ISSN 2039-1676


17 gennaio 2014 |

Giudizio esplicativo e giudizio predittivo nella causalità  medica

Nota a Cass. Sez. IV, 31 gennaio (30 maggio) 2013, n. 23339, Giusti, Est. Dovere

 

SOMMARIO: 1. I travasi di giudizio. - 2. Il caso. - 3. La diversità dei giudizi. - 4. La sovrapposizione dei giudizi.

 

1. I travasi di giudizio.

I travasi di giudizio sono sempre esistiti.

E non solo nelle aule giudiziarie. Se riavvolgiamo il nastro della memoria ai tempi della scuola, ricordiamo che chi era bravo in italiano e insufficiente in matematica, a fine anno veniva valutato meno bravo in italiano e sufficiente in matematica. Un'ingiustizia, ma non lamentabile, perché regalava un'estate al mare senza quaderni a quadretti. Il fenomeno non è scomparso, solo che ora il gergo scolastico si è raffinato: anziché di travaso, si parla di "valutazione creativa".

Nel gergo giudiziario, si parla di "legge di compensazione": una nobilitante espressione pseudogiuridica. Con tanto di relativi aforismi, ad es., "poca prova, poca pena": un travaso che in questo caso opera addirittura da un giudizio di diritto processuale a un giudizio di diritto sostanziale.

Nella giurisprudenza penale della medicina il travaso avviene per lo più da colpa a causalità, quando la prima straripa e poi livella il canale della seconda. Basti ricordare quel noto caso di tetano tardivamente diagnosticato ad una puerpera, nonostante un quadro clinico di sintomatologia tipica. La Cassazione affermò che il 30% di probabilità salvifica della terapia omessa era sufficiente per affermare sussistente del rapporto di causalità fra l'omessa terapia e la morte della donna[1].

Si può svelare così la struttura della sentenza: molta colpa + poca causalità = condanna.

Il travaso è, beninteso, un fenomeno tacito: chi giudica non rende esplicita la ragione per la quale lo scarto è stato colmato. Ma si sa che delle sentenze bisogna sapere leggere anche fra le righe, il c.d. bianco della sentenza, quelle parti del foglio A4 non attinte dal getto d'inchiostro della stampante, che tanto dicono.

Succede però che talvolta la Cassazione parli del travaso e in questa evenienza ne parla male, con la scure dello stigma formale sulla sentenza impugnata.

La sentenza che si annota è appunto un caso di travaso svelato.

 

2. Il caso.

Una donna è degente in ospedale perché prossima al parto. Ha le prime contrazioni uterine in tarda serata. Alle 5,05 vengono registrate contrazioni irregolari, inizio dilatativo e rottura spontanea delle membrane con scolo di liquido fortemente tinto. Un quarto d'ora dopo, l'incedere del cupo corteo sintomatologico è illuminato da un dato strumentale: un tracciato cardiotocografico che evidenzia sofferenza fetale. La dilatazione avanza e alle 7,45, rilevata bradicardia, si procede all'estrazione del feto, che è insensibile agli stimoli, in coma. Il progressivo deterioramento delle condizioni cliniche porta, dopo circa due mesi, il neonato a morte, per insufficienza respiratoria con grave compromissione cerebrale: un quadro mortale con origine nel danno ipossico intra partum.

A seguito del giudizio di merito, viene ritenuto penalmente responsabile della morte il ginecologo che aveva in cura la partoriente, per non essere intervenuto con taglio cesareo alle 5,20, ora nella quale l'intervento era dovuto.

La Cassazione annulla con rinvio la condanna. Ritiene carente la sentenza della Corte d'Appello nella descrizione dell'accaduto, descrizione affermata necessaria prima di poter svolgere il giudizio controffattuale. La Corte d'Appello cioè, prima di chiedersi se il tempestivo taglio cesareo avrebbe evitato la morte del nascituro, avrebbe dovuto chiedersi se alle 5,20 le condizioni cliniche del feto non fossero già compromesse. La Cassazione pone in rilievo che il giudice deve prima spiegare che cosa è successo, deve cioè svolgere il c.d. giudizio esplicativo. Dopo spiegato che cosa è successo, il giudice deve chiedersi che cosa sarebbe successo se la condotta doverosa fosse stata tenuta. Solo in un secondo momento deve cioè svolgere il c.d. giudizio predittivo. Evidenzia che la Corte d'Appello non ha spiegato che cosa è successo, perché ha semplicemente affermato che il danno era sicuramente reversibile alle 5,20, senza però indicare i dati probatori a sostegno del giudizio esplicativo, dando invece peso ad un altro aspetto, quello dell'efficacia salvifica dell'omesso taglio cesareo, attinente però al giudizio predittivo.

