ISSN 2039-1676


10 ottobre 2012 |

S. Seminara, Il delitto tentato, Giuffrè, 2012, pp. 1107

Recensione

La comprensione dei problemi che ancora oggi segnano il delitto tentato non può che passare dalla consapevolezza della storia in cui la teorica dell'istituto si è formata. Muovendo da questo presupposto, l'A. procede ad un'analisi serrata delle diverse soluzioni tecniche, interpretative e applicative che in tema di tentativo, a partire dall'epoca delle grandi codificazioni, si sviluppano in quelle stesse aree europee che hanno visto fiorire uno ius commune e che si avviano ora ad assumere progressivamente una dimensione nazionale. Non ci si lasci tuttavia ingannare. L'indagine proposta non è svolta in un'ottica esclusivamente retrospettiva, ma guarda anche all'esperienza giuridica attuale, traendo dal passato strumenti preziosi per poter arrivare, se non ad una composizione, almeno ad un ragionevole bilanciamento fra le contrastanti esigenze che animano l'istituto.

La prima parte dell'opera ha ad oggetto "il tentativo nella penalistica europea del XIX secolo" e prende avvio dal sistema italiano, oggetto del Cap. I.

L'indagine, condotta attraverso un esame dettagliato dei profili normativi, dogmatici e applicativi dell'istituto, si muove lungo le linee tracciate dalla storia d'Italia, il cui corso contribuisce certamente a spiegare perché, nell'esperienza giuridica del tempo, la problematicità del tentativo sia avvertita con particolare intensità in relazione ad alcuni aspetti dell'istituto piuttosto che ad altri, pur qualificabili senza dubbio come "costanti" del delitto tentato. Così, la circostanza che il processo codificatorio in Italia assuma inevitabilmente tratti discontinui e frammentati spinge la scienza penale - almeno fino a quando il paese non cesserà di costituire una "mera espressione geografica", come taluno lo definì raccontandone la storia - non tanto ad indugiare su una questione, quale quella relativa all'inizio del tentativo, tesa ad evocare problematiche di tipo definitorio, ma piuttosto ad assumere una prospettiva di riflessione più ampia, diretta in particolare ad assicurare la distinzione fra diritto e morale. In quest'ultima prospettiva, è per così dire inevitabile che il tentativo assuma una connotazione spiccatamente oggettiva, la quale viene concretizzandosi nell'idea, condivisa nelle diverse scuole penalistiche italiane, che la sua punibilità dipenda dalla prossimità degli atti alla consumazione e debba ulteriormente delimitarsi alla luce della concreta idoneità degli stessi.

La concezione oggettiva del tentativo è destinata tuttavia progressivamente ad affievolirsi. La distinzione fra inidoneità assoluta e relativa, che, all'indomani dell'unità attraverso il Codice sabaudo, entra nel diritto positivo, ma che solo con Carrara arriverà a delinearsi compitamente, rappresenta, nella ricostruzione compiuta dal Prof. Seminara, solo uno dei fattori volti a spiegare il progressivo indebolimento dei connotati oggettivi dell'istituto.

L'esame della teorica del tentativo nei sistemi francese, spagnolo, austriaco e tedesco, oggetto del Cap. II, è condotto in una prospettiva sia storico - normativa che interpretativo - applicativa, di cui qui ci si limita a segnalare solo alcuni essenziali tratti, dei molti che emergono dalla analitica indagine proposta nell'opera.

Quali dunque le linee essenziali dello sviluppo della teorica del tentativo in Europa?

In Francia (Sez. I), ci si muove rapidamente verso un ampliamento dell'area di rilevanza penale dell'istituto. Se "l'inizio dell'esecuzione", individuata in una prima fase sulla base della fattispecie tipica, finisce per abbracciare gradualmente anche gli atti c.d. pretipici, l'idoneità vede ridimensionata la propria capacità selettiva attraverso la drastica riduzione delle ipotesi ricondotte al concetto di impossibilità. Di tale processo, la cui portata colpisce ancor più se si tiene presente la (quasi totale) immutabilità del dato normativo, l'A. indaga le cause. In questa prospettiva, sotto il profilo normativo, l'equiparazione sanzionatoria del delitto tentato a quello consumato, un tempo prevista solo per i crimini c.d. atroci, e poi, nello svolgersi della rivoluzione illuminista per motivi più contingenti che ideologici, genericamente estesa, rappresenta certamente un fattore in grado di favorire, anche sul piano della colpevolezza, una assimilazione del tentativo alla consumazione. Sul piano scientifico, poi, l'accostamento fra etica e diritto, che si delinea nella penalistica francese, costituisce certamente, nella ricostruzione proposta, uno degli elementi che contribuisce a spiegare il progressivo abbandono di canoni strettamente oggettivi nella interpretazione degli elementi costitutivi del tentativo.

