ISSN 2039-1676


24 giugno 2014 |

Ennesimo no al salvagente della colpa lieve per il medico che naviga fuori rotta

Nota a Cass. Sez. V, 13 febbraio 2014 (dep. 11 marzo 14) n. 11804, Pres. Ferrua, Est. Fumo, ric. R.S.

 

1. E' divenuta ampia la giurisprudenza di legittimità sull'art. 3 della l. 189/12 (c.d. legge Balduzzi).

Nell'ambito di questa giurisprudenza può spesso osservarsi questo dato: la difesa invoca l'applicazione dell'art. 3 cit. e questa applicazione viene negata sulla base di un principio ormai consolidato. Il principio è questo: l'art. 3 l. 189/12 è inapplicabile se il sanitario non si è attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. In tale ipotesi il sanitario è quindi penalmente responsabile, indipendentemente dal grado della colpa, che sia grave o lieve.

Ricordiamo che l'art. 3 I co. della Balduzzi prevede: "L'esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve"[1].

Quanto previsto dalla disposizione si verifica qualora il sanitario si sia attenuto a linee guida e buone pratiche ma non avrebbe dovuto farlo, per la particolarità del quadro clinico. Se vi sono margini di dubbio circa l'attenersi o no, si configura una colpa lieve e quindi nessuna responsabilità penale. Ad es., un paziente ricoverato per un infarto viene dimesso in adesione alle linee guida, essendo ormai compensato, asintomatico e con marcatori di necrosi negativi. Pur in presenza di fattori di rischio, che potevano giustificare la protrazione del ricovero: diabete, obesità, ipercolesterolemia.

Si è invece in colpa grave, e va affermata la responsabilità penale, quando è indubbio che non ci si dovesse attenere alle linee guida, quando cioè la colpa è macroscopica, "spaccata", quando il caso è "cantato", quando, per dirla con la Cassazione, i dati clinici "... assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato..."[2]. Si pensi alla somministrazione di un farmaco raccomandato, ma controindicato allo specifico paziente. Ad es., aloperidòlo somministrato ad un paziente psichiatrico in scompenso violento, del quale in cartella era annotata un'anomalia del tracciato elettrocardiografico. Pur avendo a disposizione la quetiapìna, che è un farmaco al riguardo più maneggevole.

Presupposto necessario per l'applicabilità dell'art. 3 cit. è l'essersi attenuti a linee guida. Ciò emerge chiaramente dalla lettera della disposizione "...nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida...". Inutile invocare la colpa lieve in ipotesi d'inosservanza.

Le linee guida come una carta nautica: se si naviga seguendo la rotta e si prende uno scoglio, si è responsabili solo se lo scoglio era affiorante. Se invece si naviga fuori rotta, si è responsabili anche se lo scoglio era sommerso.

 

2. Vediamo ora il caso della sentenza che qui si annota. Una ginecologa prescrive ad una paziente un esame per analizzare il flusso del sangue fetale (c.d. flussimetria). Il medico che svolge l'esame ritiene "borderline" la situazione e suggerisce alla ginecologa ulteriori controlli, strettamente ravvicinati, del benessere fetale. Viene quindi eseguito un tracciato cardiotocografico dall'esito, anch'esso, poco rassicurante. Dopo circa una settimana la paziente opera una sorta di autodiagnosi: "si sente strana" e torna a farsi visitare dalla ginecologa, che l'avvia presso la vicina clinica. La paziente viene lì sottoposta al cesareo, ma è troppo tardi, perché è avvenuta la morte del feto per anossia.

Il giudizio di merito si conclude con la condanna della ginecologa per il reato d'interruzione colposa della gravidanza (art. 17 l. 194/78). La difesa ricorre per Cassazione. Nei motivi nuovi invoca l'applicazione dell'art. 3 cit., sostenendo che rileva solo la colpa grave, cioè la macroscopica violazione delle regole dell'arte medica. La Cassazione dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, insistendo per la sussistenza della responsabilità. Per quanto qui interessa, viene negata l'applicabilità dell'art. 3 cit., ritenendo che riguardo "... alla portata restrittiva dell'art. 3 della legge 189/12, è di tutta evidenza che essa non esplica alcun effetto nel caso in scrutinio". Aggiunge che "...certamente non può considerarsi corretta o virtuosa una condotta che non abbia tenuto in nessun conto gli allarmanti segnali di pericolo che, anche in seguito ad accertamenti strumentali, si addensavano sul capo della P., segnali che la R. ignorò o comunque non percepì nella loro effettiva gravità...". Rileva poi come i giudici di merito hanno posto in evidenza che "... l'imputata non rispettò affatto le elementari linee guida della professione...".

