ISSN 2039-1676


09 ottobre 2017 |

Dichiarazione di incompetenza per materia nei procedimenti per reati di competenza distrettuale: per le Sezioni Unite è legittima la diretta trasmissione degli atti al giudice competente

Cass., SSUU, sent. 23 marzo 2017 (dep. 31 agosto 2017), n. 39746, Pres. Canzio, Rel. Cammino

Contributo pubblicato nel Fascicolo 10/2017

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1. Con la sentenza qui pubblicata, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione compongono il contrasto giurisprudenziale segnalato dalla Sezione V relativamente alla portata applicativa dell’art. 23 c.p.p., nel testo modificato dal noto intervento che la Corte Costituzionale ha operato su di esso[1].

I giudici di legittimità, in particolare, hanno dovuto chiarire «se il Tribunale, con la sentenza dichiarativa di incompetenza per materia per uno dei reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., attribuiti alla competenza della Corte di Assise, debba trasmettere gli atti al giudice ritenuto competente per il giudizio ovvero al Pubblico Ministero presso quest’ultimo».

 

2. Il ricorso – appare opportuno ricordarlo – si colloca in un procedimento per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 600 commi 1 e 3 c.p., 609-octies c.p. e 609-ter commi 1 e 2 c.p., contestati a carico dei nonni materni in danno dei nipoti minorenni: gli imputati, secondo la ricostruzione accusatoria accolta dai giudici di merito e definitivamente confermata anche in Cassazione, ridussero e mantennero in schiavitù le giovani persone offese mediante maltrattamenti, percosse e costrizioni a subire rapporti sessuali anche con terzi estranei.

In questo contesto, la questione controversa ebbe origine da un errore procedurale nell’individuazione del giudice dibattimentale, avvenuto in sede di udienza preliminare: in particolare, dopo l’esercizio dell’azione penale da parte del competente ufficio del Pubblico Ministero, il G.U.P. rinviò gli imputati al giudizio del Tribunale in composizione collegiale anziché della Corte di Assise, competente per materia in relazione al delitto di riduzione e mantenimento in schiavitù (art. 600 c.p.); lo stesso Tribunale, nel pronunciare sentenza di incompetenza per materia, trasmise però gli atti non al Pubblico Ministero ma direttamente alla locale Corte di Assise (applicando, così, l’originario disposto dell’art. 23 c.p.p. e non il testo emendato dalla Corte Costituzionale). All’apertura del dibattimento avanti ai giudici d’assise, la difesa eccepì la mancata trasmissione degli atti al P.M., ma la Corte ritenne che – essendo state l’azione penale esercitata e l’udienza preliminare celebrata da magistrati competenti nelle rispettive posizioni di P.M. e di G.U.P. – il procedimento fosse stato correttamente trasmesso al giudice realmente competente per il dibattimento; la medesima eccezione, con il medesimo esito, fu successivamente affrontata nel corso del giudizio d’appello. La difesa degli imputati, dunque, ha introdotto il giudizio di legittimità contestando l’abnormità delle decisioni di merito in parte qua.

 

3. A fronte degli opposti orientamenti segnalati dal Collegio rimettente, le Sezioni Unite evidenziano – come già osservato dalla nostra Rivista in sede di commento all’ordinanza di rimessione[2] – che, in verità, «il contrasto giurisprudenziale riguarda la questione già affrontata, con riferimento all’incompetenza per territorio, dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 104 del 2001»: con tale decisione, il giudice delle leggi dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 24 c.p.p. poiché, anche a seguito della sentenza n. 70/1996 della stessa Corte Costituzionale[3], «l’esigenza di salvaguardare il diritto dell’imputato ad avvalersi del rito abbreviato dinanzi al giudice naturale non ricorre nei casi di procedimenti attratti alla sede distrettuale, […] nei quali la competenza territoriale infradistrettuale acquista rilievo solo nella fase del dibattimento».

 

4. Su questa premessa, nonostante le conclusioni difformi rassegnate dalla Procura Generale, le Sezioni Unite giungono con agilità alla soluzione della questione.