Anche in Spagna (Sez. II), il carattere eclettico assunto dall'illuminismo penale, favorisce, come in Francia, il combinarsi nel tentativo di elementi oggettivi e soggettivi. A spiegare questa tendenza, l'influenza della penalistica e della legislazione francesi sul sistema spagnolo. In particolare, il legame profondo fra etica e diritto, che in Spagna assume una connotazione meno laica di quanto avviene in Francia e più densa di venature religiose, determina uno specifico equilibrio fra oggettivismo e soggettivismo nel delitto tentato. Non è così un caso che nell'ordinamento spagnolo si preveda la punibilità del tentativo frustrato né che, dal 1850 fino alla promulgazione del nuovo codice del 1870, la cospirazione e la proposta vengano qualificate come atti penalmente rilevanti. Ma, l'ordinamento spagnolo, pur approdando ad una definizione dell'istituto analoga a quella del codice francese, non si spinge fino all'equiparazione del trattamento sanzionatorio tra delitto consumato e tentato. Anche questo non è un caso: se l'elemento soggettivo costituisce il presupposto della punibilità del tentativo, quello oggettivo gioca comunque un ruolo essenziale in punto di determinazione della misura della pena.

Se in Francia e in Spagna, la tendenza è verso una dilatazione dell'area di rilevanza penale del tentativo, con una contestuale valorizzazione dell'elemento volontaristico, in Austria (Sez. III) la situazione assume una connotazione parzialmente diversa e segnata da una sorta di tacita contrapposizione fra profili normativi e dogmatici dell'istituto. In questa prospettiva, la disciplina positiva del tentativo non tarda a rivelare la tendenza ad una netta valorizzazione della volontà criminosa. Ed infatti, sotto il profilo sanzionatorio, il delitto tentato è equiparato al delitto consumato, con l'unico temperamento, affermato sia dal codice del 1793 che da quello del 1852, di una attenuante sottoposta al bilanciamento con eventuali aggravanti. Ad un soggettivismo "positivo" si contrappone però un oggettivismo "dogmatico", destinato a concretizzarsi in un'opera scientifica volta progressivamente a definire i concetti di inizio di esecuzione e di idoneità in una dimensione sganciata dalla predominanza dell'elemento volontaristico sul fatto. Ciò non impedisce tuttavia che intorno agli anni 80, si delineino, anche in dottrina, i tratti di una concezione soggettiva del tentativo peraltro mai abbandonata dalla giurisprudenza maggioritaria.

L'esame prosegue poi con l'analisi del sistema tedesco (Sez. IV). L'indagine si fa qui particolarmente ricca e attenta ad individuare il quadro, storico e filosofico, nel quale l'istituto si colloca. Se in Francia, l'illuminismo prende le forme della rivoluzione e l'esigenza garantistica, espressa dal principio di legalità, si traduce sul piano tecnico normativo in un processo codificatorio volto a "definire" l'illecito, tentando così di limitare la discrezionalità dei giudici, nel sistema tedesco, esso rappresenta un momento non di rottura ma di razionalizzazione. In questa prospettiva, il diritto comune, racchiuso in un passato antico e quasi venerato, continua ad essere visto come l'unico fondamento solido per l'elaborazione di un diritto penale "tedesco". In breve: il legislatore non ha paura né del passato né della prassi. L'immediata implicazione di questo assunto, è l'assoluta irrilevanza, sia sul piano tecnico (almeno fino al Codice prussiano del 1851) che su quello dogmatico, del tema dell'individuazione dell'inizio del tentativo punibile. Conseguentemente, l'alternativa fra oggettivismo e soggettivismo, si gioca in Germania prevalentemente sul piano della idoneità.

