14 dicembre 2018 |
La sentenza delle Sezioni Unite sulla qualificazione come circostanze aggravanti delle fattispecie previste dall’art. 12 co. 3 del T.U. immigrazione
Cass., Sez. un., sent. 21 giugno 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40982, Pres. Carcano, Est. Rocchi, in proc. Mizanur
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1. Il Tribunale di Mantova aveva ritenuto R.M. responsabile del delitto di cui all’art. 12, co. 3, lett. d) d.lgs. 286/98 (d’ora in poi T.U.I. - Testo unico immigrazione) per avere compiuto una pluralità di atti diretti a procurare l’ingresso in Italia in violazione delle disposizioni dello stesso testo unico di 131 cittadini stranieri (senza che peraltro l’ingresso si fosse verificato), ottenendo fraudolentemente il rilascio di nulla osta al lavoro ed i relativi visti d’ingresso tramite la presentazione di documentazione fittizia; l’imputato era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la diminuzione conseguente alla scelta del rito abbreviato, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione e di euro 100.000 di multa.
La Corte d’appello di Brescia, derubricata la condotta contestata nel reato di cui all’art. 12, co. 1, T.U.I., rideterminava la pena nella misura di anni uno di reclusione e 20.000 euro di multa, riconoscendo all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena. Tale derubricazione conseguiva all’adesione, da parte dei giudici d’appello, all’interpretazione secondo cui il delitto di cui all’art. 12, co. 3 presuppone l’effettivo ingresso illegale in Italia degli stranieri, sicché, se questo non si è verificato – come nel caso in esame –, il mero compimento di atti diretti a provocarlo rientra nell’ambito di operatività dell’art. 12, co. 1, T.U.I.
Avverso tale sentenza ricorreva per Cassazione il Procuratore generale, deducendo erronea interpretazione dell’art. 12, co. 1 e 3, T.U.I. e contestando l’orientamento, fatto proprio dalla Corte d’appello, secondo cui la fattispecie del comma terzo costituisce una figura di reato autonoma rispetto a quella del comma primo, e presuppone la realizzazione dell’evento, cioè dell’effettivo ingresso nel territorio nazionale degli stranieri favoriti. Ad avviso del ricorrente le condotte descritte dai due commi sono tra loro identiche: quelle del comma terzo sono punite più gravemente in ragione delle specifiche modalità che le connotano, a prescindere dall’avvenuto ingresso degli stranieri in Italia, tant’è vero che le condotte indicate alle lettere da “b” ad “e” del comma terzo dell’art. 12 cit. non contemplano l’ingresso come conseguenza dell’azione, mentre la lett. “a” (il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone) riferendosi al “fatto” descritto nella prima parte della norma, si riferisce necessariamente anche al compimento di “atti diretti a procurare l’ingresso”, senza necessità che questo si verifichi. In buona sostanza, secondo il Procuratore ricorrente, sia l’ipotesi del comma uno dell’art. 12 T.U.I. che quella del comma tre descrivono reati di pericolo.
2. La questione circa la natura delle due ipotesi contenute nell’art. 12 T.U.I. viene rimessa alle Sezioni unite in data 10.1.2018 con ordinanza del Presidente della prima sezione, che mette in luce l’esistenza di due interpretazioni contrastanti in seno alle Sezioni semplici.
Una prima questione riguarda la qualificazione in termini di circostanza aggravante, ovvero di fattispecie autonoma di reato, delle ipotesi contemplate dal comma 3 dell’art. 12 T.U.I. rispetto a quelle di cui al comma 1. Successivamente, ove si ritenga che si tratti di fattispecie autonoma, occorre verificare se le ipotesi di cui al comma 3 abbiano natura di reato di pericolo oppure di evento (cioè se sia o meno necessario l’effettivo ingresso illegale degli stranieri nel territorio dello Stato per la consumazione del reato).
