ISSN 2039-1676


05 giugno 2018 |

Rimessa alle Sezioni Unite la questione sulla natura delle fattispecie di cui all'art. 12 co. 3 del T.U. immigrazione: circostanze aggravanti o fattispecie autonome di reato?

Cass., Sez. I, ord. 15 marzo 2018 (ud. 10 gennaio 2018) n. 11889, Pres. Bonito, Rel. Cairo

Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2018

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1. Con l’ordinanza in commento, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se in tema di disciplina dell’immigrazione, le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma terzo, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti del delitto di cui all’art. 12, comma primo, del medesimo D.Lgs. ovvero figure autonome di reato. In eventualità siffatta se il delitto di cui all’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 integri un reato di pericolo o “a consumazione anticipata”, che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato in detto territorio”.

Il nodo interpretativo concerne due diverse disposizioni contenute nell’art. 12 del t.u. imm., in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

A seguito della riforma introdotta dalla legge n. 4/2009 (c.d. pacchetto sicurezza), il primo comma dispone che: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”. Il terzo comma, invece, punisce la medesima condotta di cui al co. 1 – di cui ripropone la stessa formulazione letterale – prevedendo, però, la pena della reclusione da cinque a quindici anni, qualora ricorrano alcuni elementi specializzanti che imprimono al fatto maggiore gravità e pericolosità sociale (ingresso di cinque o più persone, pericolo per la vita o incolumità del trasportato, sottoposizione dello stesso a trattamento inumano e degradante, fatto commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti e disponibilità di armi o materie esplodenti da parte dell’autore del reato).

Ciò premesso, il nucleo centrale della questione sottoposta alle S.U. risiede nel comprendere se le fattispecie disciplinate dall’art. 12 co. 3 rappresentino circostanze aggravanti, ad effetto speciale, del delitto “base” di cui al precedente co. 1 ovvero integrino figure autonome di reato. Nel caso in cui si accolga quest’ultima soluzione, occorre inoltre chiarire se i fatti ivi contemplati costituiscano reati a c.d. “consumazione anticipata”, che si perfezionano cioè per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso illegale dello straniero, oppure se costituiscano reati di evento, che richiedono, quindi, l’avvenuto ingresso del migrante nel territorio italiano.

 

2. Venendo ora al caso di specie, l’imputato era stato condannato dal Tribunale di Mantova ex art. 12 co. 3 lett. d) del d.lgs. 286/1998 per aver compiuto – in concorso con altri soggetti giudicati separatamente – atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio italiano di tre cittadini pakistani. Il reato veniva, però, derubricato dalla Corte d’appello di Brescia nel delitto previsto dal primo comma del medesimo articolo, con una notevole riduzione della pena.

La riqualificazione del fatto veniva motivata in ragione del mancato ingresso nel territorio italiano da parte dei cittadini pakistani. La Corte d’appello accoglieva infatti l’orientamento di legittimità secondo cui il comma terzo del citato art. 12 integrerebbe una fattispecie autonoma di reato d’evento, che per essere integrato richiederebbe l’avvenuto ingresso irregolare del migrante nel territorio dello Stato (circostanza, come si è detto, non verificatasi nel caso di specie).

Avverso tale decisione ricorreva per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia, lamentando la riqualificazione del fatto nell’ipotesi meno grave di cui al co. 1, sottolineando che l’ingresso dello straniero in Italia non è un elemento costitutivo tanto della fattispecie di cui al comma primo quanto di quella di cui al comma terzo.

 

3. Secondo quanto rilevato nell’ordinanza di rimessione, sulla natura della fattispecie contemplata dall’art. art. 12, co. 3, t.u. imm. è sorto un vivace contrasto interpretativo tra diverse sentenze della Cassazione, tutte rese dalla Prima Sezione penale.

