ISSN 2039-1676


20 luglio 2011 |

Le Sezioni unite impongono rigore per la lettura in dibattimento di dichiarazioni rese da persone residenti all'estero

Cass., Sez. un., 25.11.2010 (dep. 14.7.2011), n. 27918, Pres. Fazzioli, Rel. Franco, ric. De F. (l'assoluta impossibilità  dell'esame dibattimentale, richiesta per l'utilizzazione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dalla persona informata sui fatti residente all'estero, consiste nella totale e definitiva impossibilità  di ottenere la presenza del dichiarante)

1. La pronuncia in esame, in materia di condizioni e limiti all’utilizzo in giudizio di dichiarazioni rese in indagini da persone residenti all’estero giunge attesa e auspicabile. La materia, già oggetto di contrasti giurisprudenziali prima della modifica apportata all’art. 512-bis c.p.p. dall’art. 43 della legge n. 479 del 1999, ha continuato ad essere percorsa da dubbi interpretativi in ordine ai presupposti necessari per la lettura di verbali preliminari, qualora questi non siano “rimpiazzati” dall’escussione dibattimentale della relativa fonte di prova, persona residente all’estero non più sentita in dibattimento.
 
Il vecchio testo dell’art. 512-bis c.p.p. (frutto della legislazione emergenziale del 1992) appariva certamente incompatibile con il rinnovato quadro costituzionale: difatti, una sorta di irripetibilità «di comodo» legittimava il recupero del verbale investigativo quando il teste straniero non fosse stato citato oppure qualora, una volta citato, non fosse comparso, confondendo in sostanza le ragioni oggettive e non di sopravvenuta impossibilità di assunzione della fonte.
 
Contestualmente all’opera di aggiornamento costituzionale culminata nella modifica dell’art. 111, il legislatore, consapevole delle crepe presenti nel sistema, ha innovato l’art. 512-bis c.p.p.: tuttavia, ad oggi perdurano incertezze sull’effettività dei tentativi di citazione del testimone e sulla natura reale dell’impossibilità assoluta di sentirlo in giudizio.
 
2. La decisione delle Sezioni Unite appare molto sensibile al contesto giuridico di un processo penale calato nel sistema delle garanzie costituzionali. In effetti, la norma probatoria risulta legittima solo se conforme alla regola del contraddittorio o se “coperta” da una delle eccezioni scolpite nel comma 5 dell’art. 111 Cost. Le letture dibattimentali – di per sé espressione di una deroga all’oralità – si collocano al confine dell’area consentita dalla Costituzione: trovano legittimazione in esigenze eccezionali, che il sistema protegge a precise condizioni.
 
La prima richiede che il testimone residente all’estero sia stato citato ma, ciò nonostante, non sia comparso. Il primo dubbio investe allora la natura della ricerca demandata al giudice affinché possa dirsi che il teste citato non sia comparso per accertata impossibilità di natura oggettiva. Ad un indirizzo massimalista, propenso a fermarsi di fronte alla difficoltà di ottenere la presenza del teste in tempi ragionevoli, sapendo che l’ordinamento non mette a disposizione strumenti coattivi per obbligarlo a tornare in Italia al fine di deporre, risponde – e con esso le odierne Sezioni Unite – una giurisprudenza più rigorosa, decisa a superare le difficoltà burocratiche presenti nella ricerca di persone residenti all’estero, per tentarne una effettiva e valida citazione. Del resto – prosegue la sentenza in esame – oltre allo strumento predisposto dall’art. 727 c.p.p., esiste la possibilità della rogatoria concelebrata, la cui impraticabilità andrebbe motivata nella sentenza che decidesse di condannare senza aver tentato di garantire all’imputato un confronto con il suo accusatore.
 
3. In secondo luogo, perché la lettura sia legittima e le deposizioni utilizzabili, occorre che sia assolutamente impossibile l’esame dibattimentale: il che significa che non sono sufficienti mere difficoltà logistiche per ritenere soddisfatta la condizione voluta dalla legge, ma occorre che l’impossibilità dell’esame sia accertata e di natura oggettiva, come richiesto dall’art. 111 comma 5 Cost. Ancora una volta, l’ordinamento sembra suggerire la via della rogatoria mista, ma almeno non ci si fermi al mero dato dell’assenza del teste, riscontrata a fronte della correttezza formale della citazione.
 
4. A margine (ma non troppo) di questo primo tema, la S.C. si attarda sulle ragioni della mancata notifica: infatti, le difficoltà di raggiungere una persona all’estero rendono arduo comprendere se il destinatario abbia deciso di non ricevere la notifica. La deposizione di chi si sia volontariamente e liberamente sottratto al confronto con l’accusato non può divenire strumento per decretarne la colpevolezza (art. 111 comma 4, seconda parte, Cost. e art. 526 comma 1-bis c.p.p.), saldandosi con il diritto costituzionale di interrogare o far interrogare chi rende dichiarazioni a carico dell’imputato. Di conseguenza, solo una ricerca effettiva e che abbia sfruttato ogni mezzo a disposizione del giudice permette di escludere la ventilata possibilità, assolvendo alla prima condizione di utilizzabilità di dichiarazioni non riscontrate.
 
Da ultimo, il problema della volontarietà della sottrazione al confronto si riflette sul momento di valutazione della prova, ex art. 526 comma 1-bis c.p.p.: la regola, omologa al principio costituzionale, sembra anche tradurre la lettura che la Corte di Strasburgo da tempo offre dell’art. 6 par. 3 lett. d) della Convenzione, secondo cui non è fair quel processo che permetta al giudice di condannare considerando determinante un elemento sul quale l’accusato non abbia avuto un’occasione sufficiente per confrontarsi con l’accusatore.