Le Sezioni unite individuano tre differenti orientamenti dei giudici di legittimità:
- secondo un primo orientamento, l’art. 12, co. 3, T.U.I. configurerebbe un’aggravante “per aggiunta” rispetto alla fattispecie base di cui al comma 1: gli elementi strutturali del reato sono i medesimi, ma la fattispecie base viene integrata dagli elementi specializzanti indicati dalle lettere da “a” ad “e” dello stesso comma 3;
- il secondo orientamento qualifica l’illecito di cui al comma 3 quale fattispecie autonoma strutturata nei termini di un reato di evento, a differenza dell’ipotesi base di cui al comma 1 che sarebbe un reato di pericolo. Tale posizione si fonda su due considerazioni: la rilevante differenza sanzionatoria tra le due ipotesi (da uno a cinque anni di reclusione e 15.000 euro di multa per ogni persona favorita per il co. 1; da cinque a quindici anni di reclusione, ferma restando la pena pecuniaria, per il co. 3), e la constatazione che l’aggravante ad effetto speciale di cui al successivo comma 3 ter (quando i fatti sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero al fine di impiegare minori in attività illecite, oppure quando i fatti sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto) si riferisce sia ai “fatti” descritti al comma 1 che a quelli decritti al comma 3;
- infine, un ulteriore orientamento vede l’ipotesi del comma 3 come fattispecie autonoma di reato, ma la qualifica in termini di reato di pericolo, senza che per la sua consumazione sia necessario l’ingresso illegale di stranieri in Italia, essendo sufficiente il compimento di atti diretti a procurarne l’ingresso. Tale prospettazione non sarebbe preclusa, come argomentato dal Procuratore generale ricorrente, dalla considerazione che la prima delle cinque ipotesi specializzanti in cui si sostanzia il comma 3 (quella contraddistinta con la lettera “a”) si configuri quando “il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone”.
3. Prima di analizzare la decisione delle Sezioni unite, pare opportuno ripercorrere brevemente le tappe della complessa e articolata evoluzione normativa della fattispecie in esame, come peraltro suggerito dalla stessa sentenza al paragrafo 3, perché le soluzioni giurisprudenziali che nel tempo si sono succedute sono andate di pari passo con le numerose modifiche operate dal legislatore alla fattispecie.
Il D.L. 30.12.1989, n. 416, convertito nella legge 28.2.1990, n. 39 – c.d. legge Martelli – all’art. 3, co. 8, sanzionava con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 2 milioni di lire “chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente decreto”. Erano previste due circostanze aggravanti ad effetto speciale – l’avere agito con il dolo specifico di lucro e in tre o più persone – con un considerevole incremento di pena: reclusione da 2 a 6 anni e multa da 2 a 50 milioni di lire. Per la prima volta veniva introdotto il delitto di favoreggiamento dell’ingresso di stranieri in Italia, che costituiva reato a condizione che avvenisse “in violazione delle disposizioni del presente decreto”; il fatto di avere agito a fini di lucro o in tre o più persone non configurava una fattispecie autonoma di reato, bensì una circostanza aggravante ad effetto speciale.
Con la legge Turco – Napolitano del 1998, successivamente trasfusa nel D. Lgs. 286/98 (T.U. immigrazione), si riproponeva, all’art. 12, co. 1, la norma previgente con un lieve incremento sanzionatorio: la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 30 milioni del vecchio conio.
Al comma 3 si prevedevano due gruppi di circostanze aggravanti ad effetto speciale per il fatto di cui al comma 1:
a) l’avere commesso il fatto a fine di lucro o da tre o più persone in concorso tra loro, ovvero se il fatto riguardava l’ingresso di cinque o più persone, e nei casi in cui il fatto era commesso mediante l’utilizzo di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti. In queste ipotesi la pena era della reclusione da quattro a dodici anni, invariata quella pecuniaria.
b) se invece il fatto era commesso al fine di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o al suo sfruttamento, ovvero riguardava l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, la pena era della reclusione da cinque a quindici anni e della multa di cinquanta milioni di lire per ogni persona favorita.
La giurisprudenza era orientata a considerare le ipotesi previste all’art. 12, co. 3 come circostanze aggravanti ad effetto speciale rispetto alla fattispecie “base” di cui al comma 1.
