ISSN 2039-1676


4 febbraio 2013 |

Colpa medica e art. 3, co. 1 d.l. n. 158/2012: affermata dalla Cassazione l'abolitio criminis (parziale) per i reati commessi con colpa lieve

Considerazioni a margine di Cass. Pen., Sez. IV, ud. 29 gennaio 2013, Pres. Brusco, Rel. Blaiotta, ric. Cantore (informazione provvisoria)

1. E' dei giorni scorsi la notizia di una rilevantissima decisione della Corte di Cassazione, in tema di colpa medica, che è opportuno segnalare sin d'ora ai lettori, in attesa del deposito della motivazione. La S.C. si è in particolare pronunciata - a quanto pare per la prima volta - in merito alla recente disposizione, introdotta dal 'decreto sanità', ai sensi della quale "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve". In tali casi, "resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo" (art. 3, co. 1 d.l. 13 settembre 2012, n. 158, conv., con modif., in l. 8 novembre 2012, n. 189)[1].

In base a questa inedita disposizione, ferma la responsabilità civile ex art. 2043 c.c., il medico che nello svolgimento della propria attività abbia rispettato le linee guida e le best practices potrà rispondere dei reati colposi eventualmente commessi - omicidio e lesioni personali in primis - solo per colpa grave, mentre non sarà punibile se ha agito con colpa lieve. In particolare, la colpa grave sarà configurabile nell'ipotesi in cui il medico non si sia discostato dalle linee guida e dalle best practices, quando lo imponeva la peculiare situazione clinica del malato; quando, cioè, la necessità di discostarsi da linee guida e best practices era macroscopica, immediatamente riconoscibile da qualunque altro sanitario al posto dell'imputato.

 

2. Dall'informazione provvisoria resa pubblica dalla Quarta Sezione si apprende che la questione esaminata all'udienza del 30 gennaio 2013 è di diritto intertemporale: se la disposizione di cui si tratta "abbia determinato la parziale abrogazione delle fattispecie colpose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie". La soluzione della S.C. è affermativa: "la nuova normativa ha parzialmente decriminalizzato le fattispecie colpose in questione, con conseguente applicazione dell'art. 2 c.p. L'innovazione esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve, che si collochino all'interno dell'area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica".

Sappiamo altresì, sempre dalla notizia di decisione, che in applicazione dell'indicato principio "è stata annullata con rinvio la condanna per omicidio colposo nei confronti di un chirurgo che, nell'esecuzione di un intervento di ernia discale recidivante, aveva leso vasi sanguigni con conseguente emorragia letale. Al giudice di merito è stato chiesto di riesaminare il caso per determinare se esistano linee guida o pratiche mediche accreditate afferenti all'esecuzione dell'atto chirurgico in questione; se l'intervento eseguito si sia mosso entro i confini segnati da tali direttive e, nell'affermativa, se nell'esecuzione dell'atto chirurgico vi sia stata colpa lieve o grave".

 

3. Ci sia consentito svolgere qualche considerazione a margine della decisione qui segnalata, in attesa del deposito della motivazione.

Diciamo subito che, a nostro avviso, la questione venuta in rilievo si inquadra nella più ampia problematica della successione di norme "integratrici" della legge penale (o modificazioni "mediate" della fattispecie penale, o successione di leggi extrapenali), che richiede di stabilire se l'abolitio criminis possa conseguire dalla modifica di norme in vario modo richiamate dalla norma incriminatrice: attraverso elementi normativi, norme chiamate a riempire un precetto in tutto o in parte in bianco, norme definitorie.

