ISSN 2039-1676


06 marzo 2013 |

L'incompetenza funzionale del giudice a quo, pur rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, non può essere valutata in caso di inammissibilità  originaria dell'impugnazione

Cass. pen., Sez. I, 11.1.2013 (dep. 8.2.2013), n. 6324, Pres. Chieffi, Rel. La Posta, Ric. P.G. in proc. De Giglio

1. Ci sono sentenze della Corte di cassazione apparentemente di routine che scivolano senza particolari echi (perché si occupano di vizi di motivazione, perché ripetono orientamenti pacifici, perché riguardano questioni ictu oculi inammissibili, etc.): tra queste, a una prima lettura, parrebbe doversi annoverare anche la presente. Ma tra le pieghe della pronuncia si possono rinvenire elementi di rilievo per qualche interessante ricaduta su temi di attualità.

Un Procuratore generale ricorre per cassazione contro un provvedimento del giudice dell'esecuzione in tema di indulto, deducendo incompetenza funzionale del g.i.p. presso il tribunale che l'ha deliberato.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso in quanto proposto da soggetto non legittimato (pacifica la giurisprudenza in proposito: tra le ultime, Cass., sez. I, 24 novembre 2010 n. 1375/2011, in C.e.d. Cass., n. 249203; Cass., sez. I, 27 ottobre 2006 n. 38846, ivi, n. 235981). Importa poco che l'incompetenza funzionale del g.i.p. determini nullità assoluta, rilevabile ex officio in ogni stato e grado del procedimento: la mancanza di legittimazione del ricorrente non permette di rilevarla.

Ora, che sia precluso al giudice dell'impugnazione (nella specie quello di legittimità) rilevare l'incompetenza funzionale del giudice che ha assunto il provvedimento impugnato, in presenza di una carenza di legittimazione dell'impugnante, può concedersi: pur potendosi discutere dell'esattezza della tesi, c'è in proposito una giurisprudenza, anche risalente nel tempo, in tal senso (Sez. un., 25 gennaio 2005 n. 4419, in Giust. pen., 2005, III, c. 559, sia pur resa in un caso non esattamente sovrapponibile al presente; sez. III, 3 luglio 2008 n. 38033, in C.e.d. Cass., n. 241280; sez. I, 21 febbraio 1975 n. 439, ivi, n. 130487).

 

2. Non sembrano proprio pertinenti, invece, i precedenti citati nella sentenza in commento: Sez. un., 22 novembre 2000 n. 32, in Arch. n. proc. pen., 2000, p. 44, si occupa di altro problema, statuendo che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p.; sez. IV, 21 maggio 2008 n. 25644, in C.e.d. Cass., n. 240808, si riferisce a un caso di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi che consentirebbe solo il rilievo dell'abolitio criminis e della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, secondo un modulo ricavato proprio dalla sentenza delle Sezioni unite n. 32 del 2000 poc'anzi ricordata.

Decisioni comunque datate, queste ultime due: configurando l'inammissibilità originaria come una sorta di barriera superabile solo negli stessi casi in cui l'art. 673 c.p.p. consente la rimozione del giudicato, danno ingresso, nel corso del giudizio - e fino in cassazione - alla rilevabilità di eventi comunque deducibili in executivis. Oggi, esse andrebbero quanto meno rimeditate, alla luce dei passi in avanti fatti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rimozione del giudicato anche a fronte di eventi diversi da quelli codificati, pur nella non estensibilità per analogia della disposizione contenuta nell'articolo citato (per una lettura estensiva della nozione di "abrogazione della norma incriminatrice" di cui all'art. 673 c.p.p., con riguardo alle sentenze della Corte di giustizia UE suscettibili di determinare effetti analoghi a quelli della abolitio criminis nel diritto interno, si veda sez. I, 29 aprile 2011, n. 20130, in Cass. pen., 2011, p. 3763, con nota di De Amicis, L'obbligo del giudice di disapplicare la norma di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, con riguardo agli effetti dell'esito favorevole di referendum abrogativo, si veda sez. IV, 30 gennaio 1996 n. 255, in C.e.d. Cass. 205304).

 

3. Sembra allora ingiustificata, a questo punto, la limitazione dei poteri del giudice dell'impugnazione in presenza di cause di inammissibilità originaria, come vorrebbe la sentenza in epigrafe. Se la dichiarazione di inammissibilità determina il passaggio in giudicato della sentenza - e se in sede esecutiva va dichiarata l'estinzione del reato per una sopravvenuta amnistia o revocata la sentenza per effetto di una pronuncia della Corte lussemburghese che abbia dichiarato incompatibile la legislazione penale nazionale con i principi del diritto comunitario (sez. VI, 5 novembre 2010 n. 9028/2011, in Dir. pen. proc., 2012, p. 45, con nota di Savio, Poteri del giudice del rinvio in un particolare caso di abolitio criminis; sez. I, 5 ottobre 2011 n. 39566, in C.e.d. Cass., n. 251176; sez. VII, 16 novembre 2011 n. 48054, ivi, n. 251588) - non si vede perché eventi analoghi già verificatisi nel corso del giudizio non debbano essere valutati dal giudice dell'impugnazione, sia o non ammissibile quest'ultima.

Ma sin qui la lacunosa elencazione della sentenza non pare particolarmente grave, perché resterebbe pur sempre, dopo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la possibilità di agire in sede esecutiva per ottenere quel che non si è conseguito nel corso del giudizio e, al più, residuerebbe un problema di irragionevole prolungamento della procedura.

Quel che invece, come corollario delle conclusioni della sentenza, suscita perplessità è l'impossibilità di applicare, a fronte di un ricorso inammissibile, decisioni di incostituzionalità che non abbiano riguardato la norma incriminatrice (superflui, ma non esaustivi, i riferimenti all'aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 11-bis, c.p., dichiarato illegittimo con sentenza n. 249/2010 della Consulta la quale, secondo la giurisprudenza largamente prevalente della Corte di cassazione, va applicata anche in sede esecutiva, mediante l'eliminazione della porzione di pena imputabile all'aggravante stessa: tra le altre, sez. I, 27 ottobre 2011 n. 977/2012, in questa Rivista, con nota di Scoletta; 24 febbraio 2012 n. 19361, ivi, con nota di Gatta; 25 febbraio 2012 n. 26899, in C.e.d. Cass., n. 253084; 9 maggio 2012 n. 26894, inedita; 27 giugno 2012 n. 28465, inedita).

Se la deduzione è esatta - tenuto conto che in un caso del genere, in sede esecutiva, non soccorrerebbe la lettera della legge ma solo un orientamento giurisprudenziale che, per quanto prevalente, non è univoco - la pronuncia in commento segna di sicuro, salvo che non abbia detto minus quam voluit, un passo indietro rispetto al ricordato trend giurisprudenziale, contrastato solo da sez. I, 19 gennaio 2012 n. 27640, in C.e.d. Cass., n. 253383 e, per implicito, da sez. I, 21 giugno 2012 n. 29755, inedita.