Importanti indicazioni per la soluzione dell’annoso e controverso problema dell’abolitio criminis come conseguenza della successione di norme “integratrici” (c.d. modifiche mediate) provengono da tre sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, pronunciate tra il 2007 e il 2009 (sentenze Magera, Niccoli e Rizzoli). Uno sguardo congiunto alle tre sentenze consente di individuare un filo comune, rappresentato dall’adozione del medesimo criterio di accertamento dell’abolitio criminis: il ‘criterio strutturale’, già accolto dalle S.U. sul terreno delle c.d. modifiche immediate (sentenza Giordano del 2003). Decisivo è dunque distinguere tra norme integratrici, in grado modificandosi di incidere sulla fattispecie legale astratta, e norme non integratrici, che tale capacità non hanno.
SOMMARIO: 1. Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: problema e panorama della casistica giurisprudenziale. – 2. Soluzione del problema in tre recenti pronunce delle Sezioni Unite. – 3. Le sentenze Magera (2007), Niccoli (2008) e Rizzoli (2009). – 4. Il filo comune alle tre sentenze: l’adozione del ‘criterio strutturale’ per l’accertamento dell’abolitio criminis. – 5. Soluzione, alla luce del ‘criterio strutturale’, dei diversi casi affrontati dalle S.U. – 6. Considerazioni conclusive.
1. Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: problema e panorama della casistica giurisprudenziale.
Può l’
abolitio criminis essere conseguenza di modifiche di norme
diverse dalla norma incriminatrice, in vario modo richiamate a sua (reale o apparente) integrazione? E’ uno degli interrogativi più controversi del diritto penale intertemporale, con il quale la prassi si confronta di frequente in un cospicuo ed eterogeneo numero di casi
[1]. Ci si chiede, ad esempio:
a) –
ipotesi di modifica di norme penali richiamate da elementi normativi –, se sia punibile la
calunnia qualora il fatto oggetto dell’incolpazione cessi, per legge posteriore, dal costituire reato (è il caso-guida nella giurisprudenza della Cassazione, affrontato già nel Secondo dopoguerra)
[2]; il
favoreggiamento, personale, se il reato favorito viene successivamente abolito
[3]; l’
associazione per delinquere, se il delitto-scopo viene abolito dopo che l’associazione si è costituita per realizzarlo
[4]; la
ricettazione, se dopo la commissione del fatto viene abolito il delitto presupposto dal quale provengono il denaro o le cose ricettate
[5];
b) –
ipotesi di modifica di norme extrapenali richiamate da elementi normativi –, se sia punibile la
contraffazione di monete, qualora dopo la commissione del fatto la moneta contraffatta (ad es., la Lira) cessi dall’avere corso legale (in conseguenza dell’introduzione dell’Euro)
[6]; la
contraffazione di pubblici sigilli, in caso di sopravvenuta ‘privatizzazione’ dell’ente il cui sigillo è stato contraffatto (es., l’ENEL)
[7]; il
peculato, la
concussione, la
corruzione, qualora dopo la commissione del fatto venga meno, in capo all’agente, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio
[8];
l’abuso d’ufficio, se dopo la commissione del fatto vengono modificate le norme di legge o di regolamento che individuano i doveri d’ufficio
[9];
l’esercizio abusivo della professione, se sopravviene la modifica delle norme che qualificano come abusivo l’esercizio di una determinata professione
[10]; l’
omicidio colposo, o le
lesioni personali colpose, qualora dopo la commissione del fatto venga abrogata o modificata la regola cautelare violata dall’agente
[11] oppure, in caso di reato omissivo improprio, qualora dopo quel momento venga meno in capo all’agente l’obbligo giuridico di impedire l’evento
[12]; la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, qualora dopo la commissione del fatto vengano modificate le norme impositive del divieto di pubblicazione degli atti processuali
[13]; il
contrabbando, se dopo la commissione del fatto viene abolito il diritto di confine (ad es., un dazio doganale) che l’agente ha omesso di pagare
[14]; i c.d. reati di
assenza dal servizio alle armi, se dopo la loro commissione sopravviene (come è avvenuto a decorrere dal 1° gennaio 2005) la sospensione del servizio militare obbligatorio
[15]; il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, se dopo la commissione del fatto lo straniero del quale è stato favorito l’ingresso illegale nel nostro Paese cessa dall’essere extracomunitario, in conseguenza dell’adesione all’UE dello Stato di cui è cittadino (es., la Polonia)
[16];
c) ipotesi di modifica di norme extragiuridiche (o culturali) richiamate da elementi normativi –, se sono punibili gli
atti osceni (ad es., la pratica del
topless), o
le pubblicazioni e gli spettacoli osceni (es., la pubblicazione di una rivista per adulti o la proiezione in pubblico del film
Ultimo tango a Parigi), se, dopo la commissione del fatto, un mutamento delle norme etico-sociali che individuano il comune sentimento del pudore ne fa venir meno il carattere osceno
[17];
d) ipotesi di modifica di norme che ‘riempiono’ il precetto di ‘norme penali in bianco’ –, se sono punibili la
produzione, il traffico o la detenzione di sostanze stupefacenti qualora, dopo la commissione del fatto, un decreto ministeriale escluda dall’elenco delle sostanze stupefacenti la sostanza oggetto di produzione, traffico o detenzione
[18];
e) ipotesi di modifica di norme definitorie –, se sono punibili i
reati a danno di un «minore» (es., la circonvenzione di persone incapaci) qualora, come è avvenuto a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, dopo la commissione del fatto muti la definizione legale della «maggiore età» (art. 2 c.c.: non più compimento del ventunesimo anno, bensì del diciottesimo) e la vittima cessi di conseguenza dall’essere un «minore» (perché al momento del fatto, commesso prima di quella riforma, aveva un età compresa tra i diciotto e i ventuno anni)
[19]; i
reati in materia di rifiuti se, a seguito di una modifica in senso restrittivo della nozione di rifiuto (art. 183 d.lgs. n. 152/2006), l’oggetto materiale della condotta (ad es., di gestione abusiva o traffico illecito) cessa dall’essere un rifiuto
[20]; la
bancarotta se, a seguito della modifica della definizione legale di «piccolo imprenditore» commerciale (art. 1 l. fall.), risulti piccolo imprenditore (e come tale escluso dalla dichiarazione di fallimento) chi non lo era al momento del fatto
[21].
