18 giugno 2019 |
Monitoraggio corte edu maggio 2019 | nuova edizione
Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale sostanziale e processuale
A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia
A partire dal mese di aprile 2019, il monitoraggio Cedu presenta una veste rinnovata. Si passa infatti dalla precedente forma discorsiva ad una più schematica presentazione delle singole sentenze, pur mantenendo la suddivisione "per articolo" della Convenzione; ciò nell'ottica di ottenere una rassegna che consenta una rapida consultazione, facilmente indirizzabile verso le tematiche di interesse di ciascun lettore. Allo stesso scopo, la sintesi di ciascuna sentenza verrà corredata da un breve "treno" di voci che indicano la materia rilevante ed inquadrano il caso nelle note categorie giuridiche sviluppate dal diritto di Strasburgo; il tutto seguito dall'indicazione"violazione" o "non violazione" per dare immediata contezza della posizione espressa dalla Corte. Ancora, all'interno della sintesi di ogni pronuncia verranno indicati i numeri dei paragrafi (§) che racchiudono i principi di diritto di volta in volta illustrati. Infine, si presterà particolare attenzione alla selezione delle sole pronunce che, nel panorama della copiosa giurisprudenza Cedu in materia penale e processuale-penale, presentano profili di novità o comunque di maggiore interesse per i nostri lettori.
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Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Giulia Mentasti (artt. 2 e 3 Cedu) e Violette Sirello (artt. 5, 6 e 8 Cedu).
ART. 2 CEDU
C. eur. Dir. uomo, 23 maggio 2019, Chebab c. Francia
Utilizzo della forza potenzialmente letale da parte delle forze dell’ordine – lacune e irregolarità nelle successive indagini sull’accaduto – violazione (profilo procedurale)
Nel corso del suo arresto nel marzo del 2000, il ricorrente viene ferito al collo e alla spalla da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia. Il procedimento dinnanzi alla Dipartimento di Polizia Regionale si conclude con il riconoscimento dell’esercizio della legittima difesa da parte dell’agente, il quale avrebbe reagito sparando dopo essere stato minacciato dal ricorrente con un coltello. Nel 2002 il ricorrente sporge denuncia e si costituisce parte civile in un procedimento per tentato omicidio e alterazione delle prove a carico dell’agente di polizia ma dopo lente e sterili indagini, nel 2010, il giudice istruttore emette un’ordinanza di non luogo a procedere ritenendo che gli elementi raccolti non siano sufficienti a smentire la tesi della legittima difesa. Invocata dal ricorrente, la Corte europea non riscontra una violazione dell’art. 2 Cedu nel suo aspetto sostanziale, ritenendo – pur alla luce dei pochi fatti accertati – ragionevole la condotta dell’agente. Ravvisa, al contrario, una violazione dell’aspetto procedurale del medesimo articolo, derivante dal dovere dello Stato di condurre efficaci indagini non solo quando vi è un omicidio, ma anche quando la vita di una persona viene messa in pericolo (§ 88). Nel caso di specie, il procedimento penale è stato avviato unicamente su iniziativa del ricorrente e numerose e gravi sono state le irregolarità nelle indagini (smarrimento di referti medici, di beni sotto sequestro ed elementi di prova) che non hanno consentito di chiarire l’esatto svolgimento dei fatti (§§ 99-101). (Giulia Mentasti)
ART. 3 CEDU
C. eur. Dir. uomo, 28 maggio 2019, Clasens c. Belgio
Condizioni di detenzione – sciopero degli agenti di polizia penitenziaria – violazione
Il ricorrente, un cittadino belga detenuto presso la prigione di Ittre, lamenta di fronte alla Corte EDU la sospensione delle ordinarie condizioni di detenzione a causa di uno sciopero degli agenti della polizia penitenziaria iniziato nell’aprile 2016 e terminato nel giugno dello stesso anno. La Corte ricorda che nella valutazione delle condizioni di detenzione si deve tener conto non solo della disponibilità di spazi personali sufficienti ma anche di altri aspetti quali, ad esempio, l’accesso all’aria aperta e alla luce naturale, la disponibilità di servizi igienici e il rispetto delle esigenze sanitarie (§§ 33-34). Sulla base anche del giudizio di osservatori esterni che hanno visitato la prigione durante i mesi di sciopero – riscontrando la mancanza di accesso ad attività esterne alla cella, il contenimento del tempo di ricreazione a un’ora ogni tre giorni, la limitazione dell’accesso alle docce (una ogni due o tre settimane), la privazione di contatti con il mondo esterno (ivi inclusi i colloqui con i familiari e le telefonate) – la Corte ha ritenuto che lo sciopero – la cui durata era peraltro ignota ai detenuti – avesse causato al ricorrente uno stato di sofferenza eccedente quella inevitabilmente associata allo stato di detenzione (§§ 38-39), così integrando una violazione dell’art. 3 Cedu. La Corte ha altresì ravvisato la violazione dell’art. 13 Cedu, in relazione all’art. 3 Cedu, in quanto il ricorrente non disponeva di alcun mezzo efficace per ottenere l’esecuzione del provvedimento giudiziario che aveva ordinato all’amministrazione penitenziaria di garantire un servizio minimo idoneo a soddisfare i più elementari bisogni delle persone detenute. A tale proposito, la Corte ha evidenziato la natura strutturale del problema, riconducibile all’assenza di un’adeguata organizzazione delle attività degli agenti in caso di sciopero, in grado di garantire la continuità dei servizi minimi (§ 45). (Giulia Mentasti)