Secondo un primo orientamento, le fattispecie disciplinate dall’art. 12 co. 3 andrebbero qualificate come circostanze aggravanti del delitto di cui al co. 1 e non già come autonome figure criminis. Sulla base del dato testuale – si argomenta – tali fattispecie si porrebbero in rapporto di specialità “per aggiunta” rispetto all’ipotesi delittuosa “base”, poiché prevedono un “trattamento sanzionatorio più severo con riferimento a fatti che accentuano la lesività della condotta”, elencati attraverso la tecnica della numerazione letterale progressiva[1]. Pur riconoscendo che il legislatore ha fatto ricorso in questo caso ad una formulazione insolita, o meglio sui generis, prevedendo in entrambi i commi la clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, ciò non sarebbe decisivo per sostenere la sussistenza di due diverse e autonome fattispecie incriminatrici. Questa soluzione sarebbe, peraltro, smentita anche dalla scelta di mantenere entrambe le fattispecie all’interno di una stessa norma incriminatrice, e cioè l’art. 12, in cui non solo si riscontrerebbe la tutela dello stesso bene giuridico, ma anche, adottando una lettura teleologica, una progressione sanzionatoria direttamente proporzionale alla gravità della condotta del soggetto agente.

Un secondo orientamento contesta, invece, la natura circostanziale dell’ipotesi di cui al comma 3, ritenendo che anche tale fattispecie configuri un titolo autonomo di reato. Tale opposta corrente giurisprudenziale muove dalla considerazione che la disposizione in parola contiene in sé sia il precetto che la sanzione penale, anziché operare un rimando alla condotta descritta dal comma 1, come normalmente accade in caso di circostanze aggravanti. La natura di reato autonomo sarebbe poi confermata dai successivi commi 3-bis e 3-ter, che senz’altro configurano circostanze aggravanti e che si riferiscono in modo distinto alle condotte previste dai commi 1 e 3. Tuttavia, in seno a questa ricostruzione si distinguono due distinte opzioni interpretative.

 La prima asserisce che le condotte previste dal comma in commento esigerebbero l’effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, requisito che sarebbe, invece, non richiesto ai fini dell’integrazione dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 12 co. 1, per la quale risulterebbe sufficiente la mera sussistenza di atti diretti a procurare l’immigrazione illegale. Ad avviso di questa giurisprudenza, l’argomento decisivo sarebbe rappresentato dal rilievo che il forte inasprimento sanzionatorio del terzo comma può essere ritenuto ragionevole “solo se rapportato da una effettiva violazione della disciplina di settore e, dunque, dall’avvenuto ingresso abusivo dei cittadini stranieri nel territorio dello Stato[2]. Ne discenderebbe, pertanto, che soltanto l’ipotesi di cui al co. 1 può configurare un reato a consumazione anticipata, mentre il co. 3 disciplinerebbe un reato di evento, e il discrimen tra le due fattispecie risiederebbe proprio nel requisito dell’effettivo ingresso del migrante nel territorio dello Stato.

La seconda opzione ermeneutica, pur riconoscendo la natura di titolo autonomo di reato alla fattispecie in esame, ritiene che entrambe le fattispecie – sia quella del primo comma, sia quella del terzo comma – contemplino un reato “a consumazione anticipata”, il cui perfezionamento non prescrive l’avvenuto ingresso del migrante, ma solo che vengano posti sul piano materiale atti diretti a procurarne l’accesso[3]. Ad avviso di tale indirizzo interpretativo, l’argomento del considerevole divario sanzionatorio non coglierebbe nel segno “a fronte di una discrezionalità legislativa che risulterebbe correttamente esercitata per la gravità delle condotte descritte”.

La parola passa ora alle S.U. La trattazione del ricorso è prevista per l’udienza del 21 giugno 2018.

 

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4. Occorre, innanzitutto, sottolineare che non esiste una distinzione ontologica tra circostanze ed elementi costitutivi del reato: ciò che rileva è la qualificazione ricavabile dal dato normativo. Sempre più spesso, però, il legislatore non fornisce una qualificazione chiara e univoca, rimettendo tale delicato compito all’interprete.