Una tesi da tempo sostenuta in dottrina (tra gli altri, da D. Pulitanò, M. Romano, G. Marinucci e E. Dolcini), sviluppata da chi scrive in un lavoro monografico edito nel 2008[2], e accolta negli ultimi anni dalle Sezioni Unite della Cassazione[3], propone di risolvere il problema alla stregua di un criterio strutturale, che mette al centro dell'indagine la fattispecie legale astratta, in quanto criterio di selezione e de-selezione dei fatti penalmente rilevanti, nonché la - possibile e necessaria - distinzione tra norme integratrici e non integratrici. Solo la modifica delle vere e proprie norme integratrici - cioè delle norme che, in via generale e astratta, contribuiscono a descrivere un precetto penale in tutto o in parte incompleto - incide sulla fisionomia della fattispecie legale, potendo così comportare abolitio criminis. Si tratta delle norme che definiscono concetti impiegati nella descrizione della fattispecie (norme definitorie), e delle norme chiamate a colorare un precetto in tutto o in parte in bianco. La modifica delle norme richiamate dagli elementi normativi della fattispecie, invece, non comporta abolitio criminis: quelle norme infatti non sono integratrici, poiché gli elementi o concetti normativi (si pensi al paradigmatico esempio dell'altruità' della cosa nei delitti contro il patrimonio) hanno un significato e una funzione autonoma rispetto alle norme richiamate (nell'esempio, le disposizioni civilistiche sui modi di acquisto della proprietà).

Ciò premesso, a me pare che nel caso esaminato dalla sentenza qui segnalata venga in rilievo la modifica di una norma definitoria e che, pertanto, la soluzione favorevole all'abolitio criminis sia coerente il criterio strutturale di cui si è detto.

Limitatamente ai reati colposi commessi nell'esercizio della propria attività dall'esercente la professione sanitaria, che si sia attenuto a linee guida e best practices, la nuova disposizione concorre infatti oggi con l'art. 43 c.p. a definire il concetto di 'colpa' penalmente rilevante. Quando ricorre l'anzidetta situazione, infatti, l'interprete deve ricavare la nozione di 'colpa' - nel caso di specie, in relazione alla norma sull'omicidio colposo - dal combinato disposto degli artt. 43 c.p. e 3, co. 1 d.l. n. 158/2012, cit.; combinato disposto dal quale risulta che, in quella data situazione, e solo in quella, "colpa" non significa "colpa lieve" (e significa dunque colpa grave). Siamo dunque in presenza di una nuova norma definitoria[4] e, pertanto, di una vera e propria norma integratrice della legge penale; di una norma, cioè, che contribuisce a descrivere la fattispecie legale astratta - il tipo di fatto penalmente rilevante[5].

Dal punto di vista formale, la nuova definizione ritaglia, nell'ambito dei reati colposi, sotto-fattispecie speciali che, nella situazione considerata (medico che, nella propria attività, osserva linee guida e best practices), attribuiscono (rectius: continuano ad attribuire) rilevanza penale ai soli fatti commessi con colpa grave; dal confronto strutturale tra le sotto-fattispecie risultanti prima e dopo la novella legislativa risulta come le nuove sotto-fattispecie abbiano un ambito di applicazione più circoscritto, che esclude la rilevanza penale in relazione ai fatti commessi con colpa lieve; l'esito, in relazione a quei fatti, è pertanto di abolitio criminis, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, co. 2 c.p.

Dal punto di vista sostanziale, d'altra parte, va osservato come, introducendo la disposizione di cui si tratta, il legislatore ha compiuto una precisa scelta politico-criminale: sanzionare penalmente l'illecito colposo del medico, nella ricordata situazione, limitatamente ai casi di colpa grave. E il riflesso di questa scelta non può che essere quello di rinunciare alla rilevanza penale del fatto nelle ipotesi di colpa lieve, che risultano pertanto oggi prive di disvalore penale (in ragione, forse, dell'affidamento che il medico, pur a torto, ha riposto nelle linee guida e nelle best practices accreditate nella comunità scientifica), e, come si è detto, sanzionate solo civilmente.

 