C. eur. Dir. uomo, 23 maggio 2019, Kancial c. Polonia
Utilizzo della forza – operazioni forze dell’ordine – taser – violazione (sostanziale e procedurale)
Nel giugno del 2011 il ricorrente, cittadino polacco, viene arrestato nel corso delle indagini relative a un sequestro di persona e viene rilasciato due giorni dopo poiché riconosciuto completamente estraneo agli eventi. Tornato in libertà, il ricorrente lamenta di aver subito violenze sia durante la custodia in carcere sia al momento dell’arresto quando, in particolare, una squadra di agenti armati e a viso coperto ha fatto irruzione nel suo appartamento colpendolo alla testa, al collo e alla schiena e facendo altresì uso sulla schiena e sui genitali di un dissuasore paralizzatore elettrico (taser). Benché i gradi interni di giudizio non abbiano riconosciuto la responsabilità penale degli agenti per insufficienza di prove a loro carico, le lesioni riscontrate – attraverso referti medici successivi all’arresto – e l’assenza di prove idonee a dimostrare, parimenti, la necessità dell’uso della forza nei confronti del ricorrente, hanno condotto la Corte a ritenere illegittima la condotta della polizia, tenuta pertanto in violazione dell’art. 3 Cedu (§ 80). Sussiste, altresì, una violazione dell’aspetto procedurale del medesimo articolo dovuta all’insufficienza delle indagini (§ 94) portate avanti governo polacco, incapaci di dare risposta a numerose questioni in merito ai fatti occorsi (l’esatto svolgimento degli stessi, la proporzionalità della condotta degli agenti) e circa la legittimità dell’utilizzo di armi elettriche. (Giulia Mentasti)
ART. 5
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent 7 maggio 2019, Mityanin e Leonov c. Russia
Diritto alla libertà e alla sicurezza – legalità della custodia cautelare – mancanza di provvedimenti di proroga della detenzione – durata irragionevole della custodia cautelare – mancato esame degli appelli cautelari – mancato indennizzo per ingiusta detenzione – violazione
I due ricorrenti, sottoposti a una prolungata custodia cautelare durante le indagini e il processo (§ 6 ss.), lamentano di fronte alla Corte europea plurime violazioni dell’art. 5 commi 1, 3, 4 e 5 Cedu: le autorità nazionali avevano protratto la detenzione in mancanza di base legale (determinando conseguentemente un’irragionevole durata della custodia cautelare), non avevano esaminato due appelli cautelari proposti ai ricorrenti e, infine, non aveva riconosciuto ai medesimi la riparazione per l’ingiusta detenzione subita (§ 56 ss.). Per la Corte europea tutte le doglianze sono fondate. In primo luogo, la detenzione era stata mantenuta pur dopo la perdita di efficacia del titolo cautelare in assenza di un provvedimento di proroga. Il difetto di base legale della detenzione provvisoria determina, così, la violazione dell’art. 5 comma 1 Cedu (§ 77 ss.). In secondo luogo, le autorità nazionali avevamo mostrato una mancanza di diligenza, compiendo errori procedurali che avevano reso impossibile la tempestiva instaurazione del dibattimento, con conseguente prolungamento della detenzione, senza esaminare le doglianze sollevate dai ricorrenti di fronte al giudice dell’appello cautelare, volte alla revoca della misura custodiale. Da qui, la violazione dell’art. 5 commi 3 e 4 Cedu (§ 81-82). Infine, il mancato riconoscimento dell’indennizzo in favore dei ricorrenti in relazione a due periodi di detenzione illegale genera la violazione dell’art. 5 comma 5 Cedu (§ 88). (Violette Sirello)
ART. 6
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 23 magio 2019, Doyle c. Irlanda
Equità processuale – diritto alla difesa tecnica – interrogatorio di polizia del detenuto in stato di custodia cautelare - mancanza del difensore durante l’atto – confessione dell’indagato – condanna all’ergastolo basata anche sulla confessione – restrizione irragionevole del diritto alla difesa tecnica – applicazione dell’Ibrahim-test – giudizio di equità processuale complessiva – non violazione
Il ricorrente è condannato all’ergastolo per omicidio, all’esito di un dibattimento con giuria, anche sulla base della confessione resa durante il quindicesimo interrogatorio di polizia, condotto, mentre egli era in custodia cautelare, senza il difensore, dopo una lunga serie di interrogatori (della durata variabile da pochi minuti a diverse ore) nell’arco della stessa giornata o di giorni consecutivi, alcuni dei quali in presenza del difensore, ove non aveva mai confessato. Dopo la confessione, l’arrestato è stato sottoposto ad altri, numerosi interrogatori di polizia, anche di molte ore, rifiutandosi sempre di rispondere alle domande. Nel processo l’imputato si è dichiarato “innocente” ma è poi stato condannato sulla base della confessione e del complessivo quadro probatorio (§ 5 ss.). Da qui, la doglianza del ricorrente che lamenta di fronte alla Corte europea la violazione dell’art. 6 comma 3 lett. c Cedu (§ 62 ss.).