Soffermandosi più in particolare sui connotati assunti dall'istituto, se sotto un profilo normativo, si afferma l'assoluta prevalenza dell'elemento volontaristico, destinata ad infrangersi solo sull'impunità del tentativo irreale o superstizioso, sul piano dogmatico non si può non notare come l'equilibrio fra oggettivismo e soggettivismo prenda una forma meno netta e più sfumata di quanto non stia avvenendo negli altri paesi europei. Di questa tendenza costituisce un chiaro riflesso la circostanza che, nell'ambito degli orientamenti oggettivisti, l'impunità del tentativo inidoneo riesca a convivere pacificamente con la punibilità di atti qualificabili come preparatori.

Della complessa analisi in chiave comparatistica dei sistemi fin qui delineati, si tirano le fila nel cap. III. Qui, l'A. procede a tracciare un quadro complessivo dei modelli normativi e delle linee essenziali assunte dalla scienza penale europea nel periodo di riferimento.

Emergono così almeno due macrotendenze. La prima è quella che determina una graduale e progressiva interferenza fra modelli a matrice oggettivista e modelli a matrice soggettivista. È questa una tendenza che senza dubbio è favorita dalla natura dell'istituto, che impedisce agli oggettivisti di ignorare la direzione teleologica della condotta e ai soggettivisti di trascurare gli atti esterni in cui l'intenzione si manifesta. Ma è l'approfondimento sui criteri di accertamento dell'idoneità e la distinzione fra inidoneità assoluta e relativa, che tutta Europa conosce attraverso Carrara, Jenull, Mittermaier, Ortolan e Haus, che condurranno ad una contaminazione fra elementi oggettivi e soggettivi fino ad allora sconosciuta.

La seconda macrotendenza, che è dato isolare, riguarda invece la progressiva estensione dell'ambito di applicazione del tentativo, sia in ordine all'individuazione della soglia di rilevanza penale degli atti che in ordine all'idoneità degli stessi. In particolare, sotto il primo profilo, se in un'ottica tecnico normativa, la formula dell'inizio dell'esecuzione domina quasi incontrastata e sembra legarsi alla tipicità della condotta, sul piano dottrinale e giurisprudenziale tale unità non fatica a rivelarsi apparente, come dimostrano le diverse tesi che si sviluppano sul punto e di cui l'A. segnala analiticamente pregi e criticità.

In una seconda prospettiva di analisi, l'A. volge lo sguardo verso i futuri sviluppi della scienza penale europea, cogliendo nel periodo che va dall'ultimo quarto del secolo XIX alla metà del secolo successivo un momento di straordinaria intensità. Un secolo "breve" o "lungo", a seconda delle prospettive, si affaccia. I paradigmi propri del diritto ottocentesco si frantumano. Il mondo fenomenico, di cui la criminalità fa parte ora a pieno titolo, prende il posto del mondo delle idee di ragione. Contemporaneamente, la dissoluzione del paradigma del libero arbitrio, innescata dalla scuola lombrosiana, determina l'emergere del concetto di pericolosità sociale, che penetra nella teorica del delitto tentato, distruggendone l'autonomia sul piano dogmatico.

Tracciate le coordinate essenziali nell'ambito delle quali si colloca il secolo alle porte, l'indagine prosegue, nella seconda parte della monografia, con l'esame dell'"evoluzione della teoria del tentativo fino alla metà del XX secolo" (Cap. IV).