4. Ben diversi dal caso oggi affrontato dalla Cassazione sono quelli in cui a venire in rilievo è la modifica non già della nozione legale di 'colpa', bensì di questa o quella regola cautelare (ad es., nella circolazione stradale, della regola sul senso di marcia, sui limiti di velocità, sulla precedenza, sulla svolta a sinistra in un incrocio stradale, etc.). In quei diversi casi[6], affrontati a partire dagli anni '60, la S.C. ha sempre escluso l'abolitio criminis, e, a mio avviso, lo ha fatto a ragione, poiché si trattava della modifica di norme richiamate da elementi normativi impiegati nella definizione legale di 'colpa' ('leggi', regolamenti', 'ordini', 'discipline'), e non già, come nell'odierno caso, della modifica della definizione legale di colpa, cioè della struttura stessa della colpa, sia pure limitatamente ad alcuni reati colposi, in determinate ipotesi. E non può farsi a meno di osservare come la limitazione della responsabilità ai casi di colpa grave abbia rappresentato in passato un caso di scuola cui la dottrina è ricorsa per evidenziare la differenza tra le ipotesi considerate. Sia consentito citare testualmente quel che abbiamo scritto nella citata monografia[7], riprendendo e sviluppando un esempio di Marinucci e Dolcini[8]: "una parziale abolizione di questo o quel reato colposo (ad es., dell'omicidio) - e, quindi, una modifica della relativa fisionomia - si verificherebbe (...) se il legislatore richiedesse in relazione allo stesso reato non più la 'colpa', ma la 'colpa grave' (...): a seguito di questa scelta politico-criminale perderebbero rilevanza penale, in base all'art. 2, co. 2 c.p., i fatti (ad es., di omicidio) antecedentemente commessi sì per colpa, ma non per colpa grave".

 

5. Una notazione finale: l'importanza della sentenza segnalata è ancora maggiore se si pensa all'impatto che può avere sulle innumerevoli sentenze definitive di condanna, in particolare per omicidio o lesioni personali colpose, pronunciate nei confronti di medici. Se il principio affermato dalla Cassazione dovesse trovare accoglimento presso i giudici dell'esecuzione, quelle sentenze dovrebbero essere revocate. La revocabilità, d'altra parte, sarebbe condizionata dai poteri riconosciuti dal sistema al giudice dell'esecuzione, che sono notoriamente ben diversi da quelli del giudice di cognizione. In particolare, qualora dalla sentenza di condanna non dovesse emergere l'esistenza di linee guida o best practices, seguite dal medico, alla revoca del giudicato osterebbe il principio, presente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui al giudice dell'esecuzione sarebbe preclusa una rivalutazione di merito del compendio probatorio[9].

 

 


[1] In proposito v., in questa Rivista, le considerazioni a caldo di Francesco Viganò, nella scheda di segnalazione della sentenza, nonché il successivo contributo di approfondimento di Paolo Piras.

[2] Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici": teoria e prassi, Milano, 2008.

[3] Cfr. in particolare Cass., S.U., 27.9.2007, Magera, in Cass. pen., 2008, p. 898 s., con nota di Gambardella. In proposito v., anche per riferimenti ad ulteriori sentenze, Gatta, Abolitio criminis e successione di norme integratrici nella recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in questa Rivista, 15 ottobre 2010.

[4] Formulata in negativo: per "colpa", sempre e solo nella predetta situazione, non si intende la colpa lieve e, pertanto, si intende la colpa non lieve, cioè grave. La formulazione di norme definitorie in negativo, nel diritto penale, non è una novità. Si pensi ad es., in relazione alle incriminazioni in materia di rifiuti, alle disposizioni del t.u. ambientale che concorrono a definire il concetto di 'rifiuto' stabilendo ciò che non è, per l'appunto, un rifiuto (ad es., il sottoprodotto di cui all'art. 184 bis d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ai sensi del quale "è un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'art. 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfi tutte le seguenti condizioni...").

[5] Sulle norme definitorie come vere e proprie norme integratrici v. Gatta, op. cit., pp. 82 s., e gli Autori ivi citati (Pulitanò, M. Romano, P. Siracusano, Marinucci, Dolcini, Risicato). In giurisprudenza v. ad es. Cass., S.U., 27 settembre 2007, Magera, in Cass. pen., 2008, p. 898 s., con nota di Gambardella.

[6] Per una rassegna v. Gatta, op. cit., p. 788 s.

[7] Gatta, op. cit., p. 801.

[8] Marinucci, Dolcini, Corso di diritto penale, III ed., Milano, 2001, p. 275.

[9] Cfr. ad es. Cass., Sez. V, 15.6.2006, n. 26343, Terzoli, CED 235322; Cass., Sez. I, 5.7.2005, n. 23700, Maiello, CED 232002.