Per la Corte europea (§ 67 ss.), la mancanza del difensore durante l’interrogatorio di polizia “decisivo” in rapporto alla confessione implica una restrizione irragionevole della difesa tecnica, considerato che l’imputato era privato della libertà personale. Occorre, dunque, applicare l’Ibrahim-test al fine di verificare il rispetto dell’equità processuale complessiva (§ 79 ss.). Secondo le Corte europea, l’equità processuale complessiva non è stata violata per una serie di ragioni: a) il ricorrente è stato avvisato del diritto all’assistenza tecnica sin dal momento del suo arresto e ha potuto costantemente confrontarsi con il difensore durante le indagini; b) è vero che il ricorrente ha confessato nel corso dell’interrogatorio di polizia senza il difensore (che, peraltro, avrebbe potuto partecipare all’atto) ma la confessione è stata resa volontariamente e consapevolmente (tra l’altro, egli era stato informato del diritto al silenzio) ed è “supportata” da altre prove di colpevolezza; c) l’interrogatorio di polizia è stato documentato con videoregistrazione (anche per prevenire condotte arbitrarie o rischi di tortura da parte della polizia) e in dibattimento vi è stato un approfondito esame della videoregistrazione, con dettagliate istruzioni ai giurati da parte del giudice circa lo scrutinio della volontarietà della confessione e della mancanza del difensore tecnico come fattore importante per l’equità processuale complessiva; d) in appello, dopo la condanna, l’imputato ha potuto contestare in appello le istruzioni impartite alla giuria in primo grado; e) vi era un rilevante interesse pubblico alla repressione del delitto di omicidio volontario, tanto più in presenza di un errore sulla vittima, scambiata per un’altra persona in un contesto di lotta fra bande criminali. Da qui, la Corte europea accerta la non violazione del canone convenzionale invocato (§ 100-103). (Violette Sirello)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 28 maggio 2019, Liblik e altri c. Estonia
Equità processuale – durata ragionevole del procedimento penale – complessità della vicenda – diligenza delle autorità procedenti – non violazione
I ricorrenti, soggetti in posizione di grande rilievo nazionale a livello politico ed economico, sono condannati per gravi fatti di corruzione all’esto di procedimenti penali durati, a seconda dell’imputato, da sei anni sino a più di nove anni, per lo svolgimento di indagini e di tre gradi di giudizio. Il dies a quo coincide, a seconda dell’imputato, dalla prima perquisizione, dalla scoperta della sottoposizione a sorveglianza elettronica, dall’espletamento dell’interrogatorio (§ 8 ss.). Da qui, la doglianza di tutti i ricorrenti relativa alla violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu sotto il profilo della durata ragionevole del procedimento penale (§ 74 ss.). Per la Corte europea, le doglianze sono infondate (§ 90 ss.). I vari procedimenti, fra loro connessi, riguardano gravi fatti di corruzione e sono molto complessi in ragione della pluralità delle accuse e degli accusati (essendo coinvolte nelle indagini anche persone giuridiche), della conseguente difficoltà nella raccolta delle prove e, infine, dell’elevato numero dei testimoni da esaminare. Inoltre, le autorità nazionali ha agito con diligenza, senza tempi morti. Così, la comunque significativa lunghezza dei procedimenti non appare per la Corte europea irragionevole. Da qui, la non violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu (§ 104). (Violette Sirello)
Art. 8
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent 7 maggio 2019, Mityanin e Leonov c. Russia
Diritto alla privatezza – pubblicazione di articolo giornalistico sulla vicenda giudiziaria – correttezza e continenza dell’informazione – non violazione