Perentoria è la penna dell'estensore, sulla diversità e successione logica e cronologica dei giudizi esplicativo e predittivo, vergando: "Si tratta di piani correlati ma distinti; e non sembra ammissibile che i deficit di conoscenza che incidono sul giudizio esplicativo possano essere colmati da una particolare evidenza dell'attitudine salvifica del comportamento doveroso mancato ...".

Si svela così il travaso dall'abbondante botte del giudizio predittivo a quella mezzo vuota del giudizio esplicativo. E coerentemente la Cassazione conclude imponendo al giudice di rinvio una nuova valutazione del compendio probatorio relativo al giudizio esplicativo.

 

3. La diversità dei giudizi.

L'accertamento del rapporto di causalità, secondo la Cassazione, impone quindi due domande: "Che cosa è successo?" e "Che cosa sarebbe successo se si fosse fatto quanto si doveva fare?". La prima domanda va tenuta ben separata dalla seconda e la deve precedere per ragioni logiche. Si tratta in fondo di un'opera di pulizia intellettuale che eseguiamo anche nella vita quotidiana. Se le rose sono appassite, prima di chiedermi che cosa sarebbe successo se le avessi inaffiate, mi devo chiedere se sono appassite perché è mancata l'acqua o perché preda dell'impietoso ragno rosso.

La domanda "Che cosa è successo?" spiega un evento e la sua causa. Da qui l'espressione giudizio esplicativo, usata anche in sentenza. O se si vuole mutuare un aggettivo dalla medicina, si può dire giudizio diagnostico. E' un giudizio di realtà, perché inerisce appunto ad un processo causale realmente verificatosi.

La domanda "Che cosa sarebbe successo se si fosse fatto quanto si doveva fare?" predice un processo causale mai verificatosi, solo ipotizzato. Ha carattere predittivo e quindi si parla appunto, anche in sentenza, di giudizio predittivo. Anche qui, se si vuole mutuare un aggettivo dalla medicina, si può dire giudizio prognostico. Questo è un giudizio di irrealtà, perché inerisce ad un processo causale mai verificatosi, solo ipotizzato[2].

Il giudizio predittivo coincide in toto, secondo quanto risulta dalla sentenza annotata, con il giudizio controffattuale. Muta l'aggettivo che qualifica il giudizio, ma non la sostanza, perché la domanda da porsi è esattamente la stessa. Anziché predittivo, si dice controffattuale, che altro non significa che contro i fatti, contro come i fatti sono realmente avvenuti e accertati con il preliminare giudizio esplicativo. Quando ci si chiede che cosa sarebbe successo se la condotta doverosa fosse stata tenuta, si sta svolgendo appunto un giudizio contro come i fatti realmente avvenuti.

La diversità di giudizi, esplicativo e predittivo, si apprezza bene durante l'esame autoptico. Quando si sta praticando l'incisione giugulo-pubica, ancora non si sa perché il paziente è stato perso. Non ha ancora alcun senso chiedersi che cosa sarebbe successo se il medico avesse, ad es., approfondito il quadro cardiocircolatorio. Che tale approfondimento è stato omesso, già può risultare dalla cartella clinica, che però è per il momento poggiata su un tavolo vicino, ma diverso da quello settorio. Ebbene può accadere che scollati i lembi e sollevato lo scudetto sternale, ci si accorga dell'infarcimento ematico del sacco pericardico, in gergo "focaccia", palese indice di fatale cedimento dei tessuti cardiaci. Solo allora, appurato che si tratta di morte cardiaca, ha senso chiedersi se il mortale cedimento istologico si sarebbe evitato qualora il quadro cardiocircolatorio fosse stato approfondito.

Nella prospettiva della sentenza annotata, il giudizio esplicativo non può che precedere anche la qualificazione della condotta, se commissiva o omissiva. La domanda "Che cosa è successo" risulta la prima in assoluto, da porsi anche a prescindere dalla natura della condotta.