L'analisi congiunta della scienza penale e degli orientamenti assunti dalla giurisprudenza in Italia si muove ora in un quadro normativo caratterizzato da una complessità che rispecchia il delicato momento storico che il neonato Stato unitario sta attraversando. In questo quadro, delineato attraverso un'indagine volta a dare conto della situazione politico-culturale complessiva in cui i Governi del Regno d'Italia si trovano ad operare, la legalità penale assume un duplice volto. Quello antico, pacato e moderato offerto dal Codice Zanardelli, il quale pare resistere sul piano sanzionatorio ad eccessi specialpreventivi, dimostrandosi tuttavia lontano dalle esigenze del tempo. E quello del diritto penale "extracodicistico": il diritto penale coloniale e quello della legislazione diretta contro tipologie di soggetti determinati (mendicanti, vagabondi e delinquenti politici). Questo dualismo si rispecchia anche in dottrina, ed in particolare nella contrapposizione fra scuola classica e positiva, contrapposizione che, come dimostrato dall'A. proprio attraverso l'esame dei diversi orientamenti in tema di tentativo, si rivelerà frequentemente più apparente che reale. In particolare, al di là di una generale e astratta valorizzazione della pericolosità del fatto su quella del reo affermata dai sostenitori della Scuola classica, sotto un profilo contenutistico, la tendenza è quella ad uno svuotamento delle nozioni di univocità e di idoneità, con la conseguenza che il nucleo oggettivo dell'orientamento in questione è meno netto di quanto appaia. La Scuola positiva, d'altra parte, non pare in grado di rappresentare una reale alternativa all'elaborazione dei "classici". Una volta fondata la punibilità del tentativo sulla pericolosità dell'agente, non sembra si riesca ad andare oltre la negazione di qualsiasi rilevanza alla distinzione fra preparazione ed esecuzione, da un lato, e fra inidoneità assoluta e relativa, dall'altro. In un'altra prospettiva, l'A. passa ad enucleare i contenuti del c.d. metodo tecnico giuridico, alla cui incidenza sulla teorica dell'istituto si dà attento rilievo nell'opera, con particolare riferimento alla proposta di assoggettare l'autore di un tentativo inidoneo ad una misura di prevenzione, che troverà espressione nel futuro art. 49 del codice Rocco e che rappresenta forse il segno più rilevante delle nuove sembianze che il delitto tentato sta assumendo.

Su un piano normativo, gli effetti della contrapposizione fra classici e positivisti non tarderà a manifestarsi. A parte il Progetto Ferri, espressione della Scuola positiva, sono i lavori per la riforma del Codice del 1889 a rappresentare un momento di svolta nella teorica dell'istituto. L'introduzione della formula degli "atti idonei e univoci" tende ad ampliare l'ambito di applicazione del tentativo, determinando, sul piano applicativo, una serie di "effetti interpretativi". Mentre l'univocità degli atti risulta sussistente quando la loro intrinseca direzione risulti compatibile con la prova, anche aliunde, dell'intenzione dell'agente, l'idoneità, anch'essa riferita pure ad atti preparatori, assume il significato di mera possibilità di consumazione, finendo da un lato per essere letta come equivalente dell'inidoneità dell'azione di cui al 49 c.p. e, dall'altro, per rimanere ancorata ad una valutazione in astratto sulla base di quello che è il piano criminoso dell'agente. Il soggettivismo sembra dunque vincere sull'oggettivismo, e su più fronti.

L'indagine sul sistema italiano è a questo punto conclusa. L'A. si concentra ora nuovamente sull'Europa, cui è dedicato il Cap. V.

L'analisi comparata muove dall'ordinamento francese (Sez. I). Qui, il metodo e gli insegnamenti della Scuola Positiva italiana vengono rapidamente assimilati, combinandosi con una visione del diritto "etica" ed utilitaristica insieme e plasmando la teorica del tentativo secondo nuove forme. In questa prospettiva, l'A. delinea il nuovo corso preso dalla scienza penale e dalla giurisprudenza in ordine alla distinzione fra atti preparatori ed esecutivi, da un lato, e, dall'altro, al tentativo inidoneo. Seguendo queste due linee di indagine, si mettono in luce i connotati assunti dal delitto tentato, il cui ambito di applicazione si presenta sempre più dilatato e radicato sulla pericolosità dell'agente, di cui la volontà criminosa è espressione e di cui gli atti di tentativo, anche se inidonei, sono chiara manifestazione Le conseguenze di tale impostazione si manifestano sul piano tecnico - normativo, riflettendosi in particolare sulla nozione di idoneità. Intervenendo sul progetto del 1932, la Commissione per la Revisione della legislazione precisa come "il tentativo" sia "punibile anche quando il fine perseguito non poteva essere realizzato in ragione di una circostanza di fatto ignorata dall'agente". È così esplicitamente accolta una nozione di idoneità rispetto alla quale la distinzione fra "assoluto" e "relativo" risulta del tutto priva di significato.

