28 giugno 2013 |
Le Sezioni unite preparano il terreno per un ripensamento del rapporto fra competenza per connessione e principio del "giudice naturale precostituito per legge"
Cass., Sez. un., 28 febbraio 2013, n. 27343 (dep. 21 giugno 2013), Pres. Lupo, Rel. Marasca
1. La competenza per connessione si trova spesso al centro del dibattito giurisprudenziale. Dall'introduzione del nuovo codice, sui suoi presupposti sono sorti svariati contrasti interpretativi, frutto di raffigurazioni discordanti di quel principio del «giudice naturale precostituito per legge», delineato dalla nostra Carta fondamentale.
La sentenza delle Sezioni unite che si presenta si spinge all'interno di questo spinoso problema e rivisita alcuni dei capisaldi che hanno sinora caratterizzato l'esegesi della materia.
2. Si trattava «di stabilire se la competenza per connessione di cui agli artt. 15 e 16 cod. proc. pen. [fosse] o meno subordinata alla pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado del procedimento»[1].
La giurisprudenza della Cassazione - pressoché monolitica sul punto - ha quasi sempre ritenuto che la connessione determini la competenza, soltanto qualora i procedimenti connessi pendano nella medesima fase processuale: ad esempio, l'applicabilità degli artt. 15 e 16 c.p.p. è stata negata fra procedimenti giunti al dibattimento e altri, ancora in indagini[2]; allo stesso modo, non scatta la traslatio iudici, qualora un giudizio si sia concluso in primo grado con rito ordinario e l'altro con rito abbreviato[3], oppure quando uno dei reati è al vaglio del giudice dell'udienza preliminare, mentre l'altro è già stato accertato dal giudice di prime cure[4].
Le Sezioni unite disattendono questa impostazione e, sulla base di alcune precise indicazioni sistematiche e normative, aderiscono all'orientamento largamente minoritario[5], secondo cui lo stato e il grado dei procedimenti non hanno alcuna ripercussione sull'operatività dei criteri della competenza per connessione.
3. Per sostenere questa tesi, viene in primo luogo ricordata l'evoluzione storica dell'istituto, sin dal previgente codice Rocco: i numerosi - e spesso discrezionali - casi di connessione costituivano una deroga agli "ordinari" criteri di determinazione della competenza (per territorio e per materia) ed erano manifestamente improntati alla celebrazione di un simultaneus processus; la pendenza dei procedimenti nel medesimo stato e grado era quindi inevitabile presupposto del trasferimento della competenza.
La molteplicità delle ipotesi di connessione e l'ampio margine di discrezionalità concesso al giudice crearono però non poche perplessità, in ragione del probabile contrasto con i dettami dell'art. 25, comma 1, Cost.: tale disposizione, spiegano le Sezioni unite, richiede infatti «norme chiare da interpretare in maniera rigorosa e spazi di discrezionalità del giudice assenti o, comunque, limitati».
Il nuovo codice ha dunque optato per un radicale mutamento: la competenza per connessione doveva infatti assumere caratteri di autonomia e cessare di essere legata a doppio filo all'evenienza della riunione; inoltre, i suoi presupposti dovevano essere ancorati a fatti oggettivi, così da circoscrivere il margine valutativo del giudicante[6].
L'istituto è stato quindi inserito in un'apposita sezione, proprio al fine di palesarne la nuova veste di «criterio attributivo della competenza, analogo a quello stabilito per materia e per territorio»[7].
Allo stesso modo, mentre il codice del 1930 (art. 47) trattava di «effetti della connessione sulla competenza» (così esplicitandone il mero valore derogatorio), gli artt. 15 e 16 c.p.p. sono stati rubricati rispettivamente «competenza per materia determinata da connessione» e «competenza per territorio determinata da connessione».
Infine, si è reciso qualsiasi collegamento fra l'operatività della connessione e la pendenza dei procedimenti nel medesimo stato e grado; una tale limitazione - come si legge nella Relazione al Progetto del nuovo codice - «non è pertinente al tema della connessione concepita come criterio autonomo di attribuzione di competenza, ma a quello della riunione dei procedimenti che è effetto solo eventuale della competenza per connessione»[8].
