ISSN 2039-1676


17 maggio 2011 |

Cass., Sez. un., 31.3.2011 (dep. 11.5.2011), n. 18353, Pres. Lupo, Rel. Cortese, Confl. comp. in proc. Maida

Le misure cautelari non custodiali si estinguono "di diritto" con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna

1. Era da tempo in corso, nella giurisprudenza di legittimità, un contrasto a proposito della sorte che l’ordinamento riserva, nel momento del passaggio in giudicato d’una sentenza di condanna, alle misure cautelari personali di natura non custodiale.
 
Il problema nasce dall’assenza di una disciplina positiva della questione. All’art. 300 del codice di rito è stabilita la cessazione d’ogni misura restrittiva per il caso di pronunce di segno assolutorio. Gli effetti delle sentenze di condanna ad una pena detentiva esigibile (cioè non estinta o condizionalmente sospesa) sono invece regolati riguardo alla sola fattispecie della custodia cautelare (comma 4 della norma citata), la quale prosegue nell’attesa che venga disposta l’esecuzione della pena inflitta, sempreché la stessa non abbia durata inferiore a quella del periodo di carcerazione già subìto, appunto, a titolo di custodia cautelare. L’art. 656 c.p.p.,al comma 10, regola poi l’ipotesi in cui il condannato si trovi, al momento di avvio della fase esecutiva, in condizione di arresti domiciliari, favorendo la prosecuzione del trattamento non carcerario in attesa dell’applicazione di eventuali benefici penitenziari, e stabilendone la «fungibilità» rispetto alla custodia intramuraria.
Si tratta d’una disciplina la cui ratio appare evidente, poiché viene assicurata (anche in chiave di prevenzione del rischio di fuga) la continuità della «detenzione» nel passaggio dalla dimensione cautelare a quella esecutiva, senza alcun sacrificio dei diritti dell’interessato, posto che la custodia «intermedia», al pari di quella preventiva, viene computata a titolo di parziale espiazione della pena.
 
Manca invece, come accennato, una indicazione normativa esplicita per le misure non custodiali. La loro ipotizzata prosecuzione, per altro, non può essere sorretta da una ratio analoga a quella appena descritta, perché la relativa restrizione di libertà, per quanto penetrante (ad esempio, un obbligo di dimora), non è spendibile quale «presofferto» nel computo della pena detentiva da eseguire. D’altra parte, una volta chiuso il processo, la restrizione perde la sua tipica ed essenziale funzione di «cautela» nell’attesa della sentenza irrevocabile.
 
2. Alla luce degli elementi differenziali di cui appena si è detto, una porzione minoritaria della giurisprudenza ha negato, lungo il corso degli anni, che la esecuzione di misure cautelari non detentive possa proseguire dopo il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva esigibile. Le Sezioni unite, nella decisione in commento, compiono un’accurata ricognizione dell’orientamento. In questa sintesi conviene solo citare uno dei provvedimenti più recenti, secondo cui è «la stessa funzione dispiegata nel nostro sistema processuale dalla misura cautelare (funzione strumentale al processo di cognizione) a dover far ritenere che la medesima non possa essere dispiegata oltre il giudizio di merito. Il passaggio in giudicato della sentenza determina infatti l’inizio della esecuzione penale a prescindere dall’assunzione da parte dei soggetti preposti alla sua gestione di atti formali. Le esigenze cautelari non sono pertanto più valutabili perché esse non esistono più essendo radicalmente mutate le prospettive e la ragione della contenzione del soggetto» (Cass., Sez. I, 20 ottobre 2010, n. 41007, Riggio, in C.E.D. Cass., n. 248937)».
 
L’orientamento maggioritario, come accennato, ha invece sostenuto la tesi d’una prosecuzione del trattamento restrittivo, per lo più in termini di «cautela» utile ad assicurare la effettiva esecuzione della pena.
Ad esempio, è stata valorizzata la «ideale necessità che il fisiologico iato temporale che può di fatto intercorrere tra passaggio in giudicato e doverosa immediata attivazione del pubblico ministero in funzione di organo dell'esecuzione, non produca - per quanto breve - soluzioni di continuità in relazione a quelle esigenze di controllo del condannato che la vigenza della misura coercitiva fa presumere ancora esistenti all’atto della condanna» (Cass., Sez. I, 15 luglio 2009, n. 31094,  Estfeller, ivi, n. 244324).
Sul piano delle norme positive, è stata in genere valorizzata proprio l’assenza di una fattispecie estintiva che, invece, il legislatore ha configurato in una determinata serie di situazioni (generalmente fondate sull’assenza di una pena esigibile).  
 