 

3. La sentenza è condivisibile e ribadisce il principio già posto qui in evidenza: non può invocare la colpa lieve, e quindi l'esclusione della responsabilità penale, il sanitario che non si attiene a linee guida e buone pratiche scientificamente accreditate. Anche questa sentenza si adagia sulla scia giurisprudenziale aperta dalla sentenza Pagano, est. Piccialli[3].

Nella schiuma di questa scia sono cristallini gli spruzzi della sent. 47904/13, T., est. Blaiotta: se "...la condotta del medico fuoriesce dalle linee guida, non vi è spazio per l'applicazione della novella normativa invocata, che consente l'esonero da responsabilità nei casi di colpa lieve solo quando, appunto, l'approccio terapeutico si collochi all'interno dell'accreditato sapere scientifico enunciato nelle linee guida"[4].

Chiarissima, nell'escludere l'applicazione dell'art. 3 cit. è una sentenza, anche questa della IV Sezione della Cassazione, e ancora più recente di quella annotata (15495/14, C., est. Montagni)[5]. L'applicazione è ancorata alla "... realizzazione, da parte del terapeuta, di una condotta aderente ad accreditate linee guida..." e alla "...sussistenza, in tale ambito, di un profilo di mera colpa lieve: evenienze - entrambe - che non ricorrono nel caso di giudizio".

Il consolidamento giurisprudenziale appare ancora più chiaro, se si considera che ha oltrepassato i confini della Sezione IV della Cassazione, tabellarmente competente per l'omicidio e le lesioni colpose. La sentenza in commento è infatti della sezione V, avendo ad oggetto un'interruzione colposa di gravidanza.

Due necessari presupposti dunque: a) rispetto di linee guida; b) colpa lieve.

L'assenza di anche uno solo di essi preclude la non punibilità.

Stante l'inequivoca lettera della legge, il principio giurisprudenziale può suonare alquanto ovvio. E di ovvietà ha parlato al riguardo accurata dottrina[6]. Certamente. Ma la verità dell'ovvio fa svanire l'incantesimo della non punibilità per colpa lieve senza il rispetto delle linee guida.

C'era una volta la condanna per colpa lieve è una favola: la condanna c'è ancora, eccome, se non si rispettano le linee guida. La storia vera è che la colpa lieve ha sposato il rispetto delle linee guida. Per l'eventuale divorzio è competente il legislatore.

Ed è questo che la realtà legislativa chiede di raccontare nelle aule giudiziarie, universitarie e convegnistiche.

 

4. Ci si potrebbe chiedere se, fra colpa lieve e rispetto delle linee guida, sia comunque ipotizzabile non solo il divorzio legislativo, ma anche quello giudiziario. Come?

Si potrebbe ritenere che, nei casi di colpa lieve senza il rispetto delle linee guida, l'art. 3 cit. sia applicabile analogicamente. L'ipotesi è stata affacciata con cautela in dottrina[7].

Ecco un esempio. Le linee guida per il trattamento dell'ipertensione arteriosa[8], raccomandano la somministrazione del relativo farmaco se il valore di diastolica supera 100 mmHg. Ipotizziamo che il medico opti per la non somministrazione del farmaco, in ragione dell'assenza nel paziente di qualsiasi altro fattore di rischio cardiovascolare e del fatto che il paziente tiene un sano regime di vita e pratica regolarmente attività sportiva. Ipotizziamo che si abbia comunque uno scompenso cardiovascolare. Può esserci di colpa lieve, ma rimane il non essersi attenuto a linee guida.

In casi come questi, non pare che sia possibile l'applicazione analogica dell'art. 3 cit.