Con la legge n. 189/2002 – c.d. “Bossi - Fini” – l’art. 12 T.U.I. è stato novellato nei seguenti termini. La fattispecie di cui al comma 1 prevedeva due novità: da un lato si sostituiva la descrizione della condotta tipica “compie attività dirette a favorire” l’ingresso di stranieri nel territorio dello Stato con la locuzione “compie atti diretti a procurare”, quasi a volere restringere l’ambito di applicazione della disposizione senza tuttavia incidere significativamente sulla struttura del reato; e, d’altro canto, si introduceva il reato di favoreggiamento dell’emigrazione illegale, consistente nel compiere atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La pena prevista era la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 15.000 € per ogni persona favorita.
Con il nuovo comma 3 si ricorreva alla formulazione normativa attualmente vigente, nel senso che si riproduceva integralmente la fattispecie descritta al comma 1, ma con la specificazione dell’avere il reo agito al “fine di trarre profitto anche indiretto”: in questo caso la pena prevista era la reclusione da quattro a dodici anni. La stessa pena si applicava se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, ovvero è commesso mediante l’utilizzo di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti. Quindi, talune condotte che erano previste come circostanziali nella versione del 1998 venivano ad integrare la descrizione della condotta tipica di quella che pareva essere diventata una fattispecie autonoma, tant’è vero che venivano introdotte talune circostanze aggravanti relative esclusivamente al comma 3: se il fatto riguardava l’ingresso o la permanenza illegale di cinque o più persone, se la persona era stata sottoposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità, ovvero a trattamento inumano o degradante la pena era aumentata (art. 12, co. 3 bis). Mentre, se i fatti di cui al comma 3 erano compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale ovvero riguardavano l’ingresso di minori da destinare ad attività illecite, si applicava la pena da 5 a 15 anni e la multa di 25.000 € per ogni persona (art. 12, co. 3 ter). Infine, il co. 3 quater escludeva il bilanciamento ex art. 69 c.p. delle attenuanti (salvo quella ex art. 98 c.p.) con le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter, nell’ottica di ridurre la discrezionalità del giudice. Pare comunque utile precisare che queste circostanze aggravanti riguardavano esclusivamente l’ipotesi di cui al comma 3 e non anche quella di cui al comma 1 (a differenza del testo attualmente vigente).
A soli due anni di distanza, il legislatore era intervento nuovamente a modificare l’art. 12 T.U.I. con la legge 271/2004, prevedendo un inasprimento sanzionatorio per cui la pena per la fattispecie di cui al comma 1 (che rimaneva inalterata nella sua struttura) era la reclusione da uno a cinque anni (invece che fino a tre anni), mentre rimanvea immutata la pena pecuniaria.
Quanto al comma 3, veniva espunta l’ipotesi consistente nell’essere il fatto stato commesso da tre o più persone in concorso tra loro, ovvero utilizzando servizi di trasporto internazionali o documenti contraffatti, ipotesi che degradava a circostanza aggravante di cui al comma 3 bis, che, a sua volta, non si applicava più solo alle pene previste allo stesso comma 3, ma anche a quelle previste al comma 1. La disposizione di cui al comma 3 era stata considerata dalla giurisprudenza come fattispecie autonoma di reato.
Veniva inoltre modificato il trattamento sanzionatorio anche per l’aggravante di cui al comma 3 ter (che si applicava solo ai fatti di cui al comma 3), per cui la reclusione era aumentata da un terzo alla metà qualora i fatti fossero stati commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale ovvero riguardavano l’ingresso di minori da destinare ad attività illecite.
Infine, veniva inserita l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., oltre a quella ex art. 98 c.p., tra le sole circostanze attenuanti bilanciabili con le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter.
L’ultima modifica nella travagliata evoluzione dell’art. 12 è stata introdotta con la Legge 94/2009 (il c.d. “pacchetto sicurezza” fortemente voluto dall’allora Ministro Maroni).