4. Viene poi effettuato un confronto fra la disciplina della competenza per connessione e quella della riunione. Nell'attuale assetto codicistico, quest'ultima (art. 17 c.p.p.) «è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice»; «attiene alla distribuzione interna dei processi ed all'economia dei giudizi»; «può avere ad oggetto solo i processi e non anche i procedimenti»; infine, «presuppone che i procedimenti siano pendenti nello stesso stato e grado dinanzi al medesimo giudice e che non pregiudichi le esigenze di celerità nella definizione dei giudizi».
La competenza per connessione è invece disciplinata sulla base di requisiti e presupposti tutt'affatto diversi e la «praticabilità» o meno della riunione non ne condiziona in alcun modo l'operatività.
5. In breve, attraverso l'interpretazione sistematica, l'analisi della voluntas legis e l'esame della disciplina codicistica, le Sezioni unite giungono ad affermare la totale indipendenza fra competenza per connessione e riunione, in quanto la prima non può più essere considerata in alcun modo servente rispetto alla seconda.
Quella giurisprudenza maggioritaria, che postulava la necessaria pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado, sarebbe allora caduta in equivoco, realizzando un'ingiustificata sovrapposizione fra i due istituti.
6. Dopo aver raggiunto questo approdo, le Sezioni unite - addentrandosi nella parte più interessante del loro pensiero - vagliano la compatibilità della soluzione prospettata, rispetto al principio del «giudice naturale precostituito per legge».
Si ricorda anzitutto una sentenza della Corte costituzionale, secondo cui il concetto di giudice "naturale" non si risolverebbe tout court in quello del giudice "precostituito" per legge: nel processo penale, «il predicato della naturalità assumerebbe [...] un carattere del tutto particolare in ragione della fisiologica allocazione di quel processo nel locus commissi delicti»[9].
Così interpretato, l'art. 25, comma 1, Cost. potrebbe effettivamente comportare profili d'illegittimità delle norme in materia di connessione, di per sé improntate a sottrarre (almeno uno) dei procedimenti connessi alla sede giudiziaria del luogo di commissione del fatto.
Tuttavia, come anche espresso dalla più recente giurisprudenza costituzionale, la principale garanzia, sottesa a tale disposizione, resta la necessaria predeterminazione del giudice competente[10].
Affinché questo obiettivo possa essere realizzato, spiegano le Sezioni unite, è prima di tutto necessario che la determinazione della competenza avvenga «in base a norme caratterizzate da un sufficiente grado di determinatezza, di rigorosa interpretazione e sottratte nella misura massima possibile a valutazione di discrezionalità».
In questo contesto, l'introduzione negli artt. 15 e 16 c.p.p. di un requisito non previsto dal sistema - «quale la pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado» - finirebbe allora per tradire il significato autentico del principio del «giudice naturale precostituito per legge»: verrebbe infatti posta una condizione «non previst[a] dal legislatore, non ricavabile dal tessuto normativo e tale da creare incertezza sulla sua applicazione».
In sostanza, nella visione della Corte, era proprio l'orientamento giurisprudenziale maggioritario a rendere l'istituto della competenza per connessione incompatibile con il succitato principio: l'imposizione dello stesso requisito previsto per la riunione consentiva infatti scelte discrezionali e valutazioni di opportunità nell'individuazione del giudicante.
7. La soluzione offerta dalle Sezioni unite pare da condividere.
Il dettato normativo non offre alcuno spunto per ritenere esistente il requisito della pendenza nel medesimo stato e grado dei procedimenti connessi; anzi, il codice non lo esplicita in alcuna maniera e la Relazione al Progetto preliminare lo esclude espressamente.
Indiscutibili paiono anche le conseguenze tratte dalla ricognizione storica dell'istituto: da deroga alla competenza per materia e per territorio, discrezionalmente condizionata dalla volontà di riunire i procedimenti per reati connessi, la competenza per connessione è stata certamente elevata a criterio autonomo, operante ex ante rispetto a qualsiasi successiva dinamica processuale[11].