Prescindiamo dall'annosa questione se le disposizioni di favore siano o no applicabili analogicamente. Diamo pure per scontato che lo siano. Ebbene qui non si ravvisa nessuno dei due presupposti per l'applicazione analogica. Manca in primis la lacuna legislativa, perché il legislatore è stato esplicito nel richiedere che il sanitario si sia attenuto a linee guida. Se il giudice ritiene che l'art. 3 cit. sia comunque applicabile a prescindere dal rispetto o no delle linee guida, sta in definitiva tagliando una parte della disposizione, che diventa di questo tenore: "L'esercente le professioni sanitarie non risponde penalmente per colpa lieve". Sta sovrapponendo così la propria valutazione a quella del legislatore. Sta depenalizzando in toto la colpa lieve.

Ma manca anche il requisito dell'identità di ratio. Quantomeno nell'ipotesi in cui le linee guida raccomandino una cautela. Si consideri l'esempio poc'anzi fatto: se si rispettano le linee guida viene introdotta una cautela nel quadro clinico, mentre se non ci si attiene, una cautela viene tralasciata. Nel primo caso il rischio si riduce, nel secondo rimane invece inalterato. Quindi situazioni diverse.

Ma vedremo comunque come sull'argomento si pronuncerà, in ipotesi, la giurisprudenza.

Per il momento è ormeggiato nel porto della Cassazione il principio della non punibilità della colpa lieve annodata al rispetto delle linee guida. Ma si sa: sotto le palafitte erette dalla Cassazione si muovono le maree della giurisprudenza di merito e della dottrina, che possono erodere l'ancoraggio.

Segnali radicali sono stati inviati. Un'onda possente si è abbattuta sull'art. 3 I co. della Balduzzi con la questione di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale non si è pronunciata nel merito, ma ha indicato a quali condizioni è disposta a farlo[9]. E' ipotizzabile una nuova onda. Ed è anche sperabile un vaglio nel merito da parte della Consulta, per l'importanza che assume l'art. 3 I co. cit., essendo attualmente la boa intorno alla quale ruota l'accertamento della colpa medica.

 

 


[1] In argomento v. i contributi già pubblicati in questa Rivista elencati nella colonna di destra.

V., assai di recente, A. Manna, Medicina difensiva e diritto penale, Pisa, 2014, 161 e ss.

V. altresì il Focus dal titolo La responsabilità medica dopo il "Decreto Balduzzi": una questione multidisciplinare, pubblicato sulla Rivista Italiana di Medicina Legale e del Diritto in campo Sanitario, 2013, 2, con introduzione di A. Vallini, L'art. 3 del "Decreto Balduzzi" tra retaggi dottrinali, esigenze concrete, approssimazioni testuali, dubbi di costituzionalità, p. 735 e ss.  e con contributi di F. Giunta, A. Di Landro, L. Nocco, M. Gagliardi, R. Breda, F. Cembrani.

[2] Cass., sez. IV pen., 29 gen. (9 apr. 2013), n. 16237, Cantore, est. Blaiotta, in questa Rivista, 11 aprile 2013, con osservazioni di F. Viganò, Linee guida, sapere scientifico e responsabilità del medico in una importante sentenza della Cassazione.

[3] Cass. pen., Sez. IV, 24 gennaio 2013 (dep. 11 marzo 2013), n. 11493, Pagano, est. Piccialli, in questa Rivista, 29 marzo 2013.

[4] Per leggere il testo di questa sentenza clicca qui.

[5] Per leggere il testo di questa sentenza clicca qui.

[6] O. Di Giovine, In difesa del c.d. decreto Balduzzi (ovvero: perché non è possibile ragionare di medicina come se fosse diritto e di diritto come se fosse matematica), in Arch. Pen., 2014, 20, nota 59

[7] C. Brusco, Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dalla c.d. Legge Balduzzi, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2013, 4, pag. 66.

[8] Aggiornamento delle linee guida europee per il trattamento dell'ipertensione arteriosa: documento del Comitato della Società Europea dell'Ipertensione, disponibile online, clicca qui per accedervi.

[9] Corte Cost., ord. 6 dic. 13, n. 295, est. Frigo, in questa Rivista, pubbl. 9 dic. 13, con osservazioni di G.L. Gatta, Colpa medica e linee-guida: manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto Balduzzi sollevata dal Tribunale di Milano.