ISSN 2039-1676


03 ottobre 2016 |

Rivista italiana di diritto e procedura penale n. 2/2016

Abstract dei contributi

Con l'autorizzazione dell'editore Giuffrè anticipiamo di seguito gli abstract dei lavori pubblicati nell'ultimo numero della Rivista italiana di diritto e procedura penale (n. 2/2016). Si segnala nel numero in uscita la pubblicazione, in una rubrica speciale, degli atti del IV convegno nazionale dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (Genova, novembre 2015) dedicato a "La criminalizzione del dissenso: legittimazione e limiti".

 

DOTTRINA

Articoli

Pisani M., La pena dell'ergastolo, p. 575 s.

Questo studio delinea la storia italiana della pena detentiva a suo tempo prevista come perpetua, a decorrere dal Codice penale del 1930 fino ai giorni nostri. L'evoluzione della complessa disciplina di tale pena si sviluppa tendenzialmente lungo due direttrici: quella della progressiva attenuazione sul piano esecutivo, e quella dell'armonizzazione con i principi costituzionali. Seguono l'analisi della difficile ricerca di nuovi assetti normativi e la prospettazione dei nuovi obiettivi (sintetizzabili con l'espressione "ergastolo riducibile") secondo una linea europea.

 

Amodio E., L'abuso delle forme degli atti processuali penali, p. 630 s.

L'abuso del processo opera come valvola di autotutela del sistema consentendo di reprimere le condotte delle parti che ostacolano l'esercizio della giurisdizione. La sua natura extralegislativa assicura la duttilità della risposta sanzionatoria di fronte a specifiche situazioni extra ordinem, allo stesso modo dei vizi di abnormità e inesistenza. La ricca casistica emersa dalla giurisprudenza mette in luce la vitalità di un rimedio che sul piano etico reagisce a un vizio causato da una parte che «si prende gioco» dell'ordinamento utilizzando per i suoi personali obiettivi ostruzionistici le forme degli atti che vengono così privati del loro istituzionale apparato estetico.

 

Pulitanò D., Sulla pena. Fra teoria, principi e politica, p. 641 s.

Presupposta la necessità di un diritto criminale/penale, elemento del monopolio statuale della forza, nei principi costituzionali sulla pena sono elementi di novità l'attenzione alle condizioni materiali del punire, e l'idea rieducativa, che apre la prospettiva della pena come percorso flessibile. La moralità del diritto penale è la moralità del principio responsabilità: l'aspetto precettivo, la funzione di guida dei comportamenti. La correttezza giuridica e la sostenibilità etico-politica del giudizio di responsabilità sono condizioni necessarie, ma non condizioni sufficienti della giustizia delle conseguenze penali. La giustizia del giudizio (e prima ancora, dei precetti) esige requisiti stringenti di razionalità e di sostenibilità etico-politica. La giustizia delle risposte al reato (nella legge e nel law enforcement) deve comunque confrontarsi con la specifica problematicità del punire, anche là dove non sia in discussione la giustizia del giudizio sul commesso reato.

 

De Vero G., Il nesso causale e il diritto penale del rischio, p. 670 s.

La parabola dei rapporti tra causalità e (diritto penale del) rischio si sviluppa lungo tre intervalli. In origine la categoria del rischio assolve, per il tramite delle teorie dell'imputazione oggettiva dell'evento, una funzione servente rispetto al nesso eziologico, rivolta verso una restrizione degli esiti cui condurrebbe di per sé il paradigma condizionalistico. Successivamente il rischio riveste una funzione autonoma e destabilizzante del nesso causale, talora esplicita, come avviene nel campo del reato commissivo mediante omissione, talaltra comunque distorsiva ad onta della conclamata 'fedeltà' al dogma causale, come è dato riscontrare in particolare nella teoria della condizione I.N.U.S. e nello stesso paradigma della "evidenza epidemiologica", cui non giova l'approfondimento della riconducibilità alla condotta criminosa degli eventi lesivi a carico di singoli individui nei termini dell''accertamento alternativo'. Più coerente, in via di principio, è la proposta del diritto penale del rischio in senso stretto, come esplicita rinuncia alla categoria della causalità con espunzione dell'evento dalla struttura della fattispecie; ma gli esiti di tale approccio appaiono deludenti a fronte dell'evidenza empirico-criminosa dei 'rischi della modernità'. È tuttavia possibile evitare il congedo del diritto penale dell'evento: ciò tanto in rapporto all'illecito del soggetto individuale, quanto e soprattutto sul piano della valorizzazione di una responsabilità degli enti collettivi 'autonoma', che prescinda dal necessario presupposto di un reato accertabile in capo alla persona fisica.

 

Donini M., Critica dell'antigiuridicità e collaudo processuale delle categorie. I bilanciamenti d'interessi dentro e oltre la giustificazione del reato, p. 698 s.

Il lavoro contiene una critica radicale della categoria dell'antigiuridicità come elemento autonomo del reato e nella sua dimensione processuale. L'antigiuridicità, come la punibilità e la stessa colpevolezza, non è oggetto di prova, perché lo sono solo le cause che la escludono: le scriminanti (come le cause di non punibilità e le scusanti). Ciò che conta sono le scriminanti, che riempiono integralmente il capitolo dell'antigiuridicità. L'antigiuridicità oggettiva è espressione di una concezione di teoria generale del diritto pre-costituzionale, che non valorizza la profonda differenza anche processuale tra elementi del reato (oggettivi e soggettivi), giustificazione e scusa. Come l'illecito ha componenti soggettive e non è solo res extensa, anche la giustificazione può valorizzare, se necessario, componenti soggettive (legittima difesa, stato di necessità). I bilanciamenti di interessi, lungi dal riguardare le sole cause di giustificazione, sono presenti nel fatto tipico, nelle scusanti, nelle cause di non punibilità. Nondimeno, le scusanti attengono a regole di giudizio, mentre le scriminanti corrispondono a regole di condotta.

 

Pelissero M., La detenzione domiciliare: i vantaggi in chiave deflattiva e il problema dell'offerta trattamentale, p. 733 s.

La detenzione domiciliare costituisce una sanzione alla quale il legislatore ha fatto ampio ricorso come misura alternativa alla detenzione, dapprima per scopi umanitari e, più recentemente, come strumento di contrasto al sovraffollamento carcerario. È indubbio, peraltro, che ai vantaggi sotto il profilo della deflazione carceraria si affiancano problemi di compatibilità con alcuni principi costituzionali, in particolare con il principio di uguaglianza e con la funzione rieducativa della pena. La legge delega n. 67 del 2014 aveva previsto l'introduzione di pene domiciliari come pene principali, ma il Governo non ha dato attuazione alla delega. Pur con i limiti di una riforma che proponeva un intervento settoriale e parziale sul sistema sanzionatorio, l'introduzione della detenzione domiciliare come pena principale avrebbe rappresentato una importante svolta di politica criminale nel segno della possibilità di ampliare la tipologia delle sanzioni principali non detentive.

 

Bontempelli M., Il controllo sui vizi della motivazione nel riesame riformato, p. 756 s.

Le innovazioni agli artt. 292 comma 2 e 309 comma 9 c.p.p., ad opera della legge n. 47 del 2015, suggeriscono nuove chiavi di lettura della disciplina del controllo compiuto dal tribunale del riesame sui vizi della motivazione dell'ordinanza cautelare. Le modifiche normative si allineano alla giurisprudenza garantista, nella parte in cui già esclude che il tribunale del riesame possa integrare il provvedimento impugnato recante una motivazione "apparente". In base al nuovo quadro normativo sembra, però, possibile prospettare un superamento dell'indirizzo interpretativo consolidato nelle pronunce della Corte di cassazione, nel senso di ammettere l'esercizio dei poteri "sananti" del collegio, a fronte della motivazione "insufficiente". Nel riesame riformato non risultano sanabili (e devono far scattare l'annullamento dell'ordinanza) i casi di motivazione (anche per relationem) carente, in quanto non basata sulla spiegazione del ragionamento giustificativo della misura cautelare, secondo lo schema « fatto probatorio - massima di esperienza - fatto accertato ».

 

Accinni, G.P., "Larve" di processi e parodie di giustizia. (La rimessione al giudice della valutazione di insussistenti pericoli per la salute pubblica), p. 791 s.

L'accertamento dei delitti contro la pubblica incolumità per esposizione a pericolo della salute richiede la verifica di un pericolo reale secondo l'evidenza di dati controllabili che non possono essere confusi con impulsi emotivi per la prevenzione di ipotetici danni futuri. L'impiego del metodo del c.d. risk assessment è perciò inidoneo rispetto alla necessità di riscontro dell'elemento del pericolo reale per il passato, necessitandosi invece quel metodo scientifico razionale che ha la propria essenza nel c.d. effetto dose-risposta. Nel doveroso rispetto del canone di offensività il posto della precauzione nel diritto penale non è quindi quello dei delitti previsti contro la pubblica incolumità, ma quello del c.d. diritto penale del comportamento.

 

Gabrielli C., Il nuovo prelievo coattivo "stradale": tanto rumore per (quasi) nulla?, p. 821 s.

La legge n. 41 del 2016 ha introdotto una nuova fattispecie di prelievo coattivo di campioni biologici, finalizzata ad accertare, anche contro la volontà dell'interessato, se il soggetto accusato dei reati previsti dagli artt. 589-bis e 590-bis c.p. fosse alla guida in stato di ebbrezza o di alterazione da stupefacenti. L'intervento normativo si presta ad alcune considerazioni critiche. Non è chiaro, ad esempio, se il nuovo prelievo stradale d'urgenza debba essere considerato una specie del prelievo coattivo di cui all'art. 359-bis c.p.p., con conseguente operatività della relativa disciplina, o se invece rappresenti una fattispecie autonoma, alla quale si applicano le sole disposizioni previste o espressamente richiamate. Ma soprattutto la riforma del 2016 non sembra consentire, se non a prezzo di forzature discutibili del principio di tassatività sancito dall'art. 13 Cost., quel prelievo ematico coattivo che gli studi di tossicologia forense indicano come l'unica modalità autenticamente affidabile per accertare lo stato di ebbrezza o di alterazione da stupefacenti.

 

Note a sentenza

Spena A., Istigazione punibile e libertà di parola. Riflessioni in margine alla sentenza De Luca, p. 845 s.

La nota prende spunto dalla decisione del Tribunale di Torino, che ha riguardato il noto scrittore Erri De Luca, per chiarire e mettere a punto alcuni profili della teoria dell'istigazione a delinquere e i rapporti di questa con la libertà d'espressione.

 

SPECIALE

La criminalizzazione del dissenso: legittimazione e limiti - Atti del IV Convegno nazionale dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale

 

Guastini R., (Dissenting), p. 859 s.

L'Autore introduce: in primo luogo, la distinzione tra dissentire e manifestare il dissenso; in secondo luogo, la distinzione tra dissenso mero e dissenso argomentato; in terzo luogo, l'ulteriore distinzione tra i diversi possibili oggetto di dissenso (fatti e valori, rispettivamente). Infine, individua nel cognitivismo etico la "base filosofica" della repressione, e nel non-cognitivismo il fondamento pragmatico della tolleranza.

 

Zaccaria R., Il dissenso politico ideologico alla luce dei principi costituzionali, p. 867 s.

In questo contributo, l'Autore individua la nozione di dissenso politico ideologico e la confronta con la disciplina penale dei reati di opinione e con i principi costituzionali contenuti nell'art. 21 della Costituzione. In particolare vengono esaminati i limiti costituzionalmente ammissibili, secondo la dottrina e la giurisprudenza, rispetto alla libertà di pensiero. L'autore giudica incompatibile con la disciplina costituzionale il limite dell'"ordine pubblico" che compare in molte decisioni della Corte costituzionale e propone di circoscrivere i limiti alla libertà di espressione al solo rispetto del "metodo democratico" di cui parla l'art. 49 della Costituzione. Solo un rigoroso percorso interdisciplinare tra penalisti e costituzionalisti potrà compiere la definitiva demolizione di quei reati di opinione che tendono inspiegabilmente a sopravvivere ad ogni riforma.

 

Fiore C., I limiti di espressione dell'antagonismo politico, p. 893 s.

I reati di opinione contenuti nel codice penale del 1930 e destinati a reprimere ogni opposizione al regime fascista, furono utilizzati anche nell'Italia repubblicana - in contrasto con l'art. 21 della Costituzione - per imbavagliare l'opposizione "antagonista", soprattutto di sinistra. Nell'attuale contesto storico, in cui è assente una contrapposizione politica frontale, non solo sono notevolmente aumentati i potenziali centri di imputazione del discorso "pericoloso", ma le caratteristiche degli odierni mezzi di comunicazione di massa ne hanno moltiplicato i punti di irradiazione. Di fatto, queste condotte restano impunite nella quasi totalità. L'impunità, però, non è dovuta all'inefficienza dell'apparato repressivo, quanto piuttosto alla sostanziale irrilevanza di quelle condotte, che hanno perduto (anche per un effetto di assuefazione dei potenziali destinatari) ogni concreta pericolosità. S'impone così, nei fatti, una regola generale dell'ordinamento, che non vi è ragione di non applicare anche al discorso pubblico: e cioè la regola per cui nessun comportamento è punibile, se esso non è concretamente idoneo" a determinare la lesione di un bene protetto.

 

Papa M., I limiti di espressione dell'antagonismo politico: spunti di riflessione, p. 902 s.

L'autore, intervenendo nel ruolo di discussant, sottolinea come la questione concernente la repressione dell'antagonismo politico si colleghi ad un tema più generale: la criminalizzazione dell'avversario politico. Dopo aver segnalato la persistente criticità del quadro normativo concernente i reati di opinione, viene evidenziato come accanto a tali reati sia oggi decisiva, per l'azione di contrasto, la contestazione di reati comuni, strumentalizzati per la loro neutralità politica e facilità di prova. Meritevole di attenzione è anche il ruolo della associazione per delinquere prevista dall'art. 416 c.p. L'intervento si conclude sottolineando le difficoltà di elaborare, anche in questo settore del diritto penale contemporaneo e specie con riferimento a nuovi settori problematici come quello dell'attivismo politico digitale, nuovi schemi di qualificazione capaci di descrivere le condotte realmente significative da porre al centro dell'azione di contrasto.

 

Gaeta P., Limiti di espressione dell'antagonismo politico e giurisprudenza di legittimità: riflessioni sparse, p. 909 s.

Attraverso l'analisi, anche statistica, della giurisprudenza, l'A. evidenzia come, negli ultimi decenni, le decisioni della magistratura italiana abbiano applicato con grande misura e prudenza il modello repressivo dell'istigazione all'opinione politica antagonista (manifestando così piena adesione al principio dell'offensività in concreto sui reati di opinione), ma come, al contempo, appaiano significative decisioni di maggiore "ampiezza punitiva" per condotte materiali dell'antagonismo politico "di strada", soprattutto a mezzo di una fattispecie di scarsa determinatezza nella descrizione della condotta quale la "devastazione e saccheggio", prevista e punita dall'art. 419 c.p.

 

Canestrari S., Libertà di espressione e libertà religiosa: tensioni attuali e profili penali, p. 917 s.

Il contributo si apre con una delineazione del concetto di «laicità» quale carattere del diritto penale italiano: carattere emergente dal tessuto costituzionale e naturalmente involgente anche la libertà di espressione e la libertà religiosa, che costituiscono i due poli principali della riflessione proposta. Dopo aver riepilogato le più pregnanti relazioni problematiche oggi riconoscibili con riferimento ai rapporti tra libertà di espressione e diritto penale, il discorso si concentra infatti sulle maggiori tensioni attualmente riconoscibili - anche nel contesto europeo - tra libertà di espressione e libertà religiosa. Il fenomeno viene analizzato, in ottica penalistica, proprio attraverso la lente della laicità del diritto penale: l'Autore suggerisce, in particolare, l'adozione di un punto di vista informato al rispetto ed alla salvaguardia delle differenze riscontrabili nella sfera pubblica.

 

De Maglie C., Punire le condotte immorali?, p. 938 s.

Lo scritto esamina il problema della punizione della semplice immoralità, una tematica affrontata dalla letteratura penalistica europeo-continentale ricorrendo alla categoria del bene giuridico e dalla cultura anglo-americana facendo riferimento al principio del danno. Entrambe le categorie, peraltro, nonostante il livello elevatissimo del dibattito, si sono dimostrate inadeguate a risolvere la questione: a dispetto delle varie proclamazioni del principio di laicità, il quesito se punire i comportamenti immorali è un interrogativo che continua a riproporsi. La soluzione potrebbe essere quella di spostare l'oggetto della discussione dalla legittimazione dell'incriminazione all'opportunità della punizione, concentrandosi sui presupposti insuperabili per qualunque intervento penale in un sistema democratico ed efficiente.

 

Tesauro A., La propaganda razzista tra tutela della dignità umana e danno ad altri, p. 961 s.

L'intervento si interroga criticamente sui persistenti problemi di legittimazione costituzionale e giustificazione etico-politica della repressione penale delle manifestazioni di pensiero razzista nonché sui possibili modelli di bilanciamento tra dignità umana e libertà di espressione, con particolare riferimento al test del pericolo concreto.

 

Brunelli D., Attorno alla punizione del negazionismo, p. 978 s.

L'A., ragionando sulle tecniche di incriminazione del fenomeno negazionistico, perviene alla conclusione della inutilità e della impraticabilità di un intervento in materia, anche senza considerarne i costi sotto il profilo della incisione sul diritto di libera manifestazione del pensiero.

 

Cavaliere A., La discussione intorno alla punibilità del negazionismo. I principi di offensività e libera manifestazione del pensiero e la funzione della pena, p. 999 s.

