ISSN 2039-1676


13 aprile 2012 |

Violenza sessuale ai danni dei figli: gli obblighi di protezione e di intervento della madre

Nota a Cass. Pen., Sez. III, 17 gennaio 2012, Pres. Mannino, Est. Franco, n. 1369

Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sul contenuto dell'obbligo di intervento e protezione del genitore, in relazione al delitto di violenza sessuale commesso dall'altro coniuge a danno dei figli minori.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne, più precisamente, la sussistenza in capo alla madre di un vero e proprio obbligo di denunciare alle autorità il coniuge sorpreso a compiere abusi sessuali a danno di un figlio minore.

Nel caso di specie, un uomo aveva infatti costretto la figlia a subire abusi sessuali, iniziati quando la minore aveva solo sette anni e protrattisi per circa 5 anni. La madre, venuta a conoscenza degli abusi del marito sulla figlia, provvedeva a farla alloggiare in un istituto lontano dal luogo di residenza familiare, senza però denunciare il marito alle autorità competenti.

Sia il Tribunale di Vibo Valentia, in primo grado, che la Corte d'Appello di Catanzaro riconoscevano la responsabilità penale non solo del padre autore delle violenze, condannato a sei anni di reclusione per "atti sessuali con minorenne" aggravati (artt. 609 quater, 609 ter c. 2, 609 bis, 61 n. 11 c.p.), ma riconoscevano altresì la responsabilità penale della madre ai sensi degli artt. 40 cpv, 609 quater per non aver denunciato il marito, e in tal modo non aver impedito un evento (l'abuso sessuale) che, nella sua qualità di genitore della vittima, aveva l'obbligo giuridico di impedire.

La Suprema Corte di Cassazione veniva dunque chiamata a pronunciarsi sulla decisione della Corte d'Appello di Catanzaro, e più in particolare sulla posizione di garanzia assunta dalla madre e sul contenuto del conseguente obbligo di intervento a tutela della figlia.

Con la sentenza in esame la Corte ha così affermato che "l'obbligo di intervento (...) impone alla madre di (tenere un comportamento) comunque idoneo ad impedire l'evento, ivi compresa eventualmente anche la denuncia del coniuge, sempre però che non vi sia la possibilità di altri interventi idonei".  

Nel caso di specie - si legge nella sentenza in esame - la Corte d'appello non avrebbe infatti spiegato "perché l'allontanamento della figlia ed il suo internamento in un istituto lontano dal luogo di residenza familiare e dal padre non potessero concretare iniziative idonee a far ritenere soddisfatto l'obbligo di intervento e perché invece occorresse addirittura la denuncia del marito".

Alla luce di tali evidenze, la Corte concludeva pertanto per l'annullamento della sentenza oggetto di gravame per vizi della motivazione e sollecitava una nuova valutazione della Corte d'Appello circa la condotta contestata alla coimputata.

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La pronuncia in esame risulta di particolare interesse, perché - come anticipato - affronta in maniera esplicita il problema del contenuto dell'obbligo di protezione della madre nei confronti dei figli minori, e cioè se la madre debba necessariamente denunciare il marito laddove scopra gli abusi sui figli, oppure se vi siano altre condotte concretamente idonee ad escludere la sua responsabilità.

A questo proposito, occorre infatti precisare che, secondo un pacifico orientamento della Corte di Cassazione il genitore è penalmente responsabile ex art. 40 cpv. c.p. per non aver impedito, pur avendone conoscenza, le condotte di abuso sessuale - o la reiterazione delle stesse - materialmente poste in essere nei confronti del figlio minore dall'altro genitore o da altro soggetto.

La posizione di garanzia dei genitori nei confronti dei figli (siano essi legittimi o naturali) trova fondamento, secondo la giurisprudenza, in diversi riferimenti normativi.

Essi vanno individuati, in primo luogo, nell'art. 30 della Carta fondamentale, in virtù della quale "i genitori hanno il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio".

Tale obbligo è poi riaffermato, a livello legislativo, dall'art.  147 c.c., il quale, in materia di doveri dei genitori verso i figli, prevede che "il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli".

Sulla base di tali disposizioni normative viene affermato l'obbligo giuridico del genitore di impedire eventi lesivi o pericolosi ai danni dei figli minori, nei confronti dei quali lo stesso assume la posizione di garante. Secondo la giurisprudenza unanime, infatti, l'art. 147 c.c. comporta "l'obbligo per il genitore di tutelare la vita, l'incolumità e la moralità sessuale dei minori contro altrui aggressioni, anche endofamiliari" (Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2007, n. 4730).