8. Ci si deve allora interrogare sulle motivazioni, che hanno finora sorretto l'interpretazione dominante.
Le stesse sentenze, citate dalle Sezioni unite, sono invero piuttosto laconiche e si limitano a ribadire la sussistenza di un costante, inveterato orientamento. Tuttavia, tra le righe di alcune di esse è forse possibile cogliere una linea di tendenza.
Si consideri, ad esempio, la decisione in cui si è stabilito che «lo spostamento della competenza territoriale per connessione non opera quando il procedimento esercitante la vis attractiva sia nella fase delle indagini preliminari mentre per l'altro sia già avvenuta la devoluzione alla fase del giudizio»; tale affermazione viene giustificata, spiegando che «diversamente, per il procedimento attratto si determinerebbe una inammissibile regressione alla fase predibattimentale»[12].
A ben vedere, dalla motivazione di questa sentenza, si intuisce chiaramente come, la Cassazione tenda a parametrare l'applicabilità della competenza per connessione all'eventuale riunione dei procedimenti, quasi come l'una comportasse automaticamente l'altra: infatti, valutata sfavorevolmente quest'ultima possibilità, la disciplina dell'art. 16 c.p.p. è stata del pari esclusa.
Possiamo dunque supporre che parte della giurisprudenza sia rimasta ancorata al previgente assetto normativo e, compiendo una valutazione prognostica sull'opportunità di svolgere un simultaneus processus, finisca per trasferire i requisiti della riunione sulle regole della connessione. Vi è però un'altra ragione, più impalpabile, sottesa all'indirizzo prevalente; è una ratio, che esorbita dal piano codicistico e risale fino alla Costituzione, a quel principio del «giudice naturale precostituito per legge», cui queste Sezioni unite - non per nulla - hanno deciso di fare ampio riferimento.
Le due tradizionali concezioni di tale principio hanno segnato gli opposti cammini del legislatore e della giurisprudenza[13].
Il primo, come si è visto, dall'avvento della nuova procedura penale (seppur con il revirement del 1991, poi quasi del tutto sterilizzato dalla legge attuativa del "giusto processo"[14]), si è limitato a creare una disciplina della competenza per connessione il più possibile oggettiva e meno discrezionale. Questa scelta corrisponde a una visione dell'art. 25, comma 1, Cost., quale norma impositiva di una chiara e certa predeterminazione del giudice competente.
La Corte di cassazione, in linea con parte della dottrina[15], sembra invece supporre che il requisito della "naturalità" esiga un quid pluris rispetto alla semplice precostituzione per legge del giudice competente: esso rivelerebbe un favor costituzionale nei confronti del forum commissi delicti.
Di qui, varie e ben note operazioni esegetiche, attraverso le quali la giurisprudenza ha tentato di circoscrivere il più possibile l'operatività delle regole della competenza per connessione.
Basti pensare ai vari orientamenti, secondo cui la connessione tra procedimenti può operare solo se i criteri contemplati dall'art. 12 c.p.p. risultano applicabili a tutti gli imputati; la preoccupazione della giurisprudenza è quella di evitare che un imputato venga sottratto al giudice del locus commissi delicti, per il solo fatto che un coimputato debba rispondere di un reato diverso e commesso altrove, ma prevalente ai fini della determinazione della competenza per connessione[16].
Secondo l'orientamento prevalente, infatti, «non si verifica spostamento della competenza per connessione prevista dagli art. 12 c.p.p., lett. b) e c), qualora i reati siano stati commessi da soggetti diversi. [...] l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei procedimenti per reati commessi in continuazione o connessi teleologicamente non può pregiudicare quello del coimputato (o dei coimputati) a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza»[17].
Ancora una volta, la competenza per connessione viene considerata una disciplina derogatoria rispetto alle regole "ordinarie" e affiora il palese intento di preservare il criterio del forum commissi delicti, come «coerente espressione del principio del giudice naturale dettato dall'art. 25 della Cost.»[18].