2. Soluzione del problema in tre recenti pronunce delle Sezioni Unite.
Rispetto a una simile costellazione di casi – e folla di interrogativi – può dirsi, con una certa approssimazione, che la giurisprudenza, soprattutto di legittimità, tende generalmente ad
escludere l’
abolitio criminis (in tal senso è ad es. da decenni consolidato l’orientamento della S.C. a proposito del caso-guida in tema di calunnia). Non mancano, però, decisioni di segno opposto (ad es., a proposito del caso dell’abolizione del delitto-scopo dell’associazione per delinquere) e si registra, come d’altra parte in dottrina
[22], l’
assenza di criteri di soluzione univoci.
Importanti indicazioni – e contributi alla soluzione del problema dell’abolitio criminis come conseguenza della successione di norme “integratrici” – provengono da tre recenti sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciate tra il 2007 e il 2009, a testimonianza di quanto sia attuale e pressante, nella prassi, l’esigenza di individuare un criterio di soluzione di quel problema. In questa mia breve relazione provvederò dapprima ad illustrare brevemente i tre diversi casi affrontati dalle S.U. e poi, nel dar conto delle rispettive soluzioni ed argomentazioni, a mettere in rilievo i principi di diritto che trovano affermazione comune nelle tre sentenze e che, pertanto, si impongono oggi senz’altro all’attenzione dell’interprete.
3. Le sentenze Magera (2007), Niccoli (2008) e Rizzoli (2009).
1° caso – Cass. S.U. 27 settembre 2007, Magera[23]:
sono punibili i cittadini rumeni espulsi, autori del reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento dallo Stato impartito dal questore (art. 14, co. 5 ter
t.u. imm.), se, in un momento successivo alla commissione del fatto, perdono lo status
di extracomunitari per effetto dell’adesione della Romania all’U.E.? La questione, rimessa alle S.U. pur in assenza di un contrasto tra le Sezioni semplici, si pone in quanto, ai sensi dell’art. 1, co. 1 t.u. imm., le disposizioni del t.u., ivi compresa l’anzidetta norma incriminatrice, si applicano «ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi, di seguito indicati come
stranieri». Per effetto del Trattato di adesione della Romania all’UE, i rumeni hanno cessato, a decorrere dal 1° gennaio 2007, di essere extracomunitari e, quindi, possibili autori del reato suddetto. Si è allora verificata una parziale
abolitio criminis, limitata ai fatti antecedentemente commessi dai cittadini rumeni?
[24] La risposta delle S.U., per le ragioni di cui si dirà, è negativa: nessuna
abolitio criminis.
2° caso – Cass. S.U. 28 febbraio 2008, Niccoli[25]:
è punibile la bancarotta (artt. 216, 217, 223 l. fall.) se, dopo la commissione del fatto, mutano i requisiti per l’assoggettabilità dell’impresa al fallimento, cosicché l’imprenditore, in base alla nuova disciplina, non potrebbe più essere dichiarato fallito? La questione – rimessa alle S.U. per l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla Quinta Sezione
[26] – si pone in quanto, come è noto,
autore dei reati di bancarotta può essere solo l’imprenditore soggetto alle disposizioni sul fallimento. Fino al recente passato, per individuare i soggetti esonerati dal fallimento l’art. 1 l. fall. (nella versione precedente al d.lgs. n. 169/2007) utilizzava la nozione di
«piccolo imprenditore»: era piccolo l’imprenditore commerciale che
non possedeva determinati requisiti dimensionali; e chi era «piccolo imprenditore» non era soggetto al fallimento e, pertanto, non poteva essere autore dei reati di bancarotta. Orbene, con la riforma della legge fallimentare del 2006 (d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) sono stati modificati i requisiti per l’attribuzione della qualifica di piccolo imprenditore, nel segno di un
ampliamento del novero dei soggetti esonerati dal fallimento. Questi sono stati individuati, in particolare, negli esercenti un’attività commerciale, in forma individuale o collettiva, che, alternativamente, non avessero effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a 300.000 euro, ovvero non avessero realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni, per un ammontare complessivo annuo superiore a 200.000 euro. Nel caso affrontato dalle S.U., si è trattato di decidere sulla perdurante rilevanza penale di fatti di bancarotta semplice documentale commessi da imprenditore che, in considerazione dell’ammontare dei ricavi e degli investimenti nel periodo di riferimento, possedeva all’epoca del fatto i requisiti dimensionali previsti dalla
nuova nozione di «piccolo imprenditore», in base alla quale pertanto
non potrebbe più essere dichiarato fallito. Si è verificata allora una parziale
abolitio criminis, limitata ai fatti commessi dagli imprenditori che in base alla nuova disciplina extrapenale non potrebbero più essere dichiarati falliti? La risposta delle Sezioni Unite, per le ragioni di cui si dirà, è anche in questo caso negativa: nessuna
abolitio criminis.
