ISSN 2039-1676


19 settembre 2013 |

Al di là  delle linee guida e delle buone pratiche: una revoca di sentenza "praeter-Balduzzi"

Tribunale di Trento, 7 giu. (8 giu. 13) n. 133, Molinari, est. Ancona

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1. Il caso e i motivi della condanna

Un ragazzo di sedici anni riporta un trauma all'anca e al bacino in un incidente sciistico e viene ricoverato in un reparto di ortopedia. Dall'esame radiografico non emergono fratture. Il paziente manifesta anche febbre, tachicardia, elevato numero di globuli bianchi ed elevata proteina C reattiva e gli si somministra terapia antifebbrile. Viene dimesso il giorno dopo con prescrizione di antinfiammatorio per lenire i dolori da trauma. Dopo tre giorni, non cessando la sintomatologia algica, viene nuovamente ricoverato in ortopedia. La febbre è cessata, ma il paziente è agitato e in più si rileva una piastrinopenia. Viene trattato con sedativi e analgesici. Il giorno successivo viene dimesso, con diagnosi di trauma e di disagio psichico e ancora con prescrizione di antinfiammatori per lenire i dolori. Dopo tre giorni viene di nuovo ricoverato con un quadro gravissimo: perdita di coscienza e perdita di sangue dalla bocca. Muore per un'emorragia gastro-intestinale acuta. Si accerta in giudizio che il quadro sintomatologico era da ricondurre ad una risposta infiammatoria sistemica (s.i.r.s.: severe infiammatory response sindrome), già presente fin dal primo ricovero e che la mortale emorragia era dovuta alla piastrinopenia e alla contemporanea somministrazione di antinfiammatori, agenti quali concausa.

Il medico viene condannato; la sua colpa viene individuata nell'avere omesso di interessare del caso, a fini diagnostici, altri medici di diversa specializzazione, essendo lui ortopedico e a fronte di un quadro estraneo alla sua sfera di specializzazione.

La condanna viene confermata in appello, e il ricorso in Cassazione viene rigettato, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza.

 

2. La revoca della condanna

Lo stesso giudice che in primo grado ha pronunciato condanna, ne dispone ora la revoca ex art. 673 c.p.p., applicando la legge Balduzzi.

Questa legge, com'è noto, all'art. 3 I co. prevede che "L'esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve".

Come ormai fuori discussione sia in giurisprudenza[1] sia in dottrina[2], la Balduzzi ha comportato un'abolitio criminis parziale della colpa medica, con riguardo appunto all'ipotesi dalla stessa legge prevista. E' quindi possibile, ottenere la revoca della condanna, semprechè ovviamente siano presenti i relativi presupposti di legge.

Quei presupposti sono: a) l'esistenza di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; b) l'essersi l'operatore sanitario attenuto a tali linee guida e buone pratiche, nonostante non dovesse attenersi per la particolarità del quadro clinico; c) la colpa lieve nel non attenersi.

Nel provvedimento qui annotato quei presupposti vengono ritenuti sussistenti, affermandosi che "dalla lettura della sentenza di condanna non emerge in nessun luogo che le linee guida siano state violate; ma solo perché è sempre stato del tutto pacifico che esse vennero rispettate", che "l'imputato avrebbe dovuto andare al fuori da tali schemi" e che "l'ospedale di Cavalese non disponeva di un reparto per la terapia e per la stessa diagnosi di malattie quale quella poi la riconosciuta, la s.i.r.s. e che la vicenda era oscura e problematica".

 

3. Critica

La decisione qui adottata si espone a qualche rilievo critico.

Si tratta, in sostanza e né più né meno, di un caso alquanto frequente: colpa per omesso approfondimento del quadro clinico. Casi sui quali la giurisprudenza si è pronunciata innumerevoli volte[3]. Il principio giurisprudenziale al riguardo è: "In tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi."[4].

Nell'anno in corso la Cassazione ha ribadito il principio più volte. Ad es., in due casi di dissecazione aortica non indagata, una volta escluso che si trattava di infarto[5] e in un altro di infezione da puntura di zecca, con quadro non indagato in direzione infettiva[6].

La colpa inoltre appare ancora più evidente quando, come si dice in gergo clinico, si sporca il quadro, mediante la somministrazione di un farmaco che può mascherare i sintomi o comunque alterarli, rendendo così ancora più difficile la diagnosi[7]. Ciò che parrebbe essere avvenuto anche nel caso della sentenza, per la somministrazione, a quadro non approfondito, di farmaci analgesici, che limitano sì il dolore, ma insieme al dolore limitano anche le speranze di giungere ad una diagnosi corretta.

Le pronunce giurisprudenziali citate, essendo recentissime, sono quindi tutte state adottate dopo l'entrata in vigore della legge Balduzzi e senza porsi il quesito dell'applicabilità della stessa. E questo è avvenuto correttamente.

Invero l'applicabilità della Balduzzi in casi come questi pare davvero preclusa, per l'assenza dei relativi presupposti.