Innanzitutto la riforma opera una specificazione delle condotte tipiche sia del comma 1 che del comma 3: oltre al compimento di atti diretti a procurare l’ingresso illegale, che rimane come formula di chiusura, è punito - con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 € per ogni persona - chiunque promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato (o di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente). Tuttavia, ciascuna di queste condotte rappresenta una diversa modalità di commissione del fatto, sicché il delitto resta unico anche se l’agente ha realizzato una pluralità di condotte tipiche.
Ai sensi del comma 3, la pena è la reclusione da cinque a quindici anni (immutata la pena pecuniaria) nel caso i cui:
a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale di cinque o più persone;
b) la persona trasportata è stata sottoposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale ;
c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurare l’ingresso o la permanenza illegale;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto o documenti contraffatti, alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori hanno la disponibilità di materie esplodenti.
Com’è agevole notare, le prime tre ipotesi non riguardano soltanto l’ingresso, ma pure la permanenza illegale. Siccome il reato di favoreggiamento della permanenza illegale è previsto e punito al comma 5 dell’art. 12 T.U.I. (e in misura assai meno rilevante: con la reclusione fino a 4 anni) si pone un evidente quesito interpretativo, volto a ricercare gli elementi differenziali delle due fattispecie.
L’elemento differenziale tra il delitto di cui all’art.12 co. 5 e quello di cui all’art. 12 co. 3 sta in questo: il 12, co. 5 punisce condotte agevolatrici della permanenza illegale svincolate e scollegate dal favoreggiamento dell’ingresso (lo straniero è già in Italia), mentre si versa nell’ambito del 12 co. 3 se lo straniero non si trova in Italia e ne è stato favorito l’ingresso illegale, anche in vista di una successiva permanenza, se erano cinque o più persone, se c’è stato pericolo per la vita o l’incolumità, se è stato sottoposto a trattamento inumano o degradante.
Il novellato comma 3 bis descrive una circostanza aggravante comune: se i fatti descritti al comma 3 sono stati commessi ricorrendo due o più delle ipotesi ivi previste la pena è aumentata fino ad un terzo.
Invece, il comma 3 ter prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale (la pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000€ per ogni persona favorita) se i fatti di cui ai commi 1 e 3 sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale o lavorativo, oppure riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento e quando sono commessi al fine di trarre profitto, anche indiretto. E’ importante evidenziare che l’aggravante in parola si applica sia alla fattispecie base di cui al comma 1 che a quella di cui al comma 3. Il divieto di bilanciamento di entrambe le aggravanti con eventuali attenuanti è ribadito al comma 3 quater, fatte salve le attenuanti ex artt. 98 e 114 c.p.
Questa formulazione dell’art. 12 è quella attualmente vigente sulla quale sono intervenute le Sezioni unite con la sentenza in commento.
4. Come si è visto, la questione circa la natura di fattispecie autonoma o circostanziale del comma 3 dell’art. 12 T.U.I. si pone a partire dal 2002 quando il legislatore adottò la tecnica normativa, definita “infelice” dalle Sezioni unite, di riproporre la descrizione di una condotta identica nel primo e nel terzo comma con l’aggiunta di elementi specializzanti in quest’ultimo, salvo degradare talune condotte a fattispecie dichiaratamente circostanziali secondo un andamento ondivago volto ad inasprire sempre più il trattamento sanzionatorio.
L’analisi delle Sezioni unite (paragrafi 4 e 5 del “considerato in diritto”) si articola partendo da alcune sentenze della prima sezione penale individuate come esemplificative delle due tesi contrapposte: l’una sostiene la tesi della fattispecie autonoma, l’altra quella della circostanza aggravante.
La tesi favorevole alla natura di fattispecie autonoma dell’art. 12, co. 3 è stata fatta propria tra le altre dalla sentenza n. 40624 della prima sezione del 25.3.2014, secondo cui i fatti descritti dalla norma sarebbero “evocativi di una effettiva violazione della disciplina di controllo dell’immigrazione” cui conseguirebbe la natura di reato di evento, che renderebbe necessario l’avvenuto ingresso illegale in Italia degli stranieri. Tale soluzione sarebbe preferibile anche in chiave di ragionevolezza, considerato il ben più grave trattamento sanzionatorio previsto dal comma 3 rispetto a quello del comma 1 dell’art. 12 cit.
