ISSN 2039-1676


23 dicembre 2014 |

Secondo il Tribunale di Milano la legge Balduzzi ha cambiato le regole: la responsabilità  del medico ospedaliero è extracontrattuale

Trib. Milano, sez. I civ., sentenza n. 9693 del 17 luglio 2014 (pubbl. 23 luglio 2014), est. Patrizio Gattari

Pubblichiamo questa interessante pronuncia della prima sezione civile del Tribunale di Milano in materia di responsabilità del sanitario per danno alla salute del paziente. Nonostante questa sentenza si occupi solo dei profili civilistici della questione - riservando solo un obiter agli aspetti che tanto dibattito hanno suscitato e suscitano tra i penalisti -, essa presenta infatti profili d'interesse anche per il pratico di diritto penale.

Secondo il giudice estensore, l'art. 3 co. 1 della Legge Balduzzi, contenendo un esplicito riferimento all'art. 2043 nel caso in cui il sanitario adegui la sua condotta alle linee guida e nondimeno realizzi un danno alla salute del paziente per colpa lieve[1], esprimerebbe una chiara intenzione del legislatore nel senso di una qualificazione della responsabilità del medico come aquiliana, e non come contrattuale ex art. 1218 c.c.

L'esegesi del Tribunale ambrosiano si pone così controcorrente rispetto all'opinione tradizionalmente sostenuta nella giurisprudenza di legittimità, che - motivata anche da esigenze di ordine pratico quali i termini prescrizionali e la ripartizione dell'onere della prova - qualifica da tempo l'obbligazione risarcitoria del medico nei confronti del paziente come contrattuale, in virtù del "contatto sociale" che s'instaurerebbe tra i due soggetti. Tale indirizzo è stato ribadito anche recentemente dalla Suprema Corte, che ha considerato il riferimento all'art. 2043 c.c. come pleonastico o al massimo preordinato a precisare che, anche nei casi in cui la responsabilità del sanitario per colpa lieve è esclusa, quella civile rimane comunque ferma.

Nella ricostruzione prospettata dalla prima sezione del Tribunale di Milano, invece, il riferimento all'art. 2043 c.c. non è affatto privo di utilità, ma unitamente al co. 3 dell'art. 3 della l. Balduzzi - che per quanto riguarda i parametri di liquidazione del danno biologico, rinvia alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass., che si riferiscono agli illeciti extracontrattuali - testimonia la volontà del legislatore di restringere e limitare la responsabilità anche risarcitoria derivante dall'esercizio delle professioni sanitarie, al fine di scongiurare il fenomeno della medicina c.d. difensiva. Questa mutata prospettiva non impedisce però all'attività medico-chirurgica di dar luogo anche a forme di responsabilità contrattuale, in particolare tra medico e paziente, quando un contratto tra i due sussista effettivamente, ovvero tra la struttura di ricovero e il paziente, in virtù del c.d. contratto di spedalità o della legge istitutiva del S.S.N. Pertanto, proprio nei confronti della struttura sanitaria, responsabile ex art. 1218 c.c. e sicuramente economicamente più capiente del sanitario, sarà possibile per il paziente agire e ottenere ristoro per il danno subito secondo gli schemi della responsabilità da contratto, che sono certamente più agevoli per la parte creditrice rispetto a quelli della responsabilità da illecito.

Affermare la natura extracontrattuale della responsabilità del medico comporta, nel processo civile, un ribaltamento dell'onere della prova. Nella responsabilità contrattuale, infatti, il paziente deve provare esclusivamente il fatto della ospedalizzazione, da cui deriverebbe il contatto sociale col medico e quindi la pretesa risarcitoria nei confronti di costui, mentre spetta al medico - o alla struttura ospedaliera - fornire la prova liberatoria di aver fatto tutto quanto in proprio potere per evitare che il fatto dannoso si verificasse (e dunque per essersi comportato con la diligenza richiesta al professionista). Se invece si afferma la natura extracontrattuale della responsabilità del medico, sarà il paziente a dover provare la realizzazione di un fatto ingiusto e colpevole da parte del sanitario, il che forse si sposa più armonicamente col nuovo ruolo assunto dalle linee guida di limitazione della responsabilità per imperizia del medico che vi si sia adeguato (salva comunque la sua responsabilità, anche per colpa lieve, nei casi d'imprudenza e negligenza). La portata della novella legislativa pare infatti, in via generale, quella di cercare di ridurre l'area della responsabilità penale e civile del medico e di alleggerirne la posizione processuale, cosicché possa esercitare appieno quell'indipendenza di giudizio che la sua professionalità richiede e che la costante minaccia del processo rischiava di opprimere; e questa finalità sembra meglio perseguita, secondo il Tribunale di Milano, da una rilettura della responsabilità del medico come aquiliana e non più contrattuale.

 


[1] Art. 3 co. 1 L. Balduzzi così recita: "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo".