ISSN 2039-1676


16 gennaio 2017 |

Alle porte la nuova responsabilità penale degli operatori sanitari. Buoni propositi, facili entusiasmi, prime perplessità

Approvato al Senato il ddl Gelli-Bianco (AS 2224), a breve la seconda lettura (definitiva) della Camera

Contributo pubblicato nel Fascicolo 1/2017

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1. Con l’approvazione da parte dell’Aula del Senato, nella seduta dello scorso 11 gennaio, del disegno di legge Gelli-Bianco (A.S. 2224), recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, si avvicina a compimento, a poco più di quattro anni dal precedente intervento legislativo, il percorso di (ulteriore) riforma della responsabilità penale degli operatori sanitari. Il passaggio finale, ottimisticamente pronosticato in tempi rapidi nelle prime dichiarazioni di esponenti politici della maggioranza (entro il mese di febbraio), è rappresentato dalla seconda lettura da parte della Camera dei Deputati, che peraltro aveva già licenziato, seppure in termini differenti, il testo il 28 gennaio del 2016.

Si tratta di un provvedimento di estrema importanza, che affronta vari temi, tra i quali la sicurezza delle cure e del rischio sanitario, la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata, le modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità medica e l'obbligo di assicurazione e l'istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.

 

2. Sul versante penalistico, nell’intento di contrastare il fenomeno della c.d. medicina difensiva, si agisce sui fattori critici emersi dall’applicazione della legge Balduzzi, provando ad assicurare maggiore garanzia e tutela agli operatori sanitari.

Come è noto, infatti, ai sensi dell’art. 3, co. 1 della legge 189 del 2012, la responsabilità del medico che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche può essere affermata solo per colpa grave, quando cioè sia stata disattesa la necessità di discostarsi da tali fonti, nonostante essa, in ragione della peculiare situazione clinica del malato, fosse macroscopica, immediatamente riconoscibile da qualunque altro sanitario al posto dell'imputato.

I risvolti problematici, sostanzialmente ascrivibili alla scelta del legislatore di valorizzare linee guida e virtuose pratiche terapeutiche e di introdurre, per la prima volta nell'ambito della disciplina penale dell'imputazione soggettiva, una distinzione tra colpa lieve e colpa grave, si possono condensare:

a) nei limiti delle fonti individuate (linee guida e buone pratiche accreditate) rispetto alla valutazione del comportamento del medico, con riferimento al grado di vincolatività da poter attribuire loro, in considerazione della natura, del livello di affidabilità, dell’idoneità cautelare e della capacità di poter contemplare le molteplici peculiarità e sfumature del caso concreto (tra le quali anche la variabile del consenso informato);

b) nella difficile definizione di un concetto penalmente rilevante di colpa grave, dal momento che una gradazione della colpa appare distante dall’idea storicamente e normativamente unitaria di colpa penale ed è presa in considerazione nel codice penale esclusivamente a fini di commisurazione della pena;

c) nei dubbi di legittimità costituzionale di un’esclusione di responsabilità per colpa lieve per il solo settore sanitario, al cospetto di molte altre attività socialmente utili, particolarmente complesse e potenzialmente pericolose (dubbi fatti propri dal Tribunale di Milano con l’ordinanza 21 marzo 2013[1] ed elusi dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 6 dicembre 2013, n. 295[2]);

d) nelle oscillazioni in merito all’applicabilità del canone della colpa grave esclusivamente a condotte mediche connotate, pur nel rispetto di linee guida e buone pratiche, da imperizia (soluzione maggioritaria in giurisprudenza) ovvero anche da negligenza e imprudenza.

 

3. Il disegno di legge in via di approvazione definitiva muove dal proposito di risolvere tali criticità.

Due i pilastri della riforma:

a) la dettagliata disciplina delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni previste dalle linee guida;

b) l’introduzione nel codice penale di un nuovo articolo, concernente la responsabilità colposa per morte o per lesioni personali in ambito sanitario.

 

4. In una prima versione, approvata alla Camera il 28 gennaio 2016, si prevedeva, all’art. 5, che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche palliative e riabilitative, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate dalle società scientifiche iscritte in apposito elenco, istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità”.

All’art. 6, poi, si introduceva l’art. 590-ter c.p. (“Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”), ai sensi del quale l'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, avesse cagionato a causa di imperizia la morte o la lesione personale della persona assistita, rispondeva dei reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) solo in caso di colpa grave; con l’esplicita esclusione di quest’ultima (sancita al secondo comma) allorquando, fatte salve le rilevanti specificità del caso concreto, fossero state rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida, così come definite e pubblicate dallo stesso disegno di legge.

Schematizzando, i pilastri dell’intervento erano riconducibili:

i) alla (tendenziale) obbligatorietà per gli esercenti la professione sanitaria del rispetto di buone pratiche e raccomandazioni contenute nelle linee guida (tendenziale perché sono fatte salve le specificità del caso concreto);

ii) all’accreditamento – id est: certificazione di attendibilità - di tali fonti, inserite in un apposito elenco e (almeno sulla carta) più facilmente reperibili;

iii) alla limitazione alla sola imperizia dell’innalzamento del grado di colpa punibile;

iv) all’esclusione, per legge, della colpa grave, allorquando – sempre fatte salve le rilevanti specificità del caso concreto - l’esercente la professione sanitaria avesse rispettato “le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge”.

Da una parte, quindi, un consolidamento della formalizzazione delle regole cautelari nel settore medico; dall’altra, la conferma della scelta di una gradazione della colpa, arricchita da una netta presa di posizione sul margine di operatività dell’innalzamento del livello di responsabilità alla colpa grave[3].

 

5. Nel testo emendato dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato e approvato la scorsa settima dall’Aula del Senato sono state apportate significative modifiche.

Anzitutto, all’art. 5 – ferma restando la loro tendenziale obbligatorietà - si sono ulteriormente dettagliate le procedure di accreditamento di linee guida e buone pratiche. Inoltre, mentre nella versione originaria si faceva riferimento, per la loro elaborazione, a società scientifiche iscritte in un apposito elenco, nell’ultima versione il compito è attribuito ad enti e istituzioni pubblici e privati (rispetto ai quali il testo non pone altre specificazioni), nonché alle società scientifiche ed alle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, iscritte in un apposito elenco, istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, aggiornato con cadenza biennale. Si prevede poi che le linee guida siano integrate nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell'Istituto superiore di sanità, previa verifica sia della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto sia della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni.

L’art. 6, come rimodellato dal Senato, aggiunge, al comma 1, un nuovo articolo 590-sexies al codice penale: “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma”, per il quale “qualora l'evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto". Si accompagna, al terzo comma, l’espressa abrogazione dell'art. 3 della legge 189 del 2012.

 

6. Rinviando per un più disteso e meditato commento a un prossimo lavoro in fase di ultimazione, si può osservare, già a primissima lettura, come nella nuova versione – a differenza dell’attuale disciplina – venga meno ogni riferimento al grado della colpa. La punibilità è infatti esclusa per i soli casi in cui siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, come definite e pubblicate ai sensi di legge, e sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto, ovvero, in mancanza di esse, alle buone pratiche clinico-assistenziali (le quali, dunque, rispetto tanto alla legge Balduzzi, quanto alla versione approvata alla Camera, vengono collocate in una posizione suppletiva rispetto alle linee guida), a prescindere dal fatto che si versi in colpa grave o lieve.

Nonostante il superamento delle perplessità sull’affidabilità di tali fonti, attraverso la procedura di accreditamento e validazione riconosciuta dalla stessa legge, spetterà in ogni caso al giudice l’ultima parola, residuando a suo carico il compito di vagliarne l’adeguatezza, in concreto, alle esigenze e alle peculiarità del singolo paziente.

In buona sostanza, ci si riavvicina all’orientamento formatosi in seno alla giurisprudenza penale prima della legge Balduzzi; in particolare, al principio secondo cui non versa in colpa il medico che si attenga a linee guida (e in via subordinata a buone pratiche), sempre che il caso concreto non imponga l’allontanamento da quei parametri. Vi è un riconoscimento – in termini generali ma chiaramente confutabili dalle evidenze del caso concreto – di non punibilità per imperizia, nel rispetto delle raccomandazioni contenute nelle linee guida. Venuto meno, rispetto al testo della Camera, il riferimento alle “rilevanti” specificità – si parla ora, semplicemente, di adeguatezza alle “specificità del caso concreto” – si potrà dunque rispondere anche per colpa lieve, nel caso in cui cioè ci si sia attenuti a tali prescrizioni, allorquando invece occorreva discostarsene in considerazione delle peculiarità anche non rilevanti del caso (interpretazione avallata dal mancato richiamo al grado della colpa).

Rispetto al passato, tuttavia, appare ancora una volta distonico il testuale riferimento, dal sapore restrittivo, al limite dell’imperizia, in aperta controtendenza rispetto alle aperture della più recente giurisprudenza della Cassazione con riferimento al perimetro applicativo della legge Balduzzi[4]. Considerando, poi, il venir meno della gradazione della colpa, la prima impressione è che, ad onta delle reazioni entusiastiche della classe medica, il trattamento risulti meno favorevole – e probabilmente anche meno certo – per la classe medica rispetto alla legge 189 del 2012, risiedendo il fulcro della punibilità, ancor più che in passato, nella valutazione giudiziale di “adeguatezza” delle raccomandazioni osservate alle specificità del caso concreto.

 

[1] Ord. 21 marzo 2013, in questa Rivista, 29 marzo 2013.

[2] Corte cost., ord. 6 dicembre 2013, n. 295, in questa Rivista., 9 dicembre 2013, con nota di G.L. Gatta, Colpa medica e linee-guida: manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto Balduzzi sollevata dal Tribunale di Milano.

[3] Per una prima valutazione del testo approvato in prima lettura alla camera, v., con differenti sfumature critiche, C. Cupelli, La colpa lieve del medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi della riforma alle porte), in questa Rivista, 27 giugno 2016; P. Piras, La riforma della colpa medica nell’approvando legge Gelli-Bianco, ivi, 25 marzo 2016; A. Panti, Il d.d.l. sulla responsabilità professionale del personale sanitario: il punto di vista del medico, in Dir. pen. proc., 2016, p. 374 ss.; G. Ponzanelli, La responsabilità medica: dal primato della giurisprudenza alla disciplina legislativa, in Danno e responsabilità, 2016, p. 816 ss., oltre ai molteplici contributi offerti nell’ambito dell’incontro di studi su “La riforma delle responsabilità sanitarie”, tenutosi l’8 giugno 2016 presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, i cui atti sono in corso di pubblicazione e la cui registrazione integrale – in attesa della pubblicazione degli atti – è reperibile al seguente link: https://youtu.be/H3A6QQj4CwE.

[4] Il riferimento è a quel filone interpretativo che apre all’idea che le linee guida possano anche contenere regole di attenzione e cura rispetto allo svolgimento di determinate attività mediche considerate pericolose e perciò estende anche alle ipotesi di negligenza e imprudenza lo spettro applicativo dell’esenzione di responsabilità prevista all’art. 3, co. 1 della legge 189 del 2012; emblematica, da ultima e per tutte, Cass. Sez. IV, 11 maggio 2016 – giugno 2016, n. 23283, in questa Rivista, 27 giugno 2016.