ISSN 2039-1676


22 dicembre 2016 |

Dichiarazione di incompetenza e diretta trasmissione degli atti al giudice competente: atto abnorme o (in certi casi) legittimo? La parola alle Sezioni Unite

Nota a Cass., Sez. V, ord. 3 novembre 2016 (dep. 28 novembre 2016), n. 50402, Pres. Zaza, Est. Pezzullo

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1. Con l’ordinanza qui illustrata, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha invocato l’intervento delle Sezioni Unite al fine di comporre un contrasto giurisprudenziale rilevato in relazione al disposto dell’art. 23, comma 1, c.p.p.[1].

Per poter comprendere appieno il nodo problematico della questione, si deve innanzitutto segnalare come la norma dibattuta – la quale, come noto, detta la disciplina processuale della dichiarazione di incompetenza nel dibattimento di primo grado – sia stata oggetto di più censure da parte della Consulta: la Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza n. 76 dell’11 marzo 1993[2], ne dichiarò l’illegittimità costituzionale nella parte in cui essa prevede che «quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordini la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al Pubblico Ministero presso quest'ultimo»; con successiva ed analoga pronuncia, la medesima dichiarazione di illegittimità costituzionale fu estesa ai casi di dichiarazione di incompetenza per territorio[3].

 

2. Per mezzo del ricorso che presto occuperà le Sezioni Unite[4], i due imputati intendono censurare la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Messina che – confermando la decisione di primo grado – li ha condannati alla pena di 18 anni di reclusione ciascuno per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 600 commi 1 e 3 c.p., 609-octies c.p. e 609-ter commi 1 e 2 c.p., che essi avrebbero consumato riducendo e mantenendo in schiavitù i loro nipoti minorenni mediante maltrattamenti, percosse e costrizioni a subire rapporti sessuali anche con terzi estranei.

Non si può prescindere, a questo punto, da un breve riepilogo della singolare vicenda processuale in esame: infatti, dopo la richiesta di rinvio a giudizio da parte del competente ufficio del Pubblico Ministero, il G.U.P. di Messina – pur essendo di fronte ad un reato (l’art. 600 c.p.) per il quale l’art. 5, lettera d-bis), c.p.p. prevede la competenza della Corte d’Assise – errò nell’individuazione del giudice competente, rinviando gli imputati al giudizio del Tribunale di Messina, in composizione collegiale; lo stesso Tribunale, su eccezione della difesa, pronunciò sentenza di incompetenza per materia, trasmettendo però gli atti non al Pubblico Ministero in sede (in ottemperanza a quanto previsto dalla già citata sentenza costituzionale n. 76/1993) ma direttamente alla locale Corte di Assise (applicando, così, l’originario disposto dell’art. 23 c.p.p.). Nel corso della prima udienza dibattimentale avanti ai giudici d’assise, la difesa eccepì la mancata trasmissione degli atti al P.M., ma la Corte ritenne che – essendo state l’azione penale esercitata e l’udienza preliminare celebrata da magistrati competenti nelle rispettive posizioni di P.M. e di G.U.P. – il procedimento fosse stato correttamente trasmesso al giudice realmente competente per il dibattimento.

Tutto ciò premesso, con il primo dei quattro motivi di ricorso per cassazione, gli imputati lamentano oggi – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera c), c.p.p. – l’erronea applicazione delle norme processuali di cui agli artt. 23, comma 1, c.p.p. (come modificato dalla sentenza di illegittimità costituzionale sopra richiamata), 429 c.p.p., 132 disp. att. c.p.p., 178, comma 1, lettera b) e 179 c.p.p.: in sostanza, secondo i ricorrenti, la sentenza con cui il Tribunale di Messina dichiarò la propria incompetenza dovrebbe ritenersi del tutto abnorme, poiché – avendo trasmesso gli atti direttamente alla Corte d’Assise – essa sarebbe “assolutamente dissociata dal dettato normativo relativo all’iniziativa del Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale”; l’esistenza del vizio dedotto, dunque, comporterebbe la nullità di entrambi i giudizi di primo e di secondo grado, con conseguente regressione del procedimento.

 

3. La quinta sezione della Corte, nel rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ha doverosamente riepilogato i tratti salienti dei due orientamenti contrastanti, assunti peraltro in tempi relativamente ravvicinati ed in seno alla medesima sezione.