Il tema della punibilità del negazionismo viene affrontato alla luce di tre questioni fondamentali. La prima è relativa all'individuazione di un bene giuridico preciso e verificabilmente offendibile: sotto tale profilo vengono prese in esame le alternative costituite dall'ordine pubblico, dalla verità e dalla memoria, nonché dalla dignità personale. La seconda questione concerne il bilanciamento tra l'offesa e la libertà di manifestazione del pensiero. La terza riguarda proporzione, necessità ed utilità di un intervento penale, tenuto conto delle funzioni della pena. Chiude il lavoro un breve commento della recente introduzione di una circostanza aggravante per il negazionismo.

 

Fronza E., Criminalizzazione del dissenso o tutela del consenso. Profili critici del negazionismo come reato, p. 1016 s.

Il contributo si propone di riflettere sul negazionismo come reato. La criminalizzazione di tali proclami appartiene ad un movimento più ampio di moltiplicazione, trasformazione ed espansione del più ampio genus dei reati di opinione. Tuttavia, esaminando il rapporto tra il reato di negazionismo e i tradizionali reati di opinione emerge che tale fattispecie incriminatrice, pur appartenendo a questa categoria e dunque pur condividendone in larga parte i profili problematici (in particolare con riferimento al principio di offensività), ne costituisce una species peculiare. Il contributo mostra come il reato di negazionismo sul piano del significato tuteli e intervenga a consolidare un consenso intorno ad una verità riguardante fatti storici particolarmente significativi. In tale caso la norma svolge una funzione promozionale, simbolica. Nella parte finale il contributo si sofferma sulla proposta del legislatore italiano di introdurre il negazionismo come aggravante comune nell'ambito della fattispecie di diffusione di idee razziste della legge Mancino.

 

Forti G., Le tinte forti del dissenso nel tempo dell'ipercomunicazione pulviscolare. Quale compito per il diritto penale?, p. 1034 s.

Ogni "criminalizzazione del dissenso" sembrerebbe attirare uno scontato rigetto. Il tema si fa più problematico se lo si cala nel non-spazio comunicativo contemporaneo: esternazioni violente e, soprattutto, sorprendenti, magari razziste o, semplicemente, negazioniste, offrono la facile via di un riscatto dall'uniformità dei mondi virtuali e di un recupero di "fisicità" illusoriamente individualizzante. Di fronte a modalità espressive che sviliscono essenziali fondamenti etico-politici e alla cui "estetica delle tinte forti" il mondo dei nuovi media tende a elargire "salienza morale", il diritto penale è chiamato a ideare "altri" beni giuridici (o "altro" che beni giuridici), esplorando (grazie anche a interessanti letture della giurisprudenza CEDU) le situazioni in cui si concretizza il valore della dignità umana: in proporzione al limite che la libertà di espressione incontra in quanto componente della dignità, può trovare tutela, anche penale, il rispetto delle sensibilità individuali e collettive di appartenenti a comunità vittime di genocidi.

 

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Tra gli ulteriori contributi presenti nel fascicolo della Rivista, oltre alle consuete rassegne di giurisprudenza costituzionale e di giustizia penale sovranazionale, si segnalano, nella Rassegna bibliografica, le recensioni delle seguenti monografie:

 

Bell A., Pericolo e incolumità pubblica, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2015, pp. 232 (A. Valsecchi)

Ceresa-Gastaldo M., Procedura penale delle società, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 219 (I. Redaelli)

Cesari C. (a cura di), Il minorenne fonte di prova nel processo penale, II ed., Giuffrè, Milano, 2015, pp. 332 (A.M. Capitta)

Forti G., Mazzucato C., Visconti A. (a cura di), Giustizia e letteratura III, Vita e Pensiero, Milano, 2016, pp. 520 (M. Lamanuzzi)

Lupária L., Marafioti L. (a cura di), Confessione, liturgie della verità e macchine sanzionatorie. Scritti raccolti in occasione del Seminario di studio sulle 'Lezioni di Lovanio' di Michel Foucault, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 142 (D. Cimadomo)

Menghini A., Actio libera in causa, Cedam, Padova, 2015, pp. 345 (M. T. Collica)

Rossi S., La salute mentale tra libertà e dignità. Un dialogo costituzionale, Franco Angeli, Milano, 2015, pp. 449. (C. Cupelli)

Wenin R., Fornasari G., Fronza E. (a cura di), La persecuzione dei crimini internazionali. Una riflessione sui diversi meccanismi di risposta - Die Verfolgung der internationalen Verbrechen. Eine Überlegung zu den verschiedenen Reaktionsmechanismen, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, pp. 236 (A. Vallini)