La norma di cui trattasi è stata applicata anche nell'ipotesi di mancato impedimento del delitto di violenza sessuale. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è, infatti, costante nell'affermare che "il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell'art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell'integrità psico-fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40 cpv. c.p., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell'evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul garante; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l'evento" (in tal senso, cfr. Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2010, n. 11243; Cass. pen., sez. III, 8 luglio 2009, n. 36824; Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2007, n. 4730; Cass. pen., sez. III, 27 aprile 2007, n. 19739; Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2006, n. 40331; Cass. pen., sez. III, 29 novembre 2006, n. 42092; Cass. pen., sez. III, 6 dicembre 2006, n. 42210; Cass. pen., sez. III, 1 dicembre 2005, n. 3124).

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Non così pacifico è, invece, stabilire in che cosa debba concretizzarsi l'obbligo di protezione dei figli -  anche dalle molestie sessuali - che grava su ciascun genitore.

Più precisamente, la questione che la sentenza in esame affronta direttamente è la seguente: nelle ipotesi di cui trattiamo, la posizione di garanzia  del genitore impone di porre in essere genericamente qualsiasi intervento (individuabile caso per caso) concretamente idoneo a far cessare l'attività delittuosa, o il genitore è più specificamente tenuto a denunciare alle Autorità il coniuge responsabile degli abusi sessuali?

La giurisprudenza precedente della Suprema Corte pareva infatti offrire sul punto indicazioni contrastanti, o comunque non del tutto chiare.

In alcune sentenze, infatti, si parlava genericamente di "interventi idonei ad impedire l'evento" e si evocava la denuncia del marito solo come  una delle possibili condotte che la madre poteva tenere per assicurare la tutela della libertà sessuale dei figli. Ad esempio, in una pronuncia del 2007 la Suprema Corte aveva ritenuto "del tutto inutili" le cautele adottate dalla madre a tutela delle figlie (come il rientrare a sorpresa nell'abitazione, il ridurre al minimo la permanenza fuori casa, etc.) e aveva affermato che "la posizione di garanzia del genitore impone a questi di porre in essere tutti gli interventi concretamente idonei a far cessare l'attività delittuosa (...); tra i suddetti 'doverosi' interventi rientrano anche i rimedi estremi, quali la denuncia dell'autore del reato ed il suo allontanamento dall'abitazione coniugale" (Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2007, n. 4730).

In altri casi, invece, pur sancendo in linea di principio la necessità per la madre di porre in essere interventi idonei a proteggere i figli dagli abusi sessuali, in concreto si era individuato quale unico o principale rimedio impeditivo delle suddette condotte la denuncia dell'autore materiale delle violenze. Ad esempio, con la sentenza n. 19739/2007 la Cassazione condannava la madre rimasta inerte, affermando che la stessa "era tenuta, onde impedire l'evento, a denunciare il marito, autore di abusi sessuali sulle figlie", per poi tornare a parlare più genericamente di "intervento idoneo", "comportamento doveroso efficiente" ed "efficaci misure interdittive" ( Cass. pen., sez. III, 27 aprile 2007, n. 19739). E ancora, con un'altra pronuncia del 2006 (Cass. pen., sez. III, 6 dicembre 2006, n. 42210) la Suprema Corte confermava la condanna della madre per aver omesso di "denunciare il convivente, autore di abusi sessuali sulla figlia, a lei noti, onde impedire l'evento" (nel caso di specie, la madre aveva denunciato il convivente per i maltrattamenti subiti, ma non per le violenze sessuali sulle figlie). Anche in questo caso, la sentenza specificava tuttavia che "una volta accertato che l'imputata era al corrente di plurimi abusi commessi dal convivente sulla figlia, era da lei esigibile, ai fini dell'esclusione della responsabilità, un intervento idoneo ad impedire l'evento".

Più di recente (Cass. pen., sez. III, 8 luglio 2009, n. 36824), in una ipotesi analoga a quelle in esame, la Corte rinveniva nella denuncia del padre alle autorità la condotta più significativa ed idonea ad interrompere l'attività criminosa.

Nello stesso senso è poi la pronuncia cui la sentenza in oggetto fa esplicito richiamo (Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2010, n. 11243) secondo cui "sulla ricorrente, quale madre di E. ed esercente potestà sulla stessa, incombeva, per il rapporto familiare, l'obbligo di protezione e di educazione, sicché essa era tenuta, onde impedire l'evento, a denunciare il marito, autore di abusi sessuali sulle figlie, a lei noti per averlo personalmente costatato".

Con la sentenza qui annotata, la Suprema Corte viene quindi a fare maggiore luce sul contenuto dell'obbligo di protezione, affermando non solo che la posizione di "garanzia" del genitore impone a quest'ultimo di porre in essere tutti gli interventi concretamente idonei a far cessare l'attività delittuosa, ma anche che l'obbligo di protezione dei figli richiesto dall'ordinamento al genitore non coincide necessariamente con quello di denuncia del coniuge responsabile degli abusi sessuali, ma comprende ogni condotta comunque idonea ad impedire o far cessare la violenza, come potrebbe essere, ad esempio, nel caso di specie, l'allontanamento del figlio vittima di violenza sessuale dall'abitazione familiare.