Il Supremo Collegio, in particolare, introduce le proprie osservazioni sostenendo come sia la stessa motivazione della citata sentenza costituzionale n. 104/2001 a delimitare specificamente l’ambito applicativo della precedente sentenza n. 70/1996: la pronuncia costituzionale del 2001, infatti, afferma che «dal tenore dello stesso dispositivo della sentenza n. 70/1996 si evince che ove è dichiarata l’illegittimità delle norme censurate, nella parte in cui prevedono “la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al Pubblico Ministero presso quest’ultimo”, si fa riferimento al caso di un Pubblico Ministero e di un giudice dell’udienza preliminare diversi da quelli che, rispettivamente, avevano esercitato l’azione penale e celebrato l’udienza», caso – questo – praticamente mai concretizzabile nei procedimenti per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., ove le funzioni di P.M. e di G.U.P. sono sempre e comunque accentrate nella sede giudiziaria a capoluogo del distretto. In sostanza, fatta salva l’ipotesi in cui ad essere messa in discussione sia la stessa competenza distrettuale, l’imputato che sia sottoposto alle indagini e che affronti l’udienza preliminare avanti agli uffici giudiziari del capoluogo distrettuale non sarebbe mai sottratto al proprio giudice naturale in caso di diretta trasmissione degli atti al giudice competente.

Secondo le Sezioni Unite, dunque, un caso come quello qui di interesse – in cui il Tribunale si dichiari incompetente per materia per reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e la Corte di Assise competente sia compresa nell’ambito del medesimo distretto – «non presenta sostanziali differenze rispetto a quello (relativo ad una questione di incompetenza per territorio, n.d.a.) oggetto della sentenza n. 104/2001 della Corte Costituzionale», per più ordini di motivi:

A) innanzitutto, per l’analoga formulazione del dispositivo e per l’identico iter di ragionamento seguito dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 70/1996 (sulla dichiarazione di incompetenza per territorio) e n. 76/1993 (sulla dichiarazione di incompetenza per materia);

B) in secondo luogo, per il fatto che la regressione del procedimento comporterebbe per l’imputato la mera ripetizione di fasi processuali già ritualmente svolte avanti al giudice naturale, con un irragionevole allungamento del procedimento;

C) infine, perché il principio di irretrattabilità dell’azione penale (stabilito dall’art. 50, comma 3, c.p.p.) non lascerebbe comunque spazio a prospettive più favorevoli per l’imputato, posto che anche in caso di regressione del procedimento il P.M. sarebbe comunque vincolato ad esercitare nuovamente l’azione penale[4].

 

5. Nel dichiarare infondato il motivo di ricorso, quindi, la sentenza afferma il seguente principio di diritto: «il Tribunale, con la sentenza dichiarativa di incompetenza per materia per uno dei reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., attribuiti alla competenza della Corte d’Assise, deve trasmettere gli atti direttamente alla Corte di Assise per il giudizio, sempreché non sia stata dichiarata la competenza del giudice di altro distretto e le funzioni di Pubblico Ministero e giudice dell’udienza preliminare siano state svolte rispettivamente dal P.M. e dal giudice competenti funzionalmente ai sensi degli artt. 51, comma 3-bis, ultimo periodo e 328, comma 1-bis, c.p.p.».

 

6. Per completezza, pare corretto dare conto della decisione assunta dalle Sezioni Unite in ordine agli ulteriori tre motivi di ricorso presentati dagli imputati.

Quanto al secondo motivo – relativo al mancato espletamento di una perizia sulla capacità a testimoniare di una persona offesa minorenne, contestato quale mancata assunzione di prova decisiva – la Corte ha concluso per l’infondatezza, in quanto «il diniego della perizia è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione».

Il terzo motivo di ricorso, attinente alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata in punto di valutazione probatoria, è stato tacciato dalle Sezioni Unite come del tutto generico e formulato in modo stereotipato.

Il quarto ed ultimo motivo, concernente questioni relative al trattamento sanzionatorio, è stato giudicato attinente a questioni di merito, comunque adeguatamente motivate nella decisione della Corte territoriale.

In conclusione, come anticipato, le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso e confermato la condanna degli imputati alla pena di diciotto anni di reclusione ciascuno.

 


[1] Si deve ricordare, infatti, come la Consulta – con la sentenza n. 76/1993 (e successive conformi) – abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui essa prevede che «quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordini la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al Pubblico Ministero presso quest'ultimo».

[2] Si consenta, a tal proposito, il rinvio a E. Andolfatto, Dichiarazione di incompetenza e diretta trasmissione degli atti al giudice competente: atto abnorme o (in certi casi) legittimo? La parola alle Sezioni Unite, in questa Rivista, 22 dicembre 2016.

[3] Sentenza con la quale, lo si ricorda, la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 c.p.p. «nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al Pubblico Ministero presso quest'ultimo quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio».

[4] Cfr., sul punto, Cass., Sez. II, sent. 10 marzo 1998, n. 1787, e successive conformi.