3° caso – Cass. S.U. 26 febbraio 2009, Rizzoli[27]:
è punibile la bancarotta fraudolenta impropria commessa nella gestione di una società ammessa all’amministrazione controllata (art. 236, co. 2, n. 1 l. fall.) se, dopo la commissione del fatto, detta procedura concorsuale viene abolita, come è avvenuto in occasione della già citata riforma della legge fallimentare del 2006? Il quesito – rimesso alle S.U. per prevenire l’insorgere di un possibile contrasto giurisprudenziale – si pone in quanto l’art. 236, co. 2, n. 1 l. fall. estende le norme incriminatrici della bancarotta impropria, fraudolenta e semplice, all’amministrazione controllata e al concordato preventivo; procedure che risultano parificate al fallimento, agli effetti della repressione dei reati sia pre-concorsuali sia post-concorsuali. Abolita l’amministrazione controllata, l’anzidetta norma incriminatrice si riferisce oggi al solo concordato preventivo (procedura sensibilmente rinnovata dalla legge fallimentare, ma non abolita). Orbene:
può dirsi che l’abolizione dell’amministrazione controllata abbia comportato l’abolitio criminis
della bancarotta connessa a tale procedura concorsuale, con conseguente revoca ex art. 673 c.p.p. delle sentenze di condanna passate in giudicato? A differenza dei due casi precedenti, la risposta delle S.U., per le ragioni di cui si appresso si dirà, è affermativa, e ha portato alla revoca della sentenza di condanna.
4. Il filo comune alle tre sentenze: l’adozione del ‘criterio strutturale’ per l’accertamento dell’abolitio criminis.
Uno sguardo congiunto alle motivazioni delle tre sentenze delle Sezioni Unite consente di individuare, al di là delle diverse soluzioni,
un filo comune, rappresentato dall’adozione del
medesimo criterio per l’accertamento dell’abolitio criminis, ora negata (sentenze Magera e Niccoli), ora affermata (sentenza Rizzoli). E’ il c.d.
criterio strutturale: l’
abolitio criminis, che comporta la perdita di rilevanza penale del fatto,consegue sempre a una
modifica della fattispecie legale astratta, che rappresenta, come si legge nella sentenza
Rizzoli, “non solo strumento di
selezione dei fatti penalmente rilevanti, ma anche strumento di
de-selezione dei fatti stessi”
[28].
L’adozione del criterio ‘strutturale’ per la soluzione dei problemi di
abolitio criminis in caso di successione di norme “integratrici” rappresenta, nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, una novità. La sentenza Tuzet – la prima in ordine di tempo delle S.U. sulla questione in esame –, si era infatti espressa alla fine degli anni ottanta a favore del criterio del ‘fatto concreto’ (o della doppia punibilità in concreto)
[29], allorché aveva escluso la punibilità del peculato dell’operatore bancario per i fatti commessi prima che venisse meno, in capo a quel soggetto, la qualifica di incaricato di pubblico servizio: “la formulazione letterale del 2° comma dell’art. 2 è abbastanza chiara nell’escludere la punibilità per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato. E per quanti bizantinismi si vogliano fare, non si potrà mai contestare che il fatto ascritto [all’imputato], se commesso oggi, non costituirebbe reato”.
E’ un criterio, patrocinato da autorevole dottrina
[30], che tuttavia – si tratta di una novità – non è oggi più accolto dalle S.U. Ribadendo un principio già espresso nella nota sentenza Giordano del 2003
[31] – relativa ai problemi di diritto intertemporale conseguenti alla riforma del falso in bilancio e della bancarotta impropria da reato societario, ad opera del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 –, le S.U. affermano oggi che per accertare l’
abolitio criminis l’interprete deve procedere al “
confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, quella precedente e quella successiva all’intervento del legislatore”
[32].
Il
criterio ‘strutturale’, affermatosi a partire dalla sentenza Giordano sul terreno delle c.d. modifiche immediate (quelle, cioè, che incidono
direttamente sul testo della norma incriminatrice), ha finito dunque per imporsi, nella giurisprudenza delle S.U., come criterio di accertamento dell’
abolitio criminis anche nell’ipotesi delle c.d. modifiche mediate[33]. Esplicita in tal senso è la sentenza
Magera, secondo cui la risposta al quesito posto dal primo dei casi suesposti (effetti penali dell’adesione all’UE della Romania) “deve essere ricercata facendo riferimento ai criteri già affermati in tema di successione di leggi penali da queste Sezioni Unite con la sentenza 26 marzo 2003, n. 25887, Giordano. In quella sentenza le Sezioni Unite hanno escluso la possibilità di accogliere la teoria della doppia punibilità in concreto e hanno affermato che per individuare il campo di applicazione del secondo comma dell’art. 2 c.p. non ci si può limitare a considerare se il fatto, punito in base alla legge anteriore, sia punito, o meno, in base a quella posteriore […].
L’indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto: non basta riconoscere che oggi il fatto commesso dall’imputato non costituirebbe più reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga in collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato […].