Infine, anche l'orientamento censurato dalle Sezioni unite è una chiara testimonianza di questa volontà: l'applicazione degli artt. 15 e 16 c.p.p. è stata limitata ai casi di procedimenti pendenti nello stesso stato e grado, proprio al fine di imbrigliare l'operatività della competenza per connessione.
Ecco dunque spiegate le ragioni, per cui la Cassazione è parsa spesso piuttosto diffidente nei confronti dell'applicazione delle regole competenza per connessione e le abbia sempre attuate con scrupolosa parsimonia.
9. A ben considerare, però, come hanno anche intuito le Sezioni unite, una stretta immedesimazione del giudice "naturale" con quello del luogo di commissione del fatto non sembra avere solide fondamenta: per rendersene conto, è sufficiente esaminare la pressoché costante giurisprudenza della Corte costituzionale[19], raramente impegnata nell'attribuire a tale giudice un significato differente da quello di "precostituito"[20].
Questa decisione segna allora una svolta importante e le Sezioni unite, proprio rifacendosi alla giurisprudenza del Giudice delle leggi, hanno voluto fornire una chiara precisazione: il principio di cui all'art. 25, comma 1, Cost. non trova tutela in una forzosa limitazione dei casi di connessione, ma piuttosto nell'uso di parametri oggettivi, predefiniti e determinati, tali da non far dipendere l'attribuzione della competenza dalle dinamiche processuali o dalla volontà dei protagonisti del processo.
In altre parole, la Corte sembra voler dire che l'eccessiva tutela, fino a oggi apprestata, nei confronti di una presunta naturalità, ha paradossalmente rischiato di far vacillare l'unica garanzia, che la Costituzione effettivamente esige: una legge certa, che attribuisca in modo chiaro a ognuno il proprio giudice, indipendentemente dal locus commissi delicti, o da qualsiasi altra contingenza, che possa riguardare lo svolgimento del processo.
Si scopre così che, dopo la risoluzione di questo contrasto giurisprudenziale, per la prima volta il legislatore, la Corte costituzionale e la Corte di cassazione paiono muoversi in un'unica direzione, accomunati da visioni - in linea di massima - assimilabili dei principi costituzionali, posti alla base della disciplina della competenza. Ciò che potrebbe condurre a una maggiore apertura della giurisprudenza nei confronti dell'istituto della connessione.
[1] Per una ricognizione generale del tema e per ulteriori indicazioni bibliografiche, si veda E.M. Catalano, La competenza per connessione rispetto a procedimenti pendenti in gradi diversi: fattore di tutela o strumento di eversione rispetto alla garanzia del giudice naturale, in Diritto penale contemporaneo, n. 1, 2013, pp. 226-231.
[2] Così, Cass., sez., VI, 19 maggio 1999, n. 8656, in C.E.D. Cass., n. 214685.
[3] In questo senso, Cass., sez., I, 10 giugno 2010, n. 26857, in C.E.D. Cass., n. 247728.
[4] Si veda, Cass., sez., I, 14 maggio 2009, n. 24072, in C.E.D. Cass,, n. 244027.
[5] In questo senso, Cass., sez. I, 12 giugno 1997, n. 4125, in Cass. pen., 1998, p. 2030; Cass., sez. I, 8 luglio 1992, n. 3312, in C.E.D. Cass., n. 191755.
[6] Come ricordano anche le Sezioni unite, la disciplina originaria del 1988 è stata rimaneggiata nel 1991 (art. 1, d.l. 20 novembre 1991, n. 367, conv. con mod. dalla l. 20 gennaio 1992, n. 8) e i casi di connessione, insieme con la discrezionalità del giudicante, erano ulteriormente accresciuti. Tuttavia, con la legge attuativa del "giusto processo" (art. 1, comma 1, l. 1 marzo 2001, n. 63), l'art. 12 c.p.p. è pressoché ritornato alla originaria formulazione. Per approfondire il tema, si veda M. Ricciarelli, L'esercizio della funzione giurisdizionale: dalla competenza al riparto di attribuzioni, in Trattato di Procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. I, Soggetti e Atti, t. I, I Soggetti, a cura di G. Dean