24 maggio 2018 |
Rimessa alle Sezioni Unite una questione in tema di retrodatazione dei termini della custodia cautelare in ipotesi di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi
Cass., Sez. II, ord. 2 maggio 2018 (dep. 3 maggio 2018) n. 19100, Pres. De Crescienzo, Rel. Beltrani
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1. Si segnala l'ordinanza di rimessione della Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione che chiama le Sezioni Unite ad esprimersi su una questione rilevante, che si articola per il tramite del seguente quesito: “Se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee”.
2. Prima di entrare nel cuore delle ragioni a fondamento delle opposte tesi di cui si dà conto nel provvedimento ai sensi dell'art. 618 c.p.p., si riporta il caso di specie per rendere ancor più intellegibile la problematica in parola.
Nello specifico, il ricorrente, con l’ausilio di un difensore abilitato al patrocinio innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, ha lamentato l’erronea mancata applicazione, da parte dei giudici del merito, della “retrodatazione” del termine di fase, chiesta in applicazione della disciplina dettata dall’art. 297, comma III, c.p.p., in presenza di cc.dd. “contestazioni a catena”. Invero, ad avviso del ricorrente, tale mancata applicazione è stata motivata dai giudici del merito sulla base del rilievo per cui il procedimento in corso per associazione di stampo mafioso versa in fase diversa rispetto ad un antecedente procedimento per i reati di detenzione illecita di sostanze stupefacenti ed armi, aggravate ex art. 7 l. n. 201 del 1991, riguardante il medesimo soggetto, all’interno del quale è stata emessa una precedente ordinanza applicativa di misura cautelare della stessa specie e in ordine al quale è intervenuto il decreto che ha disposto il giudizio di primo grado.
La circostanza da ultimo riportata, sarebbe ostativa dell’applicazione del disposto dell’art. 297, comma III, c.p.p., e pertanto il periodo di detenzione scontato in esecuzione della precedente misura cautelare non sarebbe scomputabile dalla durata della misura da ultimo inflitta.
3. Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, infatti, ha ritenuto che il principio della retrodatazione assume rilievo allorché ambedue i procedimenti nell’ambito dei quali le susseguenti misure cautelari sono state emesse, versino nella medesima fase; mentre laddove – come nel caso si specie – il procedimento nell’ambito del quale è stata emessa la prima misura cautelare sia passato ad una fase successiva, in costanza dell’efficacia della misura ivi applicata, la ratio stessa dell’istituto della contestazione a catena implica che la misura da ultimo applicata non perde di efficacia quand’anche il procedimento cui essa accede, versi ancora nella fase antecedente (ad esempio, nella specie, in quella delle indagini preliminari).
Questa decisione è frutto dell’asserita adesione ad un orientamento della Suprema Corte di Cassazione, confermato anche dalla Sentenza n. 18111/2017 della IV Sezione Penale, secondo il quale “la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297, comma III, c.p.p., impone ai fini del calcolo dei termini di fase di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee[1]”.
4. Sul tema si è sviluppato, più di recente, un opposto orientamento propugnato dalla VI Sezione Penale della Suprema Corte, la quale, facendo perno sulle finalità del meccanismo della “retrodatazione”, e cioè quelle di impedire la diluizione nel tempo delle misure cautelari in caso di contestuale sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura in merito a due o più reati, ha osservato che “il passaggio di fase nel procedimento nel quale è stato emesso il primo titolo custodiale nella retrodatazione influisce (…) soltanto nei limiti di cui alla seconda parte del III comma dell’art. 297, c.p.p., dovendo la stessa operare solo se i fatti per i quali è stata emessa la seconda misura, legati da connessione qualificata, erano già desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio. Ma non può certo determinare la diluizione dei termini di custodia cautelare. Attraverso frazionati passaggi di fase dei procedimenti, che dovevano procedere riuniti, si verrebbe a vanificare quella che il Giudice delle leggi ha identificato come la fondamentale garanzia sottesa alla regola della retrodatazione, che è quella che si è sopra evidenziata della necessità di concentrare in un unico contesto temporale le vicende cautelari, destinate a dar luogo a simultanei titoli custodiali (perché relative a quelle situazioni tipizzate dalle Sezioni Unite[2]). Se è questa la finalità del meccanismo di cui all’art. 297, comma III, c.p.p., non è certo il mero scomputo del solo presofferto per la fase omogenea a realizzare la garanzia prevista dal legislatore, proprio perché, alla base dell’istituto, vi è la constatazione che i diversi titoli cautelari dovevano essere emessi simultaneamente, dando luogo ad un medesimo percorso cautelare, indipendentemente dalle scelte del Pubblico Ministero in ordine all’eventuale separazione dei relativi procedimenti penali[3]”.
Figlio di una ispirazione più garantista, questo secondo orientamento nei casi come quello di specie, non subordina l’applicazione del meccanismo della retrodatazione alla circostanza che i procedimenti si trovino nella stessa fase, rinunciando al criterio di calcolo fondato sulle “fasi omogenee”.
5. In buona sostanza, la risoluzione del quesito ruota intorno alla interpretazione di quanto stabilito nella seconda parte del comma III dell’art. 297 c.p.p., ai sensi del quale la retrodatazione del termine della custodia cautelare nel caso di più ordinanze applicative della stessa misura cautelare nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi,“non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma”.
La questione ha suscitato particolare attenzione soprattutto in ragione della rilevanza dei valori in gioco, produttivi di effetti che incidono sulla libertà dei consociati e come tali non suscettibili di costituire oggetto di incertezze.
Cosicché, anche al fine di prevenire possibili contrasti, la II Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto di rimettere la questione all'attenzione delle Sezioni Unite, affinché possano tratteggiare la strada maestra da seguire in casi similari per individuare agevolmente le modalità attraverso le quali opera il meccanismo di retrodatazione disciplinato dal comma III dell’art. 297 c.p.p.
[1] Cass., Sez. Fer., 21 agosto 2014, Sent. n. 47581, Di Lauro, Rv. 261262.
[2] Cfr. Cass., SS. UU., 19 dicembre 2006, Sent. n. 14535, dep. 2007, Librato.
[3] Cass., Sez. VI, 28 dicembre 2016, Sent. n. 3058, dep. 2017, Rv. 269285.