In primo luogo, Cass., sez. V, sent. 27 febbraio 2013, n. 18710 aveva sostenuto che «la trasmissione degli atti al giudice competente, anziché al Pubblico Ministero presso quest’ultimo, [fosse] illegittima soltanto ove si tratti di un Pubblico Ministero e di un giudice dell’udienza preliminare diversi da quelli che, rispettivamente, avevano esercitato l’azione penale e celebrato l’udienza»: tale determinazione, in particolare, era derivata dalla lettura di C. Cost. 10 aprile 2001, n. 104, con la quale il giudice delle leggi – richiamando espressamente le proprie decisioni del 1993 e del 1996 – aveva comunque escluso l’esigenza di trasmettere gli atti al P.M. nei casi di dichiarazione di incompetenza (per territorio) in relazione ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., posto che le due precedenti decisioni avevano emendato l’art. 23, comma 1, c.p.p. «sul presupposto implicito di un pubblico ministero e di un giudice dell'udienza preliminare diversi da quelli che, rispettivamente, avevano esercitato l'azione penale e celebrato l’udienza»[5].

Secondo l’interpretazione opposta, prescelta da Cass., sez. V, sent. 15 luglio 2014, n. 47097, la dichiarazione di incompetenza per materia imporrebbe sempre la regressione del procedimento con trasmissione degli atti al Pubblico Ministero: la pronuncia citata, infatti, aveva ritenuto insuperabile la dichiarazione di illegittimità costituzionale data dalla sentenza 76/1993, osservando come le conclusioni di tale decisione della Consulta avessero completamente trasceso l’aspetto “meramente pratico” dell’identità o meno degli uffici del P.M. e del G.U.P. e, anzi, avessero per di più sostenuto che l’errata destinazione dibattimentale del procedimento avrebbe inficiato la sostanza stessa dell’azione penale[6]; la stessa pronuncia di legittimità, inoltre, ponendosi in aperto contrasto con la precedente sentenza 18710/2013, aveva sostenuto la non pertinenza del riferimento alla sentenza n. 104/2001 della Corte Costituzionale, sottolineando come quest’ultima fosse riferita esclusivamente ai casi di dichiarazione di incompetenza per territorio.

 

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4. Dunque, chiariti come sopra i termini della questione, non resta che attendere quella che sarà la risolutiva pronuncia delle Sezioni Unite.

Sembra peraltro a chi scrive che una corretta interpretazione della norma processuale qui dibattuta – o, meglio, delle pronunce della Corte Costituzionale intervenute su di essa – faccia propendere per la soluzione favorevole all’immediata trasmissione degli atti da parte del giudice adito al giudice dibattimentale competente, ogniqualvolta in cui gli uffici del P.M. e del G.U.P. siano gli stessi che sin dall’origine si sono occupati della vicenda.

Un’attenta lettura della sentenza n. 76/1993 della Corte Costituzionale, infatti, rende evidente che il giudice delle leggi – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, c.p.p. nel limite di quanto già più volte indicato – sviluppò le proprie argomentazioni muovendo «dalla indiscutibile premessa che la soluzione delineata [dallo stesso art. 23 c.p.p.] quale seguito della declaratoria d'incompetenza per materia da parte del giudice del dibattimento priva l'imputato della possibilità di richiedere il giudizio abbreviato in ordine alla situazione profondamente diversa insorta per effetto di un errore in precedenza da altri commesso nella individuazione della competenza per materia». La Consulta, in sostanza, censurò la disposizione processuale in parola per la violazione dell’art. 24 della Costituzione: sarebbe derivata all’imputato una sostanziale lesione del diritto di difesa qualora costui non fosse stato messo nella posizione di poter chiedere di procedersi con riti alternativi (o, diversamente, di vedersi rinviare a giudizio) avanti al giudice che sarebbe stato naturalmente deputato ad esprimersi.