Inoltre, la considerazione che l’aggravante di cui al comma 3 ter (reclutamento di persone da destinare a sfruttamento a vario titolo o fine di trarre profitto) riguarda indistintamente sia i fatti di cui al comma 1 che quelli di cui al comma 3 costituirebbe ulteriore conferma dell’autonomia della fattispecie.
Secondo altra sentenza della stessa sezione (n. 45734 del 31.3.2017, Bouslim) la fattispecie autonoma di cui all’art. 12, co. 3, T.U.I. costituirebbe un reato di pericolo per il cui perfezionamento sarebbe sufficiente il compimento di atti diretti a procurare l’ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato: l’utilizzo nel comma 3 della locuzione “nel caso in cui…” avrebbe la funzione di specificare talune condotte che in passato erano considerate alla stregua di circostanze aggravanti, senza tuttavia modificare la struttura della norma rispetto a quella di cui al comma 1, che pacificamente anticipa la soglia di punibilità al compimento di atti diretti a cagionare l’ingresso illegale.
Per contro, la tesi che interpreta le fattispecie di cui all’art. 12, co. 3 T.U.I. come circostanze aggravanti del delitto di cui al comma 1, è stata sostenuta in particolare con la sentenza della prima sezione n. 14654 del 29.11.2016, dove si è individuato come canone ermeneutico per distinguere fattispecie autonome o circostanziali il criterio di specialità ex art. 15 c.p. Nel caso in esame gli elementi strutturali della condotta di cui all’art. 12, co. 1 sono gli stessi di quelli di cui al comma 3 che sono integrati “per aggiunta esclusivamente attraverso l’inserimento dei dati specializzanti, elencati avvalendosi della tecnica di enumerazione letterale progressiva”. Tale soluzione ha il pregio di non frammentare un nucleo offensivo identico – posto a tutela degli stessi interessi giuridici protetti – in più fattispecie e, inoltre, la natura circostanziale consente il bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti. Nemmeno è di ostacolo a tale approdo il divieto di bilanciamento tra circostanze ove si ravvisino le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter, perché tale divieto, lungi dal dimostrare la natura di reato autonomo del comma 3, costituisce semplicemente elemento sintomatico della scelta del legislatore di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo ove ricorrano le ipotesi contemplate in dette circostanze aggravanti.
5. Quest’ultima soluzione interpretativa è stata ritenuta corretta dalle Sezioni unite.
Dal momento che il legislatore è libero di attribuire valenza di elementi costitutivi del reato ovvero di elementi circostanziali agli stessi fatti, tant’è che non esiste alcuna differenza ontologica tra di essi, è solo attraverso la ricostruzione della volontà del legislatore che è possibile sciogliere il dubbio sulla natura della fattispecie, anche quando, come nel caso del comma 3, il legislatore non ha espresso esplicitamente tale volontà, a differenza di quanto avvenuto riguardo alle circostanze aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter, esplicitamente definite tali dal comma 3 quater dell’art. 12 T.U.I.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni unite, ormai costante dopo la fondamentale decisione Fedi del 26/06/2002, n. 26351, il principale criterio ermeneutico per risolvere la questione della natura autonoma o circostanziale di una fattispecie è quello strutturale: “il modo in cui la norma descrive gli elementi costitutivi della fattispecie o determina la pena è indicativo della volontà di qualificare gli elementi come circostanza o come reato autonomo”.
Il paragrafo 7 della sentenza in esame applica tale criterio alla fattispecie di cui all’art. 12, co. 3, T.U.I.