Conclusa la disamina degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, oltre che delle principali innovazioni legislative occorse in Francia nel periodo di riferimento, l'A. si concentra sull'ordinamento spagnolo (Sez. II). Correzionalismo di matrice tedesca e positivismo italiano si fondono qui in una impostazione a sfondo etico che anima gli spiriti riformatori di fine secolo. In questa prospettiva, il delinquente è visto ad un tempo come un soggetto debole da correggere e come pericolo per la società. La pena non può dunque che rappresentare uno strumento duttile, privo di contenuti rigidi e di tempi di applicazione predeterminati. In questo contesto generale e in una situazione istituzionale e politica mutevolissima, l'evoluzione normativa spagnola appare piuttosto travagliata. Per quanto è dato qui segnalare, nei tre codici che si susseguono in Spagna, l'ambito di applicazione del tentativo, vede accentuate le proprie componenti soggettivistiche. Così, la definizione del tentativo come inizio di esecuzione non è certo in grado di fare da argine alla punibilità del tentativo impossibile. Rispetto a quest'ultimo anzi, in omaggio alle correnti positiviste, prende corpo anche il doppio binario pena/misura di sicurezza, rafforzato dalla Ley de Vagos y Maleantes del 1933, che ne consente l'applicazione, a prescindere dalla commissione di un reato, anche a quei "fatti che non costituscono delitto per inidoneità del mezzo, inesistenza dell'oggetto (...)". L'ambito di applicazione dell'istituto si presenta dunque più ampio e la tendenza ad una contaminazione fra oggettivismo (per lo più espresso a livello normativo) e soggettivismo (di cui scienza penale e giurisprudenza si fanno interpreti privilegiati) si fa sempre più evidente.

L'indagine prosegue, infine, spostandosi sulle aree di lingua tedesca (Sez. III). L'intenzione criminosa, il cui rilievo ha assunto già dei caratteri peculiari per effetto delle logiche di politica criminale che dominano ormai la scena, svolge qui un ruolo centrale. Trascendendo infatti la nota contrapposizione fra soggettivismo e oggettivismo, essa finirà per rappresentare uno degli elementi fondanti sui cui edificare un nuovo diritto penale: il diritto penale della volontà. Ma questo è solo l'ultimo degli esiti, messi in luce dall'A, che coinvolgeranno la teorica del tentativo.

L'indagine segue qui un ritmo serrato, procedendo a ricostruire i diversi orientamenti che si contendono il campo in relazione, da un lato, al tentativo inidoneo e, dall'altro, alla distinzione fra atti preparatori ed esecutivi. Più in particolare, quanto al tentativo inidoneo, passate in rassegna le tesi riconducibili alle concezioni oggettive e soggettive, l'attenzione dell'A. si sofferma sulla teoria elaborata da von Liszt, che certamente si presta a rappresentare la convivenza di elementi soggettivi e oggettivi nella teorica del tentativo. Se infatti dell'impostazione oggettiva si richiama l'idea del pericolo quale fondamento della punibilità, le modalità di accertamento di quest'ultimo, la cui sussistenza dipende dalla percezione di un osservatore esterno in una prospettiva ex ante, rivelano al contrario una chiara componente soggettivista.

Sul fronte normativo, l'esame accurato dei lavori per un nuovo codice penale dimostra come la concezione soggettiva domini ormai incontrastata. L'unico elemento rispetto al quale il soggettivismo vacilla, sottolinea l'A., è costituito dal regime sanzionatorio, che tuttavia in tutti progetti successivi a quello del 1913, si riassesterà su soluzioni incentrate sulla prevalenza dell'intenzione, imponendo nuovamente l'equiparazione della pena per il delitto tentato con quello consumato. L'individuazione dell'inizio di esecuzione alla luce della rappresentazione dell'agente e la punibilità del tentativo inidoneo, con la sola eccezione del tentativo superstizioso o irreale, diventano dunque i tratti distintivi dell'istituto in Germania.

La Sez. IV è volta ad individuare i tratti più salienti dell'esperienza giuridica del XX secolo. Due sono i profili, dei molti che emergono dall'esame compiuto dal Prof. Seminara, che qui si segnalano. In questa prospettiva, non si può, in primo luogo, non rilevare come l'alternativa fra soggettivismo e oggettivismo non si presti più ora ad essere sciolta sulla sola base del binomio colpevolezza/dannosità. Essa, investita dal positivismo e dal vigore delle nuove scienze crimonologiche, trova invece un nuovo alimento. E così, alla colpevolezza si affianca la pericolosità dell'agente e, alla dannosità, la pericolosità della condotta, valutata attraverso parametri non solo formali ma anche sostanziali. Più soggettivismi e più oggettivismi dunque. In secondo luogo, si deve sottolineare come, a dispetto delle abissali difformità che caratterizzano la storia politica ed istituzionale dei paesi delle aree prese in esame, la tendenza che, in relazione all'istituto in oggetto, ovunque si manifesta è quella ad estenderne l'ambito di applicazione. Così, se in ordine al problema dell'inizio di punibilità del tentativo, la contrapposizione fra oggettivismo e soggettivismo sfuma nella concorde prevalenza accordata a criteri di tipo sostanzialistico, anche in ordine al problema della idoneità del tentativo, dove l'alternativa fra concezioni oggettive e soggettive dovrebbe rimanere più evidente, si registra una decisa svolta repressiva.