Quest’ultima sottolineatura rende evidente che – nei casi in cui, dopo la dichiarazione di incompetenza per materia in sede dibattimentale, gli uffici del P.M. e del G.U.P. che dovrebbero procedere risultino gli stessi che, in precedenza, avevano già proceduto (e, di conseguenza, anche già consentito all’imputato di operare le proprie eventuali scelte in punto di riti alternativi) – non si potrebbe ravvisare alcuna lesione del diritto di difesa nel senso precedentemente illustrato: quindi, la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero non verrebbe che a costituire l’inizio di una inutile e superflua duplicazione di una fase procedimentale già regolarmente celebrata.

Ovviamente diverso è il problema nei casi di declaratoria di incompetenza per territorio: con la ricorrenza di tale fattispecie, infatti, gli uffici della Procura e del G.U.P. che avrebbero dovuto procedere secondo le regole di competenza applicate della sentenza pronunciata ex art. 23 c.p.p. sarebbero indubbiamente diversi da quelli che – al contrario – avevano provveduto alle indagini e all’udienza preliminare[7]. In questo contesto, la decisione assunta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/1996 appare sostanzialmente indiscutibile e, dunque, gli atti andranno senz’altro trasmessi all’ufficio del Pubblico Ministero presso il giudice ritenuto competente, affinché lo stesso P.M. possa esercitare l’azione penale avanti al corretto giudice naturale e possa così consentire all’imputato di operare le proprie scelte difensive avanti al medesimo giudice, naturalmente competente.

 

5. Ci pare, d’altra parte, che le argomentazioni poc’anzi proposte trovino ulteriore avallo nella già citata sentenza n. 104/2001 della Corte Costituzionale: in essa, il giudice delle leggi – nel dichiarare l’infondatezza della questione allora proposta sempre in relazione all’art. 23, comma 1, c.p.p. – ha fornito il corretto parametro interpretativo delle proprie precedenti decisioni in questa materia.

Con tale pronuncia, infatti, la Consulta – lungi dal riferirsi esclusivamente ai casi di dichiarazione di incompetenza per territorio, pur pronunciandosi a seguito di un’ordinanza di rimessione relativa ad un caso di incompetenza territoriale infradistrettuale[8] – rende esplicita la ratio decidendi delle proprie precedenti sentenze nn. 76/1993 e 70/1996: il giudice costituzionale, infatti, censura «l’erroneo presupposto interpretativo» delle due decisioni per il quale «anche nei casi in cui il rinvio a giudizio è disposto da un giudice dell’udienza preliminare ritualmente investito della competenza, la declaratoria di incompetenza pronunciata dal giudice del dibattimento debba comportare la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, anziché direttamente al giudice competente per il giudizio».

Posto ciò, argomentando a contrario, la soluzione corretta della questione rimessa alle Sezioni Unite sembra apparire da sé; la Corte Costituzionale potrebbe aver già fornito al Supremo Collegio il “suggerimento” per giungere alla definitiva soluzione della questione.

 

[1] Per comodità del lettore, si riporta di seguito il testo (originario) della norma di legge richiamata: «Se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa e ordina la trasmissione degli atti al giudice competente».

[2] La sentenza C. Cost. 11 marzo 1993, n. 76, che verrà diffusamente richiamata in seguito, è pubblicata in Consulta online.

[3] Il riferimento è a C. Cost. 15 marzo 1996, n. 70, anch’essa pubblicata in Consulta online, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, c.p.p., «nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio».

[4] Si anticipa sin d’ora che il Supremo Collegio si pronuncerà all’udienza del 30 marzo 2017: la nostra Rivista avrà cura di dare immediata notizia della decisione che sarà assunta.

[5] Così C. Cost. 22 marzo 2001, n. 104, a sua volta pubblicata in Consulta online.

[6] In senso sostanzialmente conforme, si veda anche Cass., sez. I, sent. 20 settembre 2010, n. 37037.

[7] Sono fatti salvi, ovviamente, i casi di incompetenza territoriale infradistrettuale in relazione ai reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., per i quali valgono considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione alle fattispecie di incompetenza per materia: in questi casi – secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 104/2001 della Corte Costituzionale, coerentemente con quanto si sostiene in questa sede – la disposizione imposta dalla sentenza n. 70/1996 deve ritenersi valida solo nelle ipotesi in cui venga ritenuto competente un giudice dell’udienza preliminare di altro distretto; sul punto, si rinvia direttamente alla lettura della sentenza n. 104/2001 (v. nota n. 5).

[8] Si legga la precedente nota n. 7.