La giurisprudenza, sulla scorta dell’elaborazione dottrinale, ha fatto ricorso a diversi criteri interpretativi (quello teleologico, o quello topografico, solo per citarne alcuni), nessuno dei quali, però, se singolarmente considerato risulta di per sé sufficiente a qualificare una data fattispecie in termini di circostanza aggravante o di reato autonomo. Tant’è che la stessa giurisprudenza di legittimità formatasi in relazione al co. 3 dell’art. 12 t.u. imm., come abbiamo sopra sinteticamente illustrato, valorizza talvolta un argomento, talvolta un altro, giungendo ad esiti opposti.

A nostro modo di vedere, una applicazione “combinata” dei diversi criteri interpretativi suggerisce di ritenere la fattispecie descritta al co. 3 dell’art. 12 t.u. imm. una figura autonoma di reato.

 

5. Innanzitutto, si consideri la lettera della legge e, in particolare, la clausola di sussidiarietà contenuta nell’incipit dell’art. 12 co. 3 (“Salvo che il fatto costituisca più grave reato”). Tale clausola rimarrebbe priva di significato laddove si ritenesse che la disposizione contenuta nel co. 3 configuri una circostanza aggravante del delitto descritto al co. 1, giacché quest’ultima norma già contempla, sempre in apertura, la clausola di sussidiarietà in parola.

Al di là di questo rilievo, il dato testuale sembra indicare chiaramente che si tratta di una fattispecie autonoma di reato, dal momento che il legislatore ha disciplinato la fattispecie in esame non ricorrendo alla formulazione usuale delle circostanze, bensì in termini di fattispecie a sé stante. In via di regola, infatti, le circostanze non descrivono per intero la condotta tipica, ma si limitano a contemplare solo l’elemento specializzante, mentre il comma terzo descrive il comportamento sanzionato, stabilendo anche un’autonoma pena edittale, senza operare alcun richiamo alla fattispecie di cui al primo comma del medesimo articolo.

Un ulteriore argomento nel senso del riconoscimento della natura di fattispecie autonoma può essere ricavato dall’evoluzione normativa che ha riguardato la disposizione di cui all’art. 12 co. 3. La versione originaria di tale disposizione prevedeva, infatti, che: “se il fatto di cui al comma 1 è commesso a fine di lucro o da tre o più persone in concorso tra loro, ovvero riguarda l'ingresso di cinque o più persone…, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni […]”. In considerazione della formulazione testuale della norma, era allora pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il comma terzo contemplasse una circostanza aggravante ad effetto speciale, posto che non prevedeva né la clausola di sussidiarietà espressa né la descrizione della condotta tipica. A seguito, però, della novella introdotta dalla legge n. 189/2002, confermata poi anche dalla legge n. 94/2009, il legislatore ha riscritto la disposizione prevista al co. 3, introducendo la descrizione della condotta punita e la clausola di sussidiarietà e mutando, così, radicalmente il pregresso assetto normativo.

La natura di reato autonomo della fattispecie in parola è poi confermata, sul piano sistematico, dalla lettura dei commi successivi dello stesso art. 12. Il legislatore del 2002, infatti, ha introdotto i commi 3-bis e 3-ter, distinguendo chiaramente – a nostro avviso – le ipotesi aggravate ivi previste dalla fattispecie (autonoma) di reato contemplata al co. 3. Il comma 3-bis prevede ora che “se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata”. In termini analoghi, il co. 3-ter fa riferimento alle condotte previste dai commi 1 e 3, prevedendo un trattamento sanzionatorio più severo. Non v’è dubbio, in questo caso, che le predette disposizioni integrino circostanze aggravanti. E, dal momento che le stesse prevedono un aggravamento di pena rispetto ai “fatti di cui al comma 3”, essendo improbabile configurare “un’aggravante di un’aggravante”, la fattispecie di cui al comma 3 non può che costituire una figura autonoma di reato[4].

