) rivedere l'articolo 187 sexies del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in modo tale da assicurare l'adeguatezza della confisca, prevedendo che essa abbia ad oggetto, anche per equivalente, il profitto derivato dalle violazioni delle previsioni del regolamento (UE) n. 596/2014;

h) prevedere che, per stabilire il tipo ed il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal Regolamento (UE) n. 596/2014, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 31 del medesimo regolamento” – ivi compreso, pertanto, l’ammontare dei ricavi e delle perdite evitate.

I lavori preparatori della legge delega confermano la volontà del legislatore di adeguare la disciplina della confisca ex art. 187 sexies t.u.f. al diritto UE limitando la confisca al profitto dell’illecito, individuato – si noti – nel profitto netto, cioè nei guadagni realizzati e nelle perdite evitate, cui fa riferimento il citato art. 30, comma 2, lett. b) del Regolamento UE n. 596/2014[2]. Nel sottolineare la “ragione di fondo” della novella legislativa, un autorevole studioso della materia - Francesco Mucciarelli - ha per l’appunto sottolineato come “da tempo in dottrina era stata segnalata la sproporzione di una misura che poteva riguardare risorse ingentissime anche a fronte di un accrescimento patrimoniale modesto per il responsabile[3].

 

4.1.2. Se la legge delega sarà attuata, nei prossimi giorni (il che sembra improbabile, non avendosi ancora notizia di uno schema di decreto legislativo), la Corte Costituzionale non potrà che prendere atto dello ius superveniens. Se invece la delega dovesse restare priva di attuazione, resterebbe il dato di fatto della volontà, manifestata dal legislatore, di limitare la confisca ex art. 187 sexies al profitto dell’illecito e, soprattutto, risulterebbe insoddisfatta l’esigenza di adeguare in tal modo la disciplina della confisca alla richiamata disciplina comunitaria (esigenza sottolineata anche dall'ordinanza qui in commento).

Non resta dunque che attendere la decisione della Corte costituzionale, la quale, in punto di ammissibilità della questione, potrà valutare la praticabilità, da parte del giudice a quo, di un’interpretazione conforme alla Costituzione e alle pertinenti disposizioni del diritto UE. A fronte del dato testuale dell’art. 187 sexies T.U.F., e del diritto vivente, del quale si è dato conto, a me pare tuttavia che sia questa una strada difficilmente percorribile.

 

4.2. Una notazione finale. I dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Cassazione Civile con l’ordinanza in commento sembrano nel complesso non infondati e, a mio avviso, possono essere estesi alla confisca diretta, e non solo per equivalente, tanto nella forma ‘penale’ ex art. 187 T.U.F., quanto in quella ‘amministrativa’ ex art. 187 sexies T.U.F.

Nulla quaestio in rapporto alla confisca per equivalente per l’insider trading: nel momento in cui si riconosce che la  misura ‘amministrativa’ di cui all’art. 187 sexies, comma 2 T.U.F. ha natura ‘penale’, gli argomenti spesi dall’ordinanza annotata per sostenerne la (parziale) illegittimità costituzionale possono essere estesi alla confisca per equivalente ex art. 187, comma 2 T.U.F., che condivide la stessa natura. Limitare la confisca per equivalente al profitto dell’insider trading, nella sola sede amministrativa, e non anche in quella penale, comporterebbe d’altra parte un’irragionevole disparità di trattamento rilevante ex art. 3 Cost.: è quanto, come è stato rilevato in dottrina[4], si verificherebbe se il Governo attuasse la legge delega della quale si è detto.

Quanto alla confisca diretta per l’insider trading, ‘amministrativa’ o ‘penale’ che sia, a me pare che, se anche se ne voglia escludere la natura afflittiva, riconducibile cioè alla ‘materia penale’, dubbi di legittimità costituzionale sotto i profili, parimenti, dell’irragionevolezza e della sproporzione possano essere sollevati invocando i parametri, considerati dall’ordinanza in commento, che prescindono dalla qualificazione della confisca come misura afflittiva/sanzionatoria. Mi riferisco agli artt. 3, 42 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.

Alle osservazioni contenute nell’ordinanza annotata potrebbe d'altra parte aggiungersene almeno una, sotto il profilo dell’art. 3 Cost.: a fronte dei possibili oggetti alternativi della confisca (ex artt. 187 e 187 sexies T.U.F.) la scelta di che cosa confiscare (se il prodotto o il profitto, in particolare) è di fatto rimessa – in assenza di criteri capaci di vincolarne la discrezionalità – al giudice o alla CONSOB, che a fronte di un fatto di abuso di informazioni privilegiate della stessa gravità (ad es., acquisto di azioni) potrebbe confiscare nei confronti di Tizio solo il profitto, e nei confronti di Caio, oltre al profitto, anche i beni investiti per conseguirlo (cioè, nel complesso, il prodotto).

Anche per tale ragione, l'avere sollevato la questione davanti alla Corte Costituzionale è stato quanto mai opportuno.

 

 

 


[1] Cfr. Corte cost., 7 febbraio 2017, n. 68: “La confisca per equivalente prevista dall’art. 187 sexies impugnato condivide il tratto essenziale proprio delle altre ipotesi di confisca di valore finora vagliate dalla giurisprudenza di legittimità e anche da questa Corte (ordinanze n. 301 e n. 97 del 2009), con specifico riferimento al caso regolato dall’art. 322 ter del codice penale. Essa si applica a beni che non sono collegati al reato da un nesso diretto, attuale e strumentale, cosicché la privazione imposta al reo risponde a una finalità di carattere punitivo, e non preventivo”. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione v., da ultimo, Cass. Civ., Sez. II, 14 settembre 2017, n. 26084.

[2] Cfr. Il Dossier del Servizio Studi del Senato al d.d.l. AC 4620-A (ottobre 2017), in www.senato.it, p. 64.

[3] Cfr. F. Mucciarelli, Riforma del market abuse: l’attesa continua, in Diritto Penale e Processo, 2018, n. 1, p. 5 s.

[4] Cfr. F. Mucciarelli, Riforma penalistica del market abuse, cit.; E. Basile, Riforma del market abuse: quando la toppa (parlamentare) è peggiore del buco (governativo), in questa Rivista, fasc. 11/2017, p. 228 ss.