La successione avvenuta tra norme extrapenali non incide invece sulla fattispecie astratta, ma comporta più semplicemente un caso in cui in concreto il reato non è più configurabile, quando rispetto alla norma incriminatrice la modificazione della norma extrapenale comporta solo una nuova e diversa situazione di fatto”
[34]. Sono principi che vengono d’altra parte ribaditi nella sentenza
Niccoli nella quale, dopo aver richiamato espressamente le sentenze Giordano e Magera, si afferma testualmente che per accertare l’
abolitio criminis “
occorre verificare se la norma extrapenale incida su un elemento della fattispecie astratta, non essendo di per sé rilevante una mutata situazione di fatto che da quella norma derivi”
[35].
Quando però può dirsi che la modifica di una norma ‘extrapenale’
incide sulla fattispecie legale astratta e, pertanto, è in grado di comportare
abolitio criminis? Una chiara risposta a questo
cruciale interrogativo si legge nella sentenza
Magera: “nell’ambito della fattispecie penale le norme extrapenali non svolgono tutte la stessa funzione […];
occorre operare una distinzione tra le norme integratrici della fattispecie penale e quelle che tali non possono essere considerate. […]
una nuova legge extrapenale può avere, di regola, un effetto retroattivo, solo se integra la fattispecie penale, venendo a partecipare della sua natura, e ciò avviene, come nel caso delle disposizioni definitorie, se la disposizione extrapenale può sostituire idealmente la parte della disposizione penale che la richiama”, ovvero, come nel caso delle
norme penali in bianco, se costituisce addirittura il precetto
[36].
Nel percorrere la via della distinzione tra norme integratrici e norme non integratrici, un passaggio centrale della motivazione della sentenza
Magera sottolinea peraltro opportunamente come si tratti di
distinzione possibile e imposta dalla legge:
“è una distinzione alla quale si ricorre anche nell’applicazione del terzo comma dell’art. 47 c.p., per decidere se un errore su una legge diversa da quella penale escluda o meno la punibilità, e non è questa la sede per stabilire se ai fini dell’art. 2 e dell’art. 47 c.p. la qualificazione di una norma extrapenale debba essere la stessa[37]; qui è sufficiente considerare che nell’art. 47 c.p. il legislatore ha riconosciuto l’esistenza di leggi diverse da quelle penali, alle quali ha ricollegato un diverso trattamento dell’errore, e non è arbitrario pensare che anche agli effetti dell’art. 2 c.p. le leggi diverse da quelle penali possano avere trattamenti diversi”.
5. Soluzione, alla luce del ‘criterio strutturale’, dei diversi casi affrontati dalle S.U.
In applicazione dei principi di diritto sopra esposti, le sentenze Magera e Niccoli hanno negato l’abolitio criminis,nei casi rispettivamente affrontati, dopo aver escluso che le norme extrapenali venute in rilievo possano essere qualificate come norme integratrici, capaci, modificandosi, di incidere sulla fisionomia della fattispecie penale.
a) Secondo la sentenza
Magera, l’ingresso di uno Stato nell’UE, così come in ipotesi la sua esclusione, “non modifica, sia pure in modo mediato, la fattispecie penale [di cui all’art. 14, co. 5
ter t.u. imm.], ma costituisce un mero dato di fatto, anche se frutto di un’attività normativa
[38]. Si realizzerebbe una modifica della fattispecie legale, e conseguentemente una parziale
abolitio criminis, se il legislatore modificasse la norma, essa sì integratrice, che definendo il concetto di «straniero» individua il soggetto attivo del reato di cui si tratta: “se dalla categoria venisse escluso il cittadino di uno Stato in attesa di adesione all’Unione [ovvero l’apolide] sarebbe la stessa fattispecie penale a risultare diversa e a vedersi sottrarre una parte della sua sfera di applicazione, secondo lo schema tipico dell’abolizione parziale, riconducibile all’art. 2, comma 2 c.p. (Sez. Un. 26 marzo 2003, n. 25887, Giordano). In un caso del genere dall’ambito della precedente fattispecie verrebbe esclusa una sottoclasse, quella relativa ai cittadini di Paesi candidati all’ingresso nell’Unione europea [o agli apolidi] e rispetto a questa sottoclasse si potrebbe parlare di
abolitio criminis, come avviene quando in una vicenda di successione di leggi penali una fattispecie più ampia viene sostituita con una più limitata […], facendo venire meno la punibilità dei fatti che, pur integrando precedentemente il reato, non rientrano nella nuova fattispecie”
[39].