Da ultimo, è opportuno considerare che, laddove si concludesse che la fattispecie del terzo comma integri una circostanza aggravante, questa risulterebbe soggetta al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p., e sarebbe pertanto possibile che venga compensata o soccomba a fronte di circostanze attenuanti ritenute equivalenti ovvero prevalenti. Se ciò accade, però, rimarrebbero frustrate le esigenze di maggior tutela che hanno spinto il legislatore a prevedere, in ragione della gravità delle offese ivi contemplate (come la messa in pericolo della vita dell’incolumità fisica del migrante, nell’ipotesi delineata dal co. 3 lett. b), un trattamento sanzionatorio di maggior rigore.

 

6. Una volta riconosciuta alla fattispecie di cui all’art. 12 co. 3 t.u. imm. la natura di figura autonomo di reato, occorre tuttavia affrontare anche la seconda questione sollevata dall’ordinanza in commento, vale a dire se tale delitto integri un reato di pericolo che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato italiano, ovvero richieda l’effettivo ingresso illegale del migrante in detto territorio.

A nostro avviso, la fattispecie criminosa descritta dall’art. 12 co. 3 integra un reato c.d. “a consumazione anticipata”, che si perfeziona per il solo fatto che il soggetto agente compia atti diretti a procurare l’ingresso illegale dello straniero. La tesi interpretativa secondo cui la disposizione citata integrerebbe, per contro, un reato d’evento non sembra infatti convincente. Entrambe le condotte, tanto quella descritta al primo comma quanto quella di cui al terzo comma, infatti, non richiedono né contengono alcun riferimento all’avvenuto “varco della frontiera” da parte del cittadino di paesi terzi, escludendo dunque la necessità dell’ingresso effettivo nel territorio italiano quale evento costitutivo del reato.

D’altra parte, una volta riconosciuta la natura di reato “a consumazione anticipata” della fattispecie di cui al co. 1, non vediamo come possa giungersi a conclusione diversa in relazione all’ipotesi del successivo co. 3, data l’identica formulazione letterale delle due disposizioni.

Non ci sembra, inoltre, un argomento di per sé idoneo a superare l’univoco tenore letterale della norma il rilievo formulato in alcune pronunce di legittimità secondo cui la sanzione risulterebbe macroscopicamente eccessiva qualora si anticipasse la tutela penale alla soglia del tentativo (e cioè sanzionando condotte anche soltanto dirette alla realizzazione dell’ingresso illegale).

Permane, non vogliamo certo negarlo, un problema di proporzione e di ragionevolezza nella risposta sanzionatoria, particolarmente severa nel caso in esame (viene prevista, infatti, una pena massima pari a quindici anni di reclusione!). Tale sproporzione però, a ben vedere, risiede soprattutto dal fatto che vengano equiparate sotto il profilo sanzionatorio condotte del tutto eterogenee: dal procurare l’ingresso di più di cinque migranti al porre in pericolo la vita del migrante o sottoporre lo stesso a trattamenti inumani e degradanti. A noi pare che tale rigore punitivo ben possa giustificarsi nei casi di cui alle lettere b) e c), il cui disvalore pregnante è dato proprio dal fatto che, onde procurare l’ingresso in Italia, il bene vita o incolumità personale vengano posti in pericolo ovvero la dignità della persona umana sia violata attraverso trattamenti inumani o degradanti. Non altrettanto giustificato, invece, un simile trattamento sanzionatorio in relazione alle ipotesi di cui alle lettere a) e d).

 


[1] Così, ad esempio, Cass., Sez. I, 29 novembre 2016, sent. n. 14654.

[2] Cass., Sez. I, 25 marzo 2014, sent. n. 40624.

[3] Cass., Sez. I, 31 marzo 2017, sent. n. 45734.

[4] Seppure con riferimento ad altra fattispecie (delitto di tortura), sottolinea come appaia “stravagante” ritenere che il legislatore possa configurare circostanze aggravanti di un’aggravante F. Viganò, Sui progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione presso la camera dei deputati, in questa Rivista, 25 settembre 2014, p. 5.