ISSN 2039-1676


28 giugno 2012 |

La Corte costituzionale ribadisce che ogni forma di definizione del procedimento minorile nell'udienza preliminare è subordinata al consenso dell'imputato

Corte cost., 27 giugno 2012, n. 165, Pres. Quaranta, Rel. Frigo (sui presupposti per la condanna del minore a pena pecuniaria ridotta o a pena sostitutiva in sede di udienza preliminare)

1.La Corte costituzionale, con la decisione qui pubblicata, ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'arti. 32, comma 2, del d.p.r. n. 448 del 1988 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), là dove stabilisce che soltanto se vi è richiesta del pubblico ministero il giudice dell'udienza preliminare, ove ritenga applicabile una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, pronuncia sentenza di condanna, con possibile diminuzione della pena concretamente inflitta fino alla metà del minimo edittale.

Sebbene la sentenza in esame consista in una pronuncia di inammissibilità per oscurità ed indeterminatezza del petitum (per i motivi che qui di seguito saranno sinteticamente esposti), essa merita di essere posta in rilievo in quanto ribadisce alcuni principi espressi dalla stessa Corte in tempi non proprio recenti.

 

2. Alla luce di tale premessa appare opportuno, allora, descrivere la fattispecie oggetto del giudizio a quo ripercorrendo le argomentazioni svolte dal rimettente a sostegno delle censure.

Il Giudice collegiale dell'udienza preliminare del Tribunale di Ancona ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, nei termini sopra indicati, ritenendo la violazione, da parte della disposizione censurata, degli artt. 101, secondo comma, e 111, secondo e quinto comma, della Costituzione, nonché del principio di ragionevolezza (parametro evocato solo nella motivazione nell'ordinanza di rimessione).

Il rimettente è chiamato a celebrare un procedimento penale a carico di un cittadino extracomunitario minorenne, resosi irreperibile, imputato dei reati di cui agli artt. 495 cod. pen. e 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998. A conclusione dell'udienza preliminare, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio del minorenne, mentre il difensore ha sollecitato una sentenza dichiarativa del non luogo a procedere e, in via subordinata, l'applicazione di una sanzione sostitutiva.

Ad avviso del rimettente, gli elementi acquisiti sarebbero idonei a giustificare il rinvio a giudizio dell'imputato e sarebbero, altresì, idonei a fondare, in dibattimento, una sentenza di condanna ad una pena detentiva sostituibile con la libertà controllata; diversamente, però, la sanzione, in dibattimento, non potrebbe essere ridotta fino alla metà come, invece, è consentito dall'art. 32, comma 2, del d.p.r. n. 448 del 1988.

Ciò posto, il Gup osserva - ed è questo il nucleo delle sue censure in punto di legittimità costituzionale - come, nel caso sottoposto al suo giudizio, detta pronunzia risulterebbe preclusa dalla mancanza della richiesta del pubblico ministero, in quanto il comma 2 dell'art. 32 del d.p.r. citato non consente né al giudice, né all'imputato o al suo difensore, di formulare la relativa istanza.

L'impossibilità per l'imputato o per il suo difensore di formulare la richiesta invece consentita al pubblico ministero e, nel contempo, l'impossibilità per il giudice dell'udienza preliminare di provvedere di ufficio in tal senso, determinerebbero il contrasto dell'art. 32, comma, 2 d.p.r. 448 del 188 con l'art. 111, secondo e quinto comma, e con l'art. 101 Cost.

Il contrasto con l'art. 111, secondo comma, Cost. consisterebbe nella violazione del principio della parità delle parti processuali, in quanto la norma conferirebbe - solo ed esclusivamente - al pubblico ministero un potere dal cui esercizio «meramente arbitrario» verrebbe a dipendere un rilevante effetto "premiale".

Inoltre la norma censurata, non consentendo né all'imputato, né al difensore dell'imputato contumace o irreperibile, di esprimere il consenso alla condanna in sede di udienza preliminare sulla base degli atti di indagine, violerebbe l'art. 111, quinto comma, Cost., secondo cui è alla legge che spetta il compito di regolare i casi in cui la prova non si formi nel contraddittorio delle parti «per consenso dell'imputato e per accertata impossibilità di natura oggettiva».

In mancanza, poi, della richiesta del pubblico ministero, il giudice dell'udienza preliminare - ad avviso del rimettente - sarebbe obbligato a disporre il rinvio a giudizio nonostante il processo appaia definibile tramite l'applicazione di una pena pecuniaria o di una sanzione sostitutiva, con conseguente violazione del principio della ragionevole durata del processo, atteso l'irrazionale allungamento dei tempi processuali.

Il rimettente prospetta, infine, il contrasto della disposizione in esame con riferimento all'art. 101, secondo comma, Cost. e con il principio di ragionevolezza.

Si osserva che solo il giudice, chiamato nel processo minorile a farsi carico delle esigenze educative del minore, potrebbe valutare se risponda a tali esigenze ed a quelle di giustizia la definizione del processo nell'udienza preliminare con la condanna in questione.

 

3. Il percorso argomentativo del giudice rimettente non poteva che determinare la Corte costituzionale ad una soluzione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in ossequio al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui sono inammissibili le questioni attraverso cui si richiede un intervento di tipo additivo o manipolativo, del quale non viene specificamente indicato il contenuto.