b) Secondo la sentenza
Niccoli, la modifica dei requisiti perché l’imprenditore sia assoggettabile al fallimento non incide sulla fattispecie di bancarotta: “
i nuovi contenuti dell’art. 1 l. fall. non incidono su un dato strutturale del paradigma della bancarotta (semplice o fraudolenta), ma sulle condizioni di fatto per la dichiarazione di fallimento, sicché non possono dirsi norme extrapenali che interferiscono sulla fattispecie penale”
[40]. Secondo le S.U., infatti, “nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, e non per i fatti con essa accertati”: ciò che rileva è l’esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento, a prescindere dalle condizioni di fatto normativamente richieste per la dichiarazione di fallimento. Se muta la definizione dei presupposti perché un provvedimento giurisdizionale richiamato dalla fattispecie penale possa essere adottato, non può dirsi che le norme sopravvenute incidano
sulla struttura del reato. Questa infatti continua pur sempre a richiedere, quale elemento costitutivo del fatto, l’esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento che, una volta intervenuta e passata in giudicato, è un dato di fatto non modificabile. Non solo, abbandonando il più recente orientamento di legittimità sul punto, le S.U. giungono ad affermare – e finiscono per porre al centro della motivazione della loro sentenza –
l’insindacabilità da parte del giudice penale della sentenza dichiarativa di fallimento, che vincolerebbe il giudice penale quale elemento della fattispecie, e non quale questione pregiudiziale: “quando elemento della fattispecie è una sentenza, il giudice penale non è abilitato a compiere alcuna valutazione, neppure incidentale, sulla legittimità di essa, perché le sentenze, a prescindere dalla loro definitività, hanno un valore
erga omnes che può essere messo in discussione solo in via principale, con i rimedi previsti dall’ordinamento per gli errori giudiziari (e cioè con i mezzi ordinari o straordinari di impugnazione previsti dalla disciplina processuale)”
[41]. Il tempo a disposizione non consente di soffermarci criticamente sulla sentenza Niccoli: non può però farsi a meno di far notare come se le S.U. avessero riconosciuto, come noi riteniamo
[42], che l’art. 1 l. fall. contiene una
norma definitoria del concetto di ‘imprenditore fallito’, soggetto attivo della bancarotta, avrebbero dovuto affermare, per coerenza con il criterio strutturale e con quanto affermato dalla richiamata sentenza Magera, che la modifica di quella definizione (cioè dei presupposti per l’assoggettabilità dell’imprenditore al fallimento) incide sulla fattispecie legale, ed è, almeno in via di principio, in grado di comportare
abolitio criminis allorché, come nel caso di specie, amplia il novero degli imprenditori esonerati dal fallimento. Sennonché le S.U., come emerge dalla motivazione della sentenza, avrebbero comunque negato l’
abolitio criminis[43]: “ove anche si fosse potuta assumere una incidenza nelle fattispecie di bancarotta delle modifiche recate all’art. 1 l. fall.” l’
abolitio criminis dovrebbe escludersi in applicazione della disciplina transitoria prevista dalla riforma della legge fallimentare (art. 150 d.lgs. n. 5/2006), che opererebbe in deroga all’art. 2 c.p., e ai sensi della quale « i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore»
[44].
c) Quanto infine alla sentenza
Rizzoli, che al contrario delle sentenze Magera e Niccoli ha affermato l’
abolitio criminis, va messo in rilievo quel che le S.U. hanno correttamente osservato in via preliminare e, cioè, che nel caso sottoposto al loro esame, contrariamente a quanto prospettato dall’ordinanza di rimessione della Prima Sezione
[45] non si trattava di un’ipotesi di modifica ‘mediata’ legge penale, bensì di un caso di modifica ‘immediata’ della stessa. Ciò in quanto la riforma della legge fallimentare “non si è limitata a intervenire sulla normativa ‘esterna’ relativa [all’istituto dell’amministrazione controllata], ma
ha eliminato ogni riferimento a questo
presente nella disposizione incriminatrice, risultata, quindi, amputata di un suo elemento strutturale”. E proprio in ragione di tale modifica strutturale della fattispecie legale astratta le S.U. hanno riconosciuto l’
abolitio criminis della bancarotta antecedentemente commessa in società ammesse all’amministrazione controllata.
A ben vedere – lo notiamo incidentalmente – il caso affrontato dalla sentenza Rizzoli offre lo spunto per sottolineare una distinzione spesso in ombra: un conto è la modifica (nel caso di specie la soppressione)
di un elemento normativo della fattispecie penale (il termine «amministrazione controllata», nel testo dell’art. 236 l. fall.), che è modifica ‘immediata’ della fattispecie stessa, atteso che gli elementi normativi “partecipano alla descrizione della fattispecie legale”; altro è la modifica
delle norme richiamate dall’elemento normativo (ad es., della disciplina dell’amministrazione controllata, piuttosto che del fallimento o del concordato preventivo), che è modifica ‘mediata’, incapace di incidere sulla struttura della fattispecie legale e pertanto di comportare
abolitio criminis[46].
6. Considerazioni conclusive.
Nonostante l’ultima giurisprudenza delle Sezioni Unite fornisca all’interprete chiare indicazioni in merito al criterio di accertamento dell’abolitio criminis in caso di successione di norme “integratrici”, è ragionevole ritenere che la prassi continuerà a conoscere soluzioni non univoche.
Da un lato, perché il criterio ‘strutturale’, come d’altra parte ogni altro criterio ad esso alternativo, è sempre passibile di un’errata applicazione: lo dimostra, a noi pare, il caso affrontato dalla sentenza Niccoli, dove ci sembra – lo ribadiamo – che la Cassazione non abbia riconosciuto che la riforma dell’art. 1 l. fall. ha comportato una modifica della norma che definisce il concetto di ‘imprenditore fallito’, soggetto attivo della bancarotta, e, quindi, di una vera e propria norma integratrice, partecipe della struttura della fattispecie penale.