Il punto di partenza dell’argomentazione non può che essere la constatazione della ripetizione della descrizione della condotta del primo comma nel terzo, da cui si evince che gli elementi essenziali non mutano. Le ipotesi descritte dalla lettere da a) ad e) del comma 3 – secondo la citata tecnica di enumerazione letterale progressiva – riguardano elementi che non sono essenziali per la configurazione del reato, posto che la condotta tipica risulta già integrata indipendentemente dal loro verificarsi. La tecnica legislativa di riprodurre integralmente la descrizione della condotta di cui al comma 1, invece di operare un rinvio per relationem, è ritenuta “insolita”, ma “non pare un indizio inequivoco della volontà del legislatore di creare una diversa fattispecie autonoma”.
Aggiunge poi la Corte che nemmeno il riferimento ai “fatti di cui ai commi 1 e 3 contenuto nel comma 3 ter [aggravante di avere commesso il fatto al fine di reclutamento a vario titolo o di trarre profitto] dimostra la natura di fattispecie autonoma dei due commi, ben potendo applicarsi ai fatti di cui al primo comma così come aggravati dal terzo comma”: “la costruzione di aggravanti di fattispecie già aggravate non è affatto inusuale nella variegata produzione legislativa”.
È importante infine notare che la Corte non ritiene decisivi gli argomenti utilizzati a sostegno della natura autonoma dell’ipotesi di cui al comma 3 nelle formulazioni vigenti nel 2002 e nel 2004, in quanto queste presentavano differenze di rilievo rispetto alla formulazione vigente, frutto delle modifiche introdotte con la Legge 94/2009 (cfr. § 7).
Invero, nelle versioni previgenti, la giurisprudenza riteneva che la fattispecie di cui al comma 3 fosse una fattispecie autonoma di reato perché si trattava di una sola ipotesi che si differenziava da quella del comma 1 per il fatto di avere agito con il dolo specifico del trarre profitto, anche indiretto; era perciò chiaro che l’intento del legislatore fosse quello di sanzionare più gravemente le condotte caratterizzate dal profitto piuttosto che quelle disinteressate. Tant’è vero che le circostanze aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter erano – nella versione normativa del 2002 – riferibili solo alle ipotesi del terzo comma, “sicché si stagliavano chiaramente due ipotesi di reato: quella del primo comma, punita poco severamente e per la quale non erano contemplate aggravanti; quella del terzo comma, punita molto più severamente e par la quale erano previste ulteriori aggravanti e veniva formulato il divieto di bilanciamento tra circostanze”.
Con la riforma del 2009, il dolo di ingiusto profitto viene invece a configurare una delle circostanze aggravanti di cui al comma 3 ter, e non più l’elemento differenziale tra comma 1 e comma 3, e non risultano di conseguenza più utilizzabili gli argomenti utilizzati in relazione alle versioni previgenti.
6. Al paragrafo 8 della sentenza in esame, le Sezioni unite ritengono opportuno ribadire la natura di reato a consumazione anticipata del delitto in questione, nonostante l’opzione per la natura circostanziale delle condotte indicate nell’art. 12, co. 3, T.U.I. renda probabilmente superfluo tale approfondimento.
La Corte richiama il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il delitto di cui all’art. 12, co. 1, T.U.I. ha natura di reato a consumazione anticipata e si perfeziona nel momento in cui si pone in essere “una qualsivoglia attività diretta a favorire l’ingresso di stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni contenute nel T.U.I.”, indipendentemente dal fatto che detto ingresso materialmente si verifichi.
D’altro canto, pure il comma 3 dell’art. 12 cit. contempla la stessa locuzione indicata nel comma 1, e l’indicazione degli elementi specializzanti di cui alle lettere da a) ad e) non sono evocativi del fatto che sia richiesto l’effettivo ingresso degli stranieri in Italia, posto che si tratta della specificazione di condotte che caratterizzano in termini di maggior gravità anche la mera attività diretta a favorire l’ingresso illegale, come peraltro ribadito dalla citata sentenza della sezione prima n. 4574 del 31.3.2017.
Le Sezioni unite formulano pertanto il seguente principio di diritto: “le fattispecie previste nell’art. 12, co. 3, T.U.I. configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo”.
7. Al paragrafo 11 della sentenza in commento, le Sezioni unite si premurano infine di specificare le conseguenze derivanti dall’interpretazione adottata.