Dopo l’esercizio dell’azione penale per delitti commessi con l’uso della violenza nei confronti delle persone, vengono pubblicate su un quotidiano le foto dell’imputato, affiancate da un articolo che dà conto della vicenda giudiziaria che lo riguarda (§ 23 ss.). Dinanzi alla Corte europea il ricorrente lamenta la violazione degli art. 6 comma 2 e art. 8 Cedu. La Corte europea, considerata ricevibile la sola doglianza relativa all’art. 8 Cedu, la considera peraltro non è fondata (§ 108 ss.). La pubblicazione della foto dell’imputato avviene nel rispetto della legge nazionale e l’articolo giornalistico rispetta la continenza e il rigore nell’informazione, perché dal suo contenuto si desume che il ricorrente fosse un mero imputato di attività criminose, senza anticipazione di giudizi di colpevolezza. Ne deriva che l’interferenza nel rispetto della vita privata non è sproporzionata, con conseguente non violazione del canone convenzionale. (Violette Sirello)
C. eur. dir. uomo, sez. ex III, sent. 28 maggio 2019, Chaldayev c. Russia
Diritto alla privatezza – diritto alla visita di detenuti da parte dei familiari – esigenza di legalità e proporzionalità nell’interferenza - limitazioni irragionevoli e non giustificate - violazione
Divieto di discriminazione – illegittima applicazione delle condizioni detentive valide per il condannato definitivo all’imputato in custodia cautelare - violazione
Il ricorrente, in stato di custodia cautelare in carcere, subisce una generalizzata restrizione dell’orario e delle modalità di visita dei suoi familiari, con un trattamento penitenziario che lo equipara a quello di un condannato definitivo (§ 5 ss.). Da qui, la duplice doglianza di fronte alla Corte europea relativa alla violazione del diritto alla privatezza ex art. 8 Cedu (§ 39 ss.) e, anche in relazione a quest’ultimo canone pattizio, del divieto di non discriminazione ex art. 14 Cedu (§ 66 ss.). Per la Corte europea, le doglianze sono entrambe fondate. Quanto all’art. 8 Cedu (§ 59 ss.), le generalizzate restrizioni all’orario e alle modalità di visita dei familiari (ad esempio, solo attraverso un vetro) e le costanti intercettazioni degli incontri fra il ricorrente e i familiari sono avvenute senza che l’autorità nazionale abbia mai dimostrato la sussistenza di esigenze di sicurezza tali da giustificare un simile regime penitenziario. In breve, il trattamento cautelare non è stato “individualizzato”, con conseguente violazione dell’art. 8 Cedu. Quanto all’art. 14 Cedu (§ 69 ss.), il detenuto è in custodia cautelare e non in regime di espiazione della pena, con la conseguenza che il regime penitenziario a lui applicato avrebbe dovuto essere diverso rispetto a quello proprio dei condannati in via definitiva. Le restrizioni al diritto alla privatezza imposte al ricorrente come se egli fosse un condannato definitivo violano il divieto di discriminazione e non sono giustificate, anche alla luce delle regole penitenziarie europee. Da qui, l’accertamento della violazione dell’art. 14 Cedu in rapporto all’art. 8 Cedu. (Violette Sirello)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 28 maggio 2019, Liblik e altri c Estonia
Diritto alla privatezza – intercettazioni e strumenti di sorveglianza elettronica – mancanza di provvedimenti giustificativi per autorizzare ab origine le captazioni – motivazione a posteriori – rischio di arbitri - violazione
Nell’ambito di una complessa indagine per gravi fatti di corruzione, le autorità nazionali approntano vari strumenti di sorveglianza elettronica da remoto nei confronti dei ricorrenti (fra cui, captatori ambientali), le cui risultanze sono poi impiegate nel processo ai fini della condanna (§ 8 ss.). Dinanzi alla Corte europea i ricorrenti lamentano che l’impiego di tali strumenti investigativi viola l’art. 8 Cedu attesa la sproporzione dell’interferenza nel diritto fondamentale (§ 115 ss.). Per la Corte europea, la doglianza è fondata (§ 125 ss.). Gli strumenti di sorveglianza elettronica impiegati hanno base nella legge nazionale e soddisfano lo scopo legittimo della repressione di gravi reati. Tuttavia, i provvedimenti del pubblico ministero e del giudice istruttore che hanno disposto la sorveglianza elettronica non sono adeguatamente motivati al momento dell’autorizzazione delle operazioni: la giustificazione dell’impiego legittimo di tali strumenti è stata data solo a posteriori dalla Corte Suprema, con una motivazione “ora per allora”. La motivazione a posteriori non assicura il preventivo controllo sulla proporzionalità e sulla legittimità del mezzo insidioso di sorveglianza elettronica e non pone al riparo dal rischio di abusi. Da qui, l’accertamento della violazione dell’art. 8 Cedu (§ 142-143). (Violette Sirello)