ISSN 2039-1676


27 aprile 2011 |

La colpa medica: non solo linee guida

Nota a Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2010 (dep. 2 marzo 2011), n. 8254

1. Siamo medici o ragionieri? E’ questa la domanda che ha agitato le corsie ospedaliere, e non solo, al diffondersi mediatico della pubblicazione della sentenza.
 
Riassumiamo brevemente il caso. Un paziente viene ricoverato d’urgenza in ospedale e sottoposto a intervento di angioplastica coronarica perché colpito da infarto acuto del miocardio. Dopo cinque giorni viene trasferito dal reparto di terapia intensiva, dove era stato ricoverato, a quello di cardiologia. Stabilizzatosi il quadro clinico, il paziente viene dimesso dopo altri quattro giorni di degenza. A poche ore dal rientro a casa, è colto da insufficienza respiratoria. Trasportato in ospedale, vi giunge in arresto cardiocircolatorio. Con autopsia si accerta che la causa della morte è stata uno scompenso cardiaco.
 
Si procede penalmente per omicidio colposo contro il medico che ha dimesso il paziente. Viene svolta perizia, dalla quale risulta la conformità della condotta del medico a linee guida che prevedono le dimissioni del paziente, allorché si sia raggiunta la stabilizzazione del quadro clinico. Il giudice di primo grado condanna, ritenendo che nel caso di specie vi erano ragioni per discostarsi dalle linee guida: l’anamnesi, la severità dell’infarto, l’elevato rischio di recidiva.
 
La corte d’appello assolve perché il fatto non costituisce reato. Condivide il principio espresso dal giudice di primo grado, secondo il quale il rispetto delle linee guida non esime automaticamente da responsabilità. Ritiene tuttavia che nel caso di specie non vi fossero ragioni al di fuori della norma per allontanarsi dalle linee guida: i markers di necrosi cardiaca erano negativi, il paziente era asintomatico da giorni e compensato.
 
La Cassazione annulla con rinvio. Tenendo in primo piano il diritto costituzionale del paziente alla cura, asserisce che il medico deve perseguire un unico fine: la cura del malato mediante l’uso dei presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica. Da ciò la cassazione fa derivare una conseguenza: non esime da colpa il medico il rispetto di linee guida che antepongono ragioni economiche a ragioni di tutela della salute e che siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente. Rileva la mancata acquisizione nel giudizio di merito delle linee guida interessate e pone quindi per il giudice del rinvio l’esigenza di verificare la natura delle interessate linee guida. Condivide poi il principio già posto nelle sentenze di merito, per il quale il rispetto delle linee guida non esclude la colpa, se un particolare quadro clinico impone di discostarsene. Ritiene che la sentenza d’appello non abbia approfondito la complessiva condizione del paziente e impone al giudice del rinvio un tale approfondimento.
 
 
2. Le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche. E’ questa la definizione, spesso richiamata, dell’Institute of Medecine statunitense. Le linee guida si distinguono dai protocolli, perché più dettagliati e quindi dotati di maggiore intensità precettiva.
 
Sia le linee guida che i protocolli vengono utilizzati in giurisprudenza quali fonti di regole cautelari. In applicazione delle linee guida, ad es., si è esclusa la colpa non ponendo esse l’obbligo di accertamenti radiografici su un paziente che presentava un trauma cranico minore, poi evolutosi mortalmente (Cass. Sez. IV, ud. 8 giugno 06, dep. 14 luglio 06, n. 24400); si è asserita la colpa per la troppo drastica riduzione di un neurolettico ad un paziente psichiatrico, con successivo scompenso e omicidio di un terzo commesso dal paziente (Cass. Sez. IV, ud. 14 novembre 07, dep. 11 marzo 08, n. 10795).
 
L’innegabile vantaggio delle linee guida è quello di dare determinatezza alla fattispecie colposa, la cui condotta tipica è in definitiva interamente racchiusa nella regola cautelare. Le linee guida recuperano quella determinatezza che invece viene sacrificata individuando la regola cautelare con un altro criterio, spesso utilizzato in giurisprudenza: l’agente modello, nel settore che qui interessa, il medico modello. Criterio alquanto vago, che si piega ad essere utilizzato sia in senso colpevolista che innocentista. Una maschera sul volto del giudice. Applicando questo criterio, talvolta solo dalla lettura della sentenza il medico imputato apprende come si sarebbe dovuto comportare. E’ la sentenza che crea la tipicità della condotta, anziché una fonte esterna alla fattispecie incriminatrice e preesistente ad essa.
 