Il riconoscimento della fattispecie in esame come circostanziale comporta l’applicabilità del bilanciamento, in caso di concorso con eventuali circostanze attenuanti, secondo le regole dettate dall’art. 69 c.p., il che consente al giudice un’ampia discrezionalità nella dosimetria sanzionatoria, sempre che ricorra una sola delle ipotesi di cui alle lettere da a) ad e) del comma 3 dell’art. 12 T.U.I., perché, come abbiamo visto, la ricorrenza di almeno due di tali ipotesi comporta l’applicabilità dell’aggravante di cui al comma 3 bis che, ai sensi del comma 3 quater, non è bilanciabile con eventuali attenuanti, fatte salve quelle previste degli artt. 98 e 114 c.p. Quindi, nonostante la lettera del comma 3 quater escluda espressamente la possibilità di effettuare il bilanciamento soltanto per le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter, la considerazione come circostanza aggravante anche delle ipotesi di cui al comma 3 impedisce detto bilanciamento ove ricorrano almeno due delle ipotesi ivi contemplate.
Il divieto di bilanciamento si applica anche ove ricorra l’aggravante ad effetto speciale di cui al comma 3 ter, che, per espressa previsione normativa, si applica tanto ai fatti di cui al comma 1 quanto a quelli di cui al comma 3. La conseguenza concreta è la seguente: se ricorre l’ipotesi del comma 1, il giudice aumenterà da un terzo alla metà la pena ivi prevista e, sulla pena così determinata, effettuerà la diminuzione per le eventuali attenuanti; mentre, ove ricorra l’ipotesi del comma 3, analogamente aumenterà da un terzo alla metà la pena ivi prevista, salvo poi effettuare le diminuzioni di pena per eventuali attenuanti.
Secondo la Corte, il sistema delineato dal legislatore con il comma 3 ter (che, si rammenta, costituisce aggravante ad effetto speciale comportante un aumento della pena detentiva da un terzo alla metà, oltre alla multa di 25.000 € per ogni persona di cui si è favorita l’immigrazione illegale per i casi in cui il reato sia stato compiuto a fini di reclutamento e successivo sfruttamento, oppure al fine di profitto anche indiretto) comporta altresì la non applicabilità della previsione di cui all’art. 63, co. 4, c.p. a mente del quale in caso di ricorrenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, salvo il potere del giudice di aumentarla. Infatti, sia l’aggravante del comma 3 che quella del comma 3 ter sono entrambe aggravanti ad effetto speciale ma, in conseguenza della previsione del comma 3 ter (che è una fattispecie aggravata di altra fattispecie aggravata – quella del comma 3) secondo la Corte si applicano entrambe le aggravanti.
Inoltre, in caso di ricorrenza di tutte le aggravanti dell’art. 12 T.U.I. (3, 3 bis e 3 ter), il giudice dovrà aumentare la pena detentiva prevista dal comma 3 da un terzo alla metà ai sensi del comma 3 ter, con la multa di 25.000€ per ogni persona favorita, dopodiché effettuerà l’aumento ex comma 3 bis e solo a quel punto opererà le diminuzioni di pena conseguenti alle eventuali circostanze attenuanti, stante il divieto di bilanciamento e fatte salve le ipotesi derogatorie di cui agli artt. 98 e 114 c.p.
Per concludere sul punto, pare di poter affermare che – stante il divieto di bilanciamento previsto dal comma 3 quater – la possibilità concreta di addivenire mediante il bilanciamento ex art. 69 ad un trattamento sanzionatorio più aderente al singolo caso oggetto del giudizio, in conseguenza del riconoscimento della natura circostanziale del comma 3 dell’art. 12, T.U.I., debba necessariamente prescindere dalla ricorrenza delle aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter della disposizione in esame.
Infine, mentre se la fattispecie in questione fosse considerata un reato autonomo il reo risponderebbe solo a titolo di dolo (non essendo prevista una fattispecie di favoreggiamento colposa), la qualificazione circostanziale ne consente l’addebito anche a titolo di colpa secondo la previsione dell’art. 59, co. 2, c.p.