La natura, commissiva o omissiva, della condotta emerge infatti solo dopo che è stato spiegato che cosa è successo. Se ad es., la morte del paziente è avvenuta per una reazione avversa a farmaci o per una lesione emorragica intraoperatoria, viene in rilievo una condotta commissiva. Per dirla in termini medici, è un evento iatrogeno, cioè generato dal medico.

Se invece la morte è avvenuta per infarto del miocardio o per tumore, si può ipotizzare una condotta omissiva[3].

Poi ci si dovrà chiedere che cosa sarebbe successo se la condotta commissiva non fosse stata tenuta o se quella omissiva fosse stata tenuta[4].

La qualificazione della condotta viene così a insinuarsi fra il giudizio esplicativo e quello predittivo, seguendo il primo e precedendo il secondo.

 

4. Sovrapposizione dei giudizi.

In termini astratti la distinzione fra giudizio esplicativo e predittivo appare chiara. Ma l'insidia della sovrapposizione dei giudizi è sempre in agguato ed è facile cascarci[5].

Un recentissimo precedente né è la dimostrazione[6]. E' un caso di embolia polmonare secondaria a trombosi venosa profonda non diagnosticata. Al medico viene addebitato di non avere svolto un ecodoppler teso a svelare la trombosi. Nel giudizio di merito viene assolto, per l'assenza di prova che la trombosi fosse già in atto quando visitò il paziente. E la Cassazione conferma l'assoluzione, motivando che l'esame diagnostico "... non avrebbe evitato il prodursi dell'evento, dal che il fallimento del giudizio controffattuale." Qui i piani del giudizio esplicativo e di quello predittivo vengono sovrapposti: il controffattuale non dovrebbe venire ancora in considerazione, perché è l'esito incerto del giudizio esplicativo che porta all'assoluzione: non si è riusciti ad individuare il momento d'insorgenza della malattia, pecca quindi la ricostruzione dell'accaduto.

Tuttavia in questo precedente la sovrapposizione dei piani non ha mutato la sostanza del giudizio finale che rimane comunque assolutorio. Non c'è travaso. In definitiva si è ritenuto assorbente il giudizio predittivo.

Nel caso annotato i giudici di merito approdano invece alla condanna, con spiegazione dell'accaduto che la Cassazione ha ritenuto carente, senza che alcun ruolo potesse giocare l'elevata percentuale salvifica della condotta omessa, dalla cui botte c'è stato il travaso verso quella del giudizio esplicativo.

Lo stigma è caduto sul travaso.

Stigma condivisibile?

Il fenomeno del travaso fa a pugni con il giudizio penale inteso come forma, ma va nozze con il giudizio penale inteso come sostanza. E s'inquadra nella perenne dialettica fra legalità e disvalore del fatto: il giudizio conforme a legge non sempre copre il disvalore, mentre il giudizio che copre il disvalore non sempre è conforme a legge.

I vini tagliati possono risultare ottimi.

L'ortodossia del giudizio va comunque privilegiata.

 

 

 

 

 

 


[1] Cass. Sez. IV, 12 lug. 91 (17 gen. 92) n. 371, Silvestri e altri, est. Caiazzone, in Foro it., 1992, II, c. 363, con nota di I. Giacona, Sull'accertamento del nesso di causalità tra colposa omissione di terapia da parte del medico e la morte del paziente.

[2] In dottrina sulla distinzione fra i due giudizi v. F. Viganò, Riflessioni sulla c.d. "causalità omissiva" in materia di responsabilità medica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, 1688 e ss.; R. Blaiotta, Causalità giuridica, Torino, 2010, 13 e ss.; R. Bartoli, Il problema della causalità penale, Torino, 2010, 52 e ss.; C. Brusco, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, 81 e ss.

[3] Su questa distinzione v. C. Sale, La condotta medica fra azione e omissione, in questa Rivista, 12 dicembre 2011.

[4] Salva poi la questione, sollevata in dottrina, se tale giudizio deve avere luogo in sede di accertamento della causalità o della colpa. Sul punto F. Viganò, Riflessioni cit., 1679 e ss.

[5] Anche nella Franzese si nota questa sovrapposizione. In argomento v. L. Masera, Il modello causale delle Sezioni Unite e la causalità omissiva, in Dir. pen. e proc., 2006, 495.

[6] Cass. Sez. IV, 2 ott. (10 dic. 13), n. 49738, Silla, est. Izzo, per il testo della sentenza clicca qui.