30 gennaio 2019 |
La criminalizzazione delle condotte di assistenza ai migranti richiedenti asilo viola il diritto dell’Unione: la Commissione europea porta avanti la procedura d’infrazione contro l’Ungheria
Segnaliamo ai nostri lettori che, come risulta dal comunicato stampa che può leggersi in allegato, la Commissione europea ha deciso di proseguire sulla strada della procedura d’infrazione ex artt. 258-260 TFUE nei confronti dell’Ungheria. Il motivo di tale scelta va rintracciato nell’adozione da parte del Parlamento ungherese – lo scorso giugno – delle c.d. leggi “anti-Soros”, le quali hanno l’effetto di sancire la rilevanza penale di tutte le condotte di assistenza prestata da soggetti appartenenti a organizzazioni nazionali, internazionali e non governative in favore dei migranti che desiderino presentare richiesta di asilo o di permesso di soggiorno in Ungheria.
La procedura era state avviata il 19 luglio 2018, allorché la Commissione, ritenuto che la nuova legislazione ungherese fosse in contrasto con il diritto dell’Unione, ha provveduto a inviare all’Ungheria una formale “lettera di messa in mora” ai sensi dell’art. 258 TFUE, attribuendole due mesi di tempo per replicare ai rilievi espressi. Ora, decorso tale termine e considerata insoddisfacente la risposta dello Stato ungherese, la Commissione ha deciso di proseguire con il passaggio successivo della procedura d’infrazione inviando all’Ungheria un parere motivato, al quale essa sarà tenuta ad adeguarsi entro ulteriori due mesi di tempo, ponendo rimedio alle violazioni riscontrate. In caso contrario, la successiva azione della Commissione europea sarà presentare ricorso per inadempimento contro l’Ungheria alla Corte di Giustizia dell’Unione.
Nel dettaglio, la Commissione europea ha ritenuto che la legislazione ungherese che incrimina le condotte degli appartenenti a organizzazioni che coadiuvino i migranti leda il diritto dei migranti di comunicare e ricevere assistenza durante la procedura di richiesta di asilo (anche) da parte di organizzazioni nazionali, internazionali o non governative e pertanto violi la direttiva 2013/32/UE (recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) e la direttiva 2013/33/UE (recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale). La medesima normativa, inoltre, prevedendo il divieto per i soggetti che siano sottoposti a procedimento penale a questo titolo di avvicinarsi alla zona di transito sita sul confine ungherese (comminando sanzioni che si spingono fino a un anno di reclusione e all’espulsione), comporta altresì un’indebita limitazione dell’esercizio della libertà di circolazione da parte dei cittadini dell’Unione, in violazione degli artt. 20 e 21 TFUE, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della direttiva sulla libertà di circolazione 2004/38/CE.
La Commissione ha poi rilevato che la nuova legislazione ungherese – la quale ha persino apportato un emendamento costituzionale − limita il diritto degli stranieri di presentare richiesta di asilo in Ungheria in maniera incompatibile con la direttiva 2011/95/UE (recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale). Tale procedura d’infrazione si affianca peraltro a quella, riguardante l’inadempimento dello Stato ungherese agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione in tema di asilo e rimpatri, per la quale la Commissione europea, il medesimo 19 luglio 2018, ha già adito la Corte di Giustizia dell’Unione.