3. Le Sezioni unite hanno stabilito che, con il passaggio in giudicato della sentenza, si produce automatica estinzione delle misure cautelari non custodiali.
 
La prospettiva di approccio dell’orientamento prevalente è stata opportunamente ribaltata, con piena valorizzazione del principio costituzionale in forza del quale non è ammessa «restrizione della libertà personale, se non [...] nei soli casi e modi previsti dalla legge» (secondo comma dell’art. 13 Cost.). L’assenza di esplicite indicazioni normative sulla cessazione di efficacia delle misure non custodiali non implica che le stesse debbano proseguire, ma semmai il contrario. Restrizioni della libertà consentite in fase cognitiva non possono proseguire, senza espressa previsione della legge, una volta che la fase cognitiva abbia termine.
Questo il concetto essenziale, anche se presenta rilevante interesse la puntuale disamina compiuta dalle Sezioni unite circa i «segni» normativi della «funzione strumentale rispetto al processo di cognizione» di ogni restrizione cautelare della libertà, primo fra tutti previsione di limiti di durata fondati sulle sole cadenze, appunto, del procedimento di cognizione. Limiti di durata i quali, per quanto imposti dalla Costituzione (quinto comma dell’art. 13), non sarebbero per inciso previsti durante la fase di avvio dell’esecuzione, che non ha cadenze predeterminate e può protrarsi anche per un tempo rilevante.
 
La Corte osserva anche che l’unica funzione cautelare prospettabile per misure non custodiali, a processo concluso, sarebbe quella della prevenzione d’un rischio di fuga, che però non è l’esigenza tipicamente assicurata con misure di quel genere (il rischio di recidiva non assume rilievo ai fini del provvedimento esecutivo, «dovendo al riguardo il pubblico ministero limitarsi ad accertare l’entità della pena da espiare e se vi siano titoli di reato o condizioni soggettive … che ostano alla sospensione»).
 
Sul piano della più stretta inerenza al dato normativo, le Sezioni unite escludono che l’art. 300 c.p.p. abbia una funzione generale di regolazione della sorte delle misure cautelari in fase esecutiva, poiché anzi si occupa dell’effetto tipicamente estintivo di alcune pronunce a prescindere dalla relativa esecutività. La funzione indicata, semmai, fa capo all’art. 656 cod. proc. pen., che però si occupa, come già prima si è ricordato, delle sole misure custodiali.
 
La realtà è che tali ultime misure presentano in via esclusiva due caratteristiche strettamente correlate, da un punto di vista funzionale, all’esecuzione della pena, e cioè per un verso la concreta idoneità a contenere il rischio di fuga, e per l’altro la computabilità del periodo di applicazione quale periodo di esecuzione della sanzione inflitta. Sono queste caratteristiche a giustificare la eccezione, non a caso sancita a livello positivo,   ad un generale principio di cessazione della cautela, che discende «dal sistema e dal principio costituzionale di tassatività», e risponde «in definitiva all’elementare necessità di preservare la libertà personale da compressioni ultronee e sproporzionate».
 
4. Resta da ribadire che, secondo la Corte, la sopravvenuta irrevocabilità della sentenza determina un effetto estintivo automatico («opera di diritto»), che non necessita di accertamento e dichiarazione giudiziale, la quale ultima, quando interviene, assume un mero valore ricognitivo.
Per altro, ad evitare incidenti con le forze di polizia o prolungamenti «inconsapevoli» del regime restrittivo, la Corte suggerisce che il pubblico ministero, quale organo dell’esecuzione, comunichi formalmente agli interessati l’intervenuto effetto di estinzione delle misure in corso.
Ove comunque insorgano questioni in ordine alla misura coercitiva non custodiale nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto avvio della fase di esecuzione della pena, la competenza a deciderle spetterà al giudice dell’esecuzione.