Nel caso in esame, sebbene il dispositivo dell'ordinanza sia stato formulato quale richiesta caducatoria della norma censurata, dalle argomentazioni svolte, invece, emerge che il rimettente formula delle censure che «oscillano ambiguamente tra la soluzione del riconoscimento al giudice dell'udienza preliminare del potere di provvedere ex officio» e quella «della attribuzione all'imputato o al suo difensore di un potere di richiedere la condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva simmetrico a quello spettante al pubblico ministero».

Nella decisione, però, la Corte non trascura l'eventualità che il rimettente intendesse sollecitare entrambe le soluzioni sopra indicate; anche per tale evenienza, la Corte osserva che sarebbe comunque pervenuta ad una decisione di inammissibilità.

Ed è proprio con riferimento a tale opzione che si rileva uno snodo delicato della decisione in commento. Con riferimento alla prima soluzione, quella cioè della attribuzione al giudice dell'udienza preliminare di un potere di pronunciare ex officio la sentenza di condanna in questione, indipendentemente dalla richiesta del pubblico ministero, e dalla richiesta o dal consenso dell'imputato, la Corte afferma che - oltre a non rappresentare una scelta costituzionalmente obbligata - si tratterebbe di una soluzione «fortemente asistematica», risolvendosi nell'unico caso in cui il giudice potrebbe emettere una sentenza di condanna sulla base di elementi di prova non raccolti in dibattimento, a prescindere dalla richiesta o dal consenso di almeno di una delle parti interessate.

Come si è osservato in apertura, con la decisone in commento la Corte coglie l'occasione per ribadire che - sebbene il consenso dell'imputato sia formalmente previsto dal comma 1 dell'art. 32 del d.pr. 488 del 1988, solo in relazione alle sentenze di non luogo a procedere che, comunque, presuppongono un accertamento di responsabilità (limitazione aggiunta per effetto della sentenza della Corte n. 195 del 2002) - anche la pronuncia di condanna prevista dalla disposizione censurata necessita del consenso dell'imputato.

 

4.Con le ordinanze n.110 del 2004 e n. 208 del 2003, infatti, la Corte aveva già affermato che - pur essendo il consenso dell'imputato espressamente previsto solo nel comma 1 dell'art. 32 del d.p.r. 488 del 1988, concernente le sentenze di non luogo a procedere - «sarebbe del tutto incoerente e irrazionale» non ritenere detto consenso necessario anche per le sentenze di condanna a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva di cui al comma 2.

In particolare nella decisione n. 208 del 2003, avente ad oggetto una questione di legittimità costituzionale sostanzialmente identica a quella oggetto della pronuncia in esame, la Corte aveva dichiarato l'inammissibilità della medesima questione in quanto il rimettente aveva omesso di fornire una interpretazione della disposizione censurata (appunto, del comma 2 dell'art. 32 d.p.r. n. 488 del 1988) idonea ad attribuire alla stessa un significato conforme a Costituzione.

Secondo la Consulta il tenore testuale del comma 1 dell'art. 32 del dpr cit., unitamente alla ratio della norma - da ravvisarsi nella necessità di riconoscere al minorenne la facoltà di non prestare il consenso alla pronunzia in udienza preliminare di sentenze che comunque presuppongono un accertamento di responsabilità (cosi come statuito nella sentenza n. 195 del 2002, sulla quale si tornerà tra breve) - permetterebbe di ritenere, così come sostenuto da larga parte degli interpreti, che il consenso vada riferito in via generale alla possibilità di definire il processo nell'udienza preliminare,  e non ad uno specifico esito dell'udienza stessa.

 

5. Appare, pertanto, evidente come la Corte, con la decisione in commento, riprendendo dette argomentazioni, abbia ribadito che sarebbe «del tutto incoerente ed irrazionale» ritenere necessario il consenso dell'imputato per la definizione del processo in udienza preliminare con una sentenza di non luogo a procedere, ed escluderne, invece, la necessità per la pronuncia, nella medesima sede, di una sentenza di condanna.

In aggiunta a dette considerazioni, la Corte ha affermato che «l'incoerenza del sistema risulterebbe anche maggiore» se si riconoscesse al giudice dell'udienza preliminare il potere di pronunciare sentenza di condanna, sulla base degli atti di indagine, indipendentemente dalla richiesta o dal consenso di una qualsiasi delle parti (imputato e pubblico ministero).

La soluzione adottata con la decisione qui illustrata, dunque, si pone in linea di continuità anche con la sentenza n. 195 del 2002, cui in precedenza si è fatto riferimento.

Con detta sentenza, infatti, la Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma del citato art. 32 nella parte in cui, in mancanza del consenso dell'imputato preclude(va) al giudice di emettere la sentenza di non luogo a procedere, sempreché si fosse trattato di pronunzia che non presupponesse un accertamento di responsabilità.

In tal modo, ritenendo l'irragionevolezza di un sistema normativo che non consente al giudice dell'udienza preliminare di definire il processo a carico di un imputato minorenne anche nel caso in cui, nella fase dibattimentale, il giudice avrebbe pronunciato una sentenza di non luogo a procedere con formula ampiamente liberatoria o tale da non presupporre alcun accertamento in ordine alla responsabilità dell'imputato (come nel caso di remissione di querela o difetto di una condizione di procedibilità), la Corte aveva già introdotto significativi "spunti" per ritenere ciò che ha successivamente statuito nelle ordinanze n. 208 del 2003 e n. 110 del 2004, e nella decisione oggi in esame, ovvero il principio secondo cui la definizione del processo a carico di imputati minorenni nella udienza preliminare, con la pronuncia di una sentenza di condanna, è necessariamente subordinata al consenso dell'imputato.