Dall’altro lato, non va taciuto che nella stessa giurisprudenza delle S.U. – e in particolare nella sentenza Magera – si individua, in un ampio
obiter dictum[47], un criterio di accertamento dell’
abolitio criminis ulteriore e
diverso da quello strutturale, i cui contorni però non ci sembrano altrettanto chiari. Si legge nella sentenza Magera: “Oltre che rispetto alle norme integratrici di quelle penali, l’art. 2 c.p. può trovare applicazione rispetto a
norme extrapenali che siano esse stesse, esplicitamente o implicitamente, retroattive, quando nella fattispecie penale non rilevano solo per la qualificazione di un elemento, ma per l’assetto giuridico che realizzano, come può accadere per le norme penali richiamate dalla norma incriminatrice (e da considerare perciò alla stregua di norme extrapenali, nel senso di norme esterne a quella penale descrittiva del reato)”. Non è chiaro, però, quando possa dirsi che la norma richiamata “rileva solo per la qualificazione di un elemento” della fattispecie – sicché modificandosi
non può comportare
abolitio criminis – e quando invece “rileva per l’assetto giuridico che realizza” – sicché, al contrario, modificandosi
può comportare
abolitio criminis. Secondo la sentenza Magera, la prima ipotesi si realizzerebbe nel caso dell’abolizione del delitto oggetto di falsa incolpazione nella
calunnia: “nella calunnia, infatti, rileva la qualificazione come reato del fatto oggetto dell’incolpazione, nel momento in cui è avvenuta, e non l’assetto giuridico realizzato dalla norma incriminatrice, sicché l’abrogazione di questa non è in grado di incidere sul reato precedentemente commesso”. Non altrettanto potrebbe dirsi rispetto alla seconda ipotesi, alla quale la sentenza Magera riconduce il caso dell’abolizione del delitto-scopo dell’
associazione per delinquere, confermando così una sentenza della Prima Sezione che, nel 2005, ha affermato l’
abolitio criminis dell’associazione per delinquere, a fronte della depenalizzazione del delitto-scopo (la sofisticazione vinicola)
[48]. In questo caso, secondo la sentenza Magera, “l’effetto retroattivo della norma abolitrice del reato ha inciso sulla fattispecie associativa privandola dello scopo della commissione di fatti-reato […]. L’effetto abolitivo del reato associativo è conseguenza necessaria dell’effetto retroattivo dell’abolizione del reato scopo”.
Sennonché, a nostro avviso, contrariamente a quanto anche autorevole dottrina sostiene
[49], l’
abolitio criminis deve essere esclusa
tanto nel caso dell’abolizione del reato oggetto d’incolpazione nella calunnia, quanto in quello dell’abolizione del delitto-scopo dell’associazione per delinquere
[50]. Si tratta infatti di due
casi strutturalmente identici, implicanti la modifica di norme penali richiamate da elementi normativi della fattispecie (i termini «reato», nell’art. 368 c.p., e «delitti», nell’art. 416 c.p.). In entrambi i casi si realizza una successione di norme
non integratrici – tali sono immancabilmente le norme richiamate dagli elementi normativi
[51] –: le rispettive fisionomie della calunnia (incolpare taluno falsamente di un reato, quale che sia) e dell’associazione per delinquere (associarsi allo scopo di commettere più delitti, quali che siano) restano immutate, così come d’altra parte rimangono
irreversibili le offese ormai recate ai beni giuridici tutelati (amministrazione della giustizia, onore e libertà personale dell’innocente, nel caso della calunnia; ordine pubblico, nel caso dell’associazione per delinquere).
[1] Sul tema oggetto della presente relazione sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2008, anche per l’esame della casistica giurisprudenziale, che nella seconda parte dell’opera è stata raccolta e ordinata nella sua interezza.
[2] Cfr., ad es., Cass. Sez. III, 7 aprile 1951, Ottazzi, in
Giust. Pen., 1951, II, c. 1073 s.; Cass. Sez. VI, 21 novembre 1988, Caronna, in
Cass. pen., 1990, I, p. 227; Cass. Sez. VI, 8 aprile 2002, Bassetti,
ivi, 2004, p. 3220.
[3] Cfr. Cass. Sez. VI, 5 giugno 2002, Tambasco, in
Riv. pen., 2002, p. 1049.
[4] Cfr. Cass. Sez. I, 9 marzo 2005, Screti, in
Riv. pen., 2005, p. 972 s.; C. app. Firenze, 21 giugno 1991, Conciani, in
Foro it., 1992, II, c. 301 s.
[5] Cfr. Cass. Sez. II, 4 luglio 2003, Paperini, in
Riv. pen., 2004, p. 337 s.
[6] Cfr. Cass. Sez. I, 6 giugno 2003, Seferi, in
Cass. pen., 2004, p. 4080; Cass. Sez. V, 12 febbraio 2008, n. 8671, P.A., in
Leggi d’Italia Professionale.
[7] Cfr. Cass. Sez. V, 25 febbraio 1997, De Lisi, in
Foro it., 1998, II, c. 95 s., con nota di
B. Romano; Cass. Sez. V, 11 dicembre 1997, Prestigiacomo, in Giust. pen., 1999, II, c. 45; Cass. Sez. V, 18 marzo 1998, Gambino, in Giust. pen., 1999, II, c. 404 s.
[8] Cfr. ad es. Cass. S.U., 23 maggio 1987, Tuzet, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1987, p. 695 s., con nota di
Paliero (peculato); Cass. Sez. VI, 10 luglio 1995, Caliciuri, in Dir. pen. proc., 1996, p. 195 s., con nota di Pisa; Cass. Sez. VI, 26 settembre 2006, Moschetti, in CED Cassazione n. 234990 (concussione e corruzione).