Nella parte III della monografia, l'A. affronta infine "il delitto tentato nell'attuale esperienza giuridica", muovendo da una prospettiva comparata (Cap. VI).

Quali dunque le linee essenziali dello sviluppo della teorica del tentativo nell'esperienza giuridica contemporanea?

In Francia, dove il Codice del 1994 aderisce, sia sul piano definitorio che sanzionatorio, all'equiparazione fra consumazione e tentativo, la disciplina e l'interpretazione attuali dell'istituto si caratterizzano per una sostanziale continuità rispetto all'esperienza del codice previgente. Così, in un contesto interpretativo diretto a rispondere più che ad esigenze dogmatiche a logiche di politica criminale, il problema dell'individuazione del momento iniziale del tentativo viene rimesso a criteri elastici e malleabili, improntati alla prossimità spaziotemporale degli atti alla realizzazione dell'illecito, in un'ottica applicativa, la cui matrice "soggettivistica" o "oggettivistica" rimane in dubbio. Sul fronte dell'idoneità, la valorizzazione delle componenti soggettive si fa invece evidente e porta a ricondurre l'impossibilità a quelle cause indipendenti dalla volontà che impediscono la realizzazione dell'illecito ma non il tentativo. Così, l'idea che ciò che non può essere consumato, può certamente essere tentato, porta l'istituto a sganciarsi da una logica improntata alla tipicità.

In Spagna, se il delitto tentato, nel codice del 1996, pare assumere una consistenza di tipo oggettivo, sul piano dogmatico e applicativo finisce per assestarsi su esiti sostanzialmente conformi a quelli raggiunti in Francia. È dunque ancora una volta la prossimità spaziotemporale degli atti alla realizzazione dell'illecito ad assumere rilievo nell'individuazione dell'inizio dell'esecuzione. Quanto al requisito dell'idoneità, non si può non rilevare come dalla circostanza che la pericolosità del tentativo sia ricondotta alla non assoluta improbabilità di produzione del risultato offensivo (valutata ex ante e da un osservatore esterno) discenda quasi come un corollario la punibilità del tentativo impossibile, sostenuta ora nonostante che nel codice vigente sia scomparsa la disposizione che espressamente la prevedeva. L'oggettivismo apparentemente guadagnato sul piano definitorio sembra dunque nella sostanza svuotato del suo significato essenziale.

Come in Spagna, così in Austria, il fatto che un nuovo codice utilizzi formule riconducibili alla concezione oggettiva, non impedisce alla dottrina e alla giurisprudenza di continuare ad immettere contenuti soggettivi in forme oggettive. In questa prospettiva, è del tutto comprensibile che la prossimità della condotta all'esecuzione, intesa tendenzialmente come prossimità spaziotemporale, sia valutata, quale che sia la teoria cui formalmente si aderisce, alla luce di parametri soggettivi, come la rappresentazione dell'agente.

In Germania, sotto il profilo normativo, ci si mantiene in perfetta continuità rispetto al passato, con l'unica eccezione rappresentata dalla disciplina del tentativo inidoneo, che, rimasta inespressa nel codice previgente, diventa ora esplicita. Il tentativo sussiste dunque, in base al par. 22 del Codice del 1975, tutte le volte in cui, secondo la propria rappresentazione, l'agente si accinga in via immediata alla realizzazione della fattispecie. Prossimità alla condotta tipica o all'evento e definitività della risoluzione criminosa rappresentano i due elementi, il primo oggettivo e il secondo soggettivo, dai quali dipende la soglia di punibilità del tentativo. Ma è in particolare il par. 23, comma 3 a venire in considerazione nella valutazione complessiva del carattere dell'istituto. Così, al di là dei ripensamenti che la scienza penale più recente propone e di cui l'A. dà puntualmente conto, non si può certo negare come, attraverso la disciplina e l'interpretazione di tale disposizione il "putativo" domini sul reale. Consentendo una mera riduzione di pena per il tentativo c.d. grossolano, infatti, la norma in esame afferma, per converso, la punibilità di ogni tentativo inidoneo rispetto al mezzo, all'oggetto o ad un ulteriore elemento della fattispecie, rimanendo esclusa la punibilità del solo tentativo irreale o superstizioso in base alle ordinarie regole sul dolo.