Grazie alle linee guida è invece dato conoscere, prima della commissione del fatto, ciò che può essere penalmente sanzionato, cioè una condotta, attiva od omissiva, difforme da esse. Con le linee guida la condotta non si qualifica colposa perché negligente, imprudente o imperita, cioè non colpa generica, ma specifica, per inosservanza di “discipline”, ex art. 43 alinea III c.p., potendo le linee guida essere inquadrate in tale accogliente termine normativo.
 
Presentano però svantaggi, che inducono perplessità al loro uso quale criterio di ascrizione del fatto colposo. Svantaggi che si riducono fondamentalmente a due: a) l’elaborazione delle linee guida tiene talvolta conto anche di esigenze di contenimento di spesa, cioè economiche, che sono estranee alla salute del paziente, che è però il bene penalmente protetto, in riferimento al quale deve avvenire l’individuazione della regola cautelare; b) le linee guida possono fungere da scudo di medicina difensiva, nel senso che, cullando l’idea dell’impunità, il medico è indotto ad attenervisi sempre e comunque, anche quando il caso concreto è peculiare e impone un diverso trattamento terapeutico rispetto a quello in esse previsto. 
 
 
3. La sentenza qui in commento mette a nudo proprio questi due inconvenienti. Paralizza il rilevato inconveniente dei calcoli economici che talvolta entrano in gioco nell’elaborazione delle linee guida. Traspare infatti il principio per il quale non esclude la colpa medica il rispetto di linee guida che antepongono ragioni economiche a ragioni di tutela della salute e che siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente. E’ questo l’aspetto che maggiormente ha creato preoccupazione fra i medici, a seguito del risalto che è stato dato alla sentenza dai mezzi d’informazione. Parrebbe porsi a carico del medico una valutazione che esula dalle sue competenze professionali e involgente anche la natura economica delle linee guida, oltre che quella medica, senza che la prima possa essere anteposta alla seconda e quindi prevalere. Vengono così scosse le fondamenta del faro di orientamento della condotta medica rappresentato appunto dalle linee guida. Un faro che potrebbe proiettare una luce fallace. Con riemersione della spettrale figura del medico modello. Tuttavia appare più che altro teorica l’ipotesi di linee guida nelle quali le esigenze economiche prevalgono su quelle mediche, soprattutto per le linee guida elaborate dalle società scientifiche. Non solo: le linee guida del caso di specie non sono state disapplicate per quel motivo, neppure risultano ancora acquisite al processo e la valutazione sulla loro natura è ancora aperta nel giudizio di rinvio.
 
La sentenza in commento frantuma poi lo scudo di medicina difensiva delle linee guida male usate e pone il principio del necessario allontanamento da esse, qualora il particolare quadro clinico lo imponga. In tal caso il medico non si può barricare dietro le linee guida. Si tratta di un principio non nuovo, peraltro richiamato nelle sentenze di merito dello stesso processo. Principio del tutto condivisibile sul piano giuridico, solo che si consideri che le linee guida hanno fondamento statistico, hanno il carattere della generalità e sono quindi smentibili dal quadro clinico concreto. E ciò avviene tutt’altro che infrequentemente (ad es., pazienti diabetici, ai quali, per altre patologie, certi farmaci non vanno somministrati perché contenenti glucosio). D’altra parte l’obbligo di allontanamento in certi casi dalla regola cautelare non è peculiare al diritto penale della medicina. Si pensi alle c.d. manovre di emergenza nella circolazione stradale, ad es., si deve procedere sulla destra, ma se un bambino improvvisamente invade la strada appresso ad un pallone, ci si deve spostare sulla sinistra. L’osservanza della regola cautelare non è infatti fine a sé stessa, ma è strumentale alla tutela di un bene: se in un certo caso l’osservanza sacrifica quel bene, ben venga l’inosservanza, che risulta invece funzionale alla tutela.
 
L’applicazione delle linee guida non è un fine, ma uno strumento. La loro rigida applicazione è spesso vissuta con insofferenza dai medici, che reputano l’inflessibilità una etero limitazione della loro competenza professionale. A fronte di quadri clinici che potrebbero non tollerare incasellamenti. Il paziente non è una malattia, ma un malato.