[9] Cfr., ad es., Cass. Sez. VI, 15 gennaio 2003, Villani, in
Cass. pen., 2004, p. 3621; Cass. Sez. II, 2 dicembre 2003, Stellaccio, in
Foro it., 2004, II, c. 275 s., con nota di
A. Tesauro; Cass. Sez. VI, 7 aprile 2005, Fabbri, in Cass. pen., 2007, p. 178.
[10] Cass. Sez. VI, 9 dicembre 2002, Di Campli Finore, in
Riv. pen., 2003, p. 407 s.; Cass. Sez. VI, 27 marzo 2003, Carrabba, in
Giust. pen., 2004, II, c. 321 s.
[11] Cfr., ad es., Cass. Sez. IV, 6 aprile 1960, Brendel, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1960, p. 1206 s., con nota di
Grosso; Cass. Sez. III, 21 maggio 1995, Cè, in Cass. pen., 1996, p. 3667.
[12] Cfr. Cass. Sez. IV 3 aprile 2004, Cunial, in
CED Cassazione, n. 228565, sent. n. 24010/2004 (nella motivazione); Cass. Sez. IV, 25 ottobre 2006, Cazzarolli, in
CED Cassazione, n. 235780, sent. n. 2604/2007.
[13] Cfr. Cass. Sez. VI, 9 marzo 1994, Paris, in
Riv. pen., 1995, p. 917 s.
[14] Cfr., ad es., Cass. Sez. III, 26 giugno 2002, Nanni, in
Riv. pen., 2002, p. 974 s.; Cass. Sez. III, 4 febbraio 2003, Pertot, in
Giur. it., 2001, c. 429 s.; Cass. Sez. V, 11 maggio 2006, Formaggia, in
Cass. Pen., 2007, p. 560 s.
[15] Cfr., ad es., Cass. Sez. I, 10 febbraio 2005, Caruso, in
Cass. pen., 2006, p. 418 s.; Cass. Sez. I, 24 gennaio 2006, Bova, in
Dir. pen. proc., 2006, p. 614 s.; Cass. sez. I, 11 maggio 2006, Brusaferri, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 1633 s., con nota di
Risicato; Cass. Sez. I, 24 febbraio 2010, Negro, in CED Cassazione, n. 246396.
[16] Cfr., ad es., Cass. Sez. VI, 16 dicembre 2004, Buglione, in
Cass. pen., 2006, p. 1566; Cass. Sez. I, 11 gennaio 2007, Ferlazzo,
ivi, 2007, p. 1484 s., con nota di
Caputo.
[17] Cfr., a proposito del delitto di pubblicazioni e spettacoli osceni, Cass. Sez. I, 6 ottobre 1971, Battistini, in
Cass. pen. mass. ann., 1972, p. 1925 (pubblicazione di rivista per adulti); Trib. Cagliari, 10 agosto 1987, in
Riv. giur. sarda, 1990, p. 834 s. (proiezione del film Ultimo tango a Parigi).
[18] Cfr. Cass. Sez. IV, 22 febbraio 2006, Sepe, in
CED Cassazione n. 234029, sent. n. 17230/2006 (nella motivazione), relativa tuttavia alla diversa ipotesi del trasferimento di una sostanza dall’elenco degli stupefacenti, richiamato dal reato di cui all’art. 73, co. 1 t.u.l. stup., a quello dei c.d. precursori, cui fa riferimento il meno grave reato di cui all’art. 70, co. 12 t.u.l. stup. (il caso affrontato dalla citata sentenza pone pertanto un problema di applicabilità del quarto, e non già del secondo comma dell’art. 2 c.p.).
[19] Cfr. Cass. Sez. II, 8 ottobre 1975, Marino, in
Cass. pen. mass. ann., 1976, p. 1062.
[20] Cfr. Corte cost., sent. 25 gennaio 2010, n. 28, in
Cass. pen., 2010, 1738; Cass. Sez. III, 30 settembre 2008, n. 41839, in
DeJure (punto n. 4 della motivazione); Trib. Venezia, Sez. dist. Dolo, ord. 20 settembre 2006, M., in
Corr. merito, 2007, p. 225 s., con nota di
Gatta.
[21] Cfr. Cass. Sez. V, 20 marzo 2007, Celotti, in
CED Cassazione, n. 237025, sent. n. 19297/2007; Cass. Sez. V, 18 ottobre 2007, Rizzo, in
CED Cassazione, n. 237547, sent. n. 43076/2007.
[22] Per un esame dei diversi criteri di soluzione del problema della successione di norme “integratrici”, prospettati dalla dottrina, sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 236 s.
[23] In
Cass. pen., 2008, p. 898 s., con nota di
Gambardella.
[24] Casi del tutto analoghi sono stati affrontati dalla giurisprudenza a proposito dei reati di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12, co. 3 t.u. imm.: v.
supra, nota n. 17);
favoreggiamento dell’emigrazione clandestina di cittadini extracomunitari dall’Italia verso l’estero (art. 12, co. 1 t.u. imm.: cfr. Cass. Sez. I, 15 giugno 2007, Afloarei, in
Ced Cassazione, n. 237467, sent. n. 29728/2007);
occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero con permesso scaduto, revocato o annullato (art. 22, co. 12 t.u. imm. Cfr. Trib. Verona, 17 gennaio 2007, S., in
Corr. merito, 2007, p. 610 s. e Trib. Verona, 18 gennaio 2007, N.,
ivi, p. 611 s., entrambe con annotazione di
Gatta.
[25] In
Cass. pen., 2008, p. 3592 s., con nota di
Ambrosetti.
[26] V. le sentenze citate
supra, alla nota n. 22.