Molto complessa si presenta la situazione italiana. La disciplina del tentativo, le cui origini autoritarie ancora si scorgono, si esprime in una disposizione la cui intrinseca vaghezza riesce a far convivere interpretazioni ancorate ad un sicuro oggettivismo e prassi ispirate, più o meno consapevolmente, ad un altrettanto saldo soggettivismo.

Così, mentre in dottrina, si discute sulla natura, sulla base, sul grado e sul metro del giudizio di idoneità, in giurisprudenza capita troppo spesso di imbattersi in vuote formule che, tramutando il requisito di cui all'art. 56 in un doppione negativo di quello di cui all'art. 49, lo privano di qualsiasi capacità selettiva. Quanto alla direzione degli atti, laddove la dottrina, in nome del principio di offensività, aderisce, pur con diverse sfumature, ad una ricostruzione obiettiva del requisito dell'univocità, la giurisprudenza solo eccezionalmente e raramente si assesta su posizioni oggettive.

Delineati così i tratti della teorica del tentativo nell'esperienza giuridica attuale - tratti da cui emerge limpida la complessità, è il caso di dire veramente "spaziotemporale", delle questioni che animano l'istituto - l'A., nell'ultimo Cap. della sua monografia, volge lo sguardo al "futuro" del delitto tentato. Assunta questa prospettiva, anche al fine di enucleare delle proposte di riforma, si sottolinea come non sia possibile esimersi da considerare tutte le componenti e le esigenze in gioco, nello sforzo, pur faticoso, di porle in un ragionevole equilibrio. Un equilibrio che non sembra certo assicurato dalla teoria formale - obiettiva. Essa, pretendendo di ancorare la punibilità del tentativo alla parziale tipicità degli atti, non solo trascura, sotto un profilo tecnico, il tentativo nei reati causalmente orientati, ma, soprattutto, dimentica l'essenza più intima dell'istituto, da identificare nella sua valenza relazionale che solo la percezione della volontà può chiarire. Sotto un altro profilo poi, l'accertamento dell'idoneità degli atti su base totale, pur discendendo coerentemente dalla valorizzazione del principio di offensività, oltre a sfuggire ad ogni logica general-preventiva, finisce per dimenticare come, già nel tentativo pericoloso su base parziale, sia possibile individuare "un disvalore di condotta, nel quale", per usare le parole dell'A. confluisce "l'intenzione criminosa".

La soluzione proposta dall'A. si centra dunque sul criterio della prognosi postuma. In questa prospettiva, proprio al fine di assicurare quel bilanciamento cui si accennava, diventa essenziale individuare l'estensione delle conoscenze dell'osservatore esterno sulla cui base è compiuto il giudizio. Non bastano le conoscenze dell'agente al momento dell'azione. Certo, esse entrano nella base della valutazione, ma se fossero le sole ad essere considerate, da un lato rimarrebbe ben poco di oggettivo (coincidendo la rappresentazione dell'osservatore con quella dell'agente) e, dall'altro, si finirebbe per escludere la punibilità del solo tentativo irreale. Lo spettatore esterno deve quindi essere identificato in una persona dotata, da un lato, delle conoscenze nomologiche corrispondenti alla migliore scienza ed esperienza; dall'altro, delle conoscenze fattuali relative all'intera azione, così come si è sviluppata fin dalla fase preparatoria. Ancora, ad evitare derive in senso soggettivistico, che anche tale modello di accertamento potrebbe ingenerare, l'assoluta mancanza dell'oggetto dovrebbe di per sé escludere la punibilità del fatto.

La ricerca è così conclusa. Se è vero, come scrive il Prof. Sergio Seminara, che "tutto è già stato pensato e approfondito" e che "a noi posteri spetta essenzialmente di ordinare le idee e di vagliarle alla luce dell'esperienza", certamente, con la monografia che si è recensito, si compie un deciso passo su questa via e verso una comprensione consapevole del delitto tentato.