In primo luogo le linee guida e le buone pratiche interessate devono essere individuate con precisione.

Pare invero non sufficiente, per l'applicazione della legge, asserire, come nella sentenza annotata, che nel giudizio è sempre stato del tutto pacifico che i detti parametri siano stati rispettati, senza indicarli con precisione. Questa indicazione risulta fondamentale per la verifica che si tratti di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, come dalla legge richiesto.

Non va inoltre sottaciuto che tali parametri in taluni settori sono propri mancanti. Ne è recente testimone una nota attrice americana: per la mastectomia preventiva non esistono linee guida.

Nel caso della sentenza annotata il compito appare davvero improbo: non sembrano neanche teoricamente ipotizzabili linee guida o buone pratiche che raccomandino di somministrare un antinfiammatorio senza avere precedentemente indagato a fondo un quadro infettivo. Una tale pratica, sia detto senza alcuna ironia, non appare di certo "buona", come richiede la legge. Nè appare tantomeno accreditata dalla comunità scientifica. E ciò a prescindere dalle dimensioni della struttura ospedaliera, in quanto rientra nel patrimonio conoscitivo di qualunque medico, la regola per la quale bisogna chiamare un collega che ne sappia di più, quando non si riesce ad interpretare il quadro.

Inoltre la pratica richiesta dalla legge, per poter assumere rilevanza, dovrebbe consistere in un uso diffuso e generalizzato, non quindi in una c.d. tradizione di reparto[8], come invece pare risultare dalla sentenza.

Infine, la giurisprudenza della Cassazione con la prima sentenza che espressamente si è occupata della Balduzzi, ha posto un ulteriore limite di applicabilità della legge: la colpa deve consistere in imperizia, non quindi in negligenza o imprudenza[9].

Nel caso della sentenza pare proprio doversi parlare di negligenza: non si riesce ad interpretare il quadro clinico e non si interessano altri che sanno interpretarlo.

La regola cautelare, inoltre, anche al di fuori dell'attività medica e in termini generali, dovrebbe essere la seguente: deve chiedere aiuto ad altri colui che non riesce a comprendere la natura della situazione pericolosa che si trova a fronteggiare.

La colpa appare davvero indiscutibile, nei casi di omesso approfondimento diagnostico, a fronte di un quadro che non si sa interpretare.

Estendere l'applicazione della Balduzzi a questi casi, significa andare oltre la legge, con l'ipotizzabile revocabilità di tutte quelle condanne basate invece sul principio che si è esposto. Andare oltre ciò che ha voluto il legislatore, la cui intenzione è stata dichiaratamente quella di porre il medico al riparo di rivendicazioni giudiziarie, quando ha agito attenendosi a linee guida[10].

Una giurisprudenza più realista del re e che potrebbe essere definita: "praeter-Balduzzi".


[1] Cass. IV, 29 gennaio (9 aprile 2013) n. 16237, Cantore, est. Blaiotta, in questa Rivista, con scheda di Viganò (Linee guida, sapere scientifico e responsabilità del medico in una importante sentenza della Cassazione) e note di Gatta (Colpa medica e art. 3, co. 1 d.l. n. 158/2012: affermata dalla Cassazione l'abolitio criminis (parziale) per i reati commessi con colpa lieve), Pulitanò (Responsabilità medica: letture e valutazioni divergenti del novum legislativo), Cupelli (I limiti di una codificazione terapeutica. A proposito di colpa grave del medico e linee guida) e Roiati (Il ruolo del sapere scientifico e l'individuazione della colpa lieve nel cono d'ombra della prescrizione).

[2] Gatta, Colpa medica e art. 3, co. 1 d.l. n. 158/2012: affermata dalla Cassazione l'abolitio criminis (parziale) per i reati commessi con colpa lieve, in questa Rivista.

[3] Ex plurimis: Cass. IV, 7 luglio (20 agosto 2010) n. 32175, Casetti, est. Marzano in Giunta e altri, Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità, E.S.I., 2011; v. inoltre le sentenze citate a p. 150 e ss.

[4] Cass. IV, 14 febbraio (22 marzo 2013) n. 13542, Caracciolo, est. Montagni; Cass. IV, 4 dicembre 2012 (7 marzo 2013) n. 10615, Perrotta, est. Izzo, inedite

[5] V. le sentenze citate alla nota precedente.

[6] Cass. IV, 10 gennaio (22 aprile 2013) n. 18301, Caimi, est. Dovere, inedita

[7] Cass. IV, 14 febbraio (24 aprile 2013) n. 18573, Meloni, est. Grasso, inedita

[8] Sul punto v. Giunta, Medico (Responsabilità penale del) in Dizionario sistematico di diritto penale, Milano, 2008, 880 e ss.

[9] Cass. pen., Sez. IV, 24 gennaio (marzo 2013), n. 11493, Pagano, est. Piccialli, in questa Rivista

[10] Che questa sia stata l'intenzione del legislatore è fuori discussione. V. http://www.fimmgveneto.org/reader.php?id=1643