[27] In
Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 887 s., con nota di
Gatta, Abolizione dell’amministrazione controllata e abolitio criminis della bancarotta impropria ex art. 236, comma 2, n. 1 legge fallimentare.
[28] Così Cass. S.U., 26 febbraio 2009, Rizzoli, cit., punto 3a della motivazione (corsivi nostri). Ci sembra che la citazione delle S.U. faccia testuale riferimento al nostro lavoro Abolitio criminis
e successione di norme “integratrici”, cit., p. 145.
[29] Cass. S.U., 23 maggio 1987, Tuzet, cit. (v.
supra, nota n. 9).
[30] Per l’adozione di tale criterio v., in dottrina, tra gli altri,
Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, 6a ed., Bologna, 2009, p. 95; Padovani, Diritto penale, 9a ed., Milano, Giuffrè, 2008, p. 43; Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, p. 273 s.
[31] Cass. S. U., 26 marzo 2003, Giordano, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1503 s., con nota di
C. Pecorella.
[32] Cass. S.U., 26 febbraio 2009, Rizzoli, cit., punto 3 della motivazione (corsivo nostro).
[33] Per questa impostazione sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme integratrici, cit., p. 246. V. inoltre, tra gli altri, Marinucci-Dolcini, Corso di diritto penale, 3a ed., Milano, Giuffrè, 2001, p. 273 s. e 280 s.; Gambardella, L’abrogazione della norma incriminatrice, Napoli, Jovene, 2008, p. 262 s.
[34] Cass. S.U., 27 settembre 2007, Magera, cit., punto n. 3 della motivazione (corsivo nostro).
[35] Cass. S.U., 28 febbraio 2008, Niccoli, cit., punto n. 6.2. della motivazione (corsivo nostro).
[36] Cass. S.U., 27 settembre 2007, Magera, cit., punto n. 5 della motivazione (corsivo nostro). Per questa impostazione sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme integratrici, cit., p. 245 s. V. inoltre Marinucci-Dolcini, Corso, cit., p. 273; Id., Manuale di diritto penale. Parte generale, 3a ed., Milano, 2009, p. 90 s.; C. Pecorella, sub art. 2, in Dolcini-Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, 2a ed., Milano, 2006, p. 61 s.; M. Romano, sub art. 2, in Commentario sistematico del codice penale, I, 3a ed., Milano, Giuffrè, 2004, p. 57 s. In giurisprudenza v. ad es. Cass. Sez. II, 2 dicembre 2003, Stellaccio, cit. (v. supra, nota n. 10).
[37] A nostro avviso è quanto si deve affermare per ragioni di coerenza intrasistematica. Sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme integratrici, cit., p. 305 s. V. anche Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, Giuffrè, 1976, p. 314 s. Ritiene invece che la distinzione tra norme integratrici e non integratrici sia decisiva per distinguere l’errore su legge penale dall’errore su legge extrapenale, ma non anche per individuare i casi in cui la modifica di una norma extrapenale può comportare abolitio criminis, Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, cit., p. 243.
[38] Cass. S.U., 27 settembre 2007, Magera, cit., punto n. 4 della motivazione. Per la medesima conclusione sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 831 s.
[39] Ibidem (v. inoltre la parte finale del punto n. 5 della motivazione). Nello stesso senso, in dottrina,
Corbetta, Adesione di Romania e Bulgaria all’UE: quale l’impatto sulle norme incriminatrici della ‘Bossi-Fini’?, in Corr. merito, 2007, p. 333; Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 832 s.
[40] Cass. S.U., 28 febbraio 2008, Niccoli, cit., punto n. 6.8. della motivazione (corsivo nostro).
[41] Ibidem, punto n. 6.5 della motivazione.
[42] Sia consentito il rinvio a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 920 s.
[43] Cass. S.U., 28 febbraio 2008, Niccoli, cit., punto n. 6.9. della motivazione
[44]In altra sede (
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 923) abbiamo avuto occasione di osservare in senso contrario come, a nostro parere, l’art. 150 d.lgs. n. 5/2006 non costituisca una disposizione che riguarda la successione di leggi penali: il principio della retroattività della lex mitior può subire deroghe, purché ragionevoli, a condizione però – questo è il punto – che il legislatore vi provveda in modo espresso e univoco. Non ci sembra questo il caso (in tal senso v. Cass. Sez. V, 18 ottobre 2007, Rizzo, cit.).
[45] Cass. Sez. I, ord. 25 novembre 2008, n. 3578 (n° di deposito: 150/2009), inedita.
[46] Per questa impostazione ci permettiamo di rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 26 s. e 277. V. anche Marinucci-Dolcini, Corso, cit., p. 275.
[47] Cfr. Cass. S.U., 27 settembre 2007, Magera, cit., punto n. 6 della motivazione (corsivo nostro).
[48] Cass. Sez. I, 9 marzo 2005, Screti, cit. (v.
supra, nota n. 5).
[49] Cfr. ad es. F.
Mantovani, Diritto penale, 6a ed., Padova, Cedam, 2009, p. 85; Pulitanò, Diritto penale, 2a ed., Torino, Giappichelli, 2007, p. 687.
[50] Sia consentito rinviare a
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 425 s. e 475 s. Nello stesso senso v. Marinucci-Dolcini, Manuale, cit., p. 91.
[51] E’ la tesi di fondo da noi sostenuta e sviluppata in un lavoro monografico più volte citato, al quale ci permettiamo ancora una volta di rinviare il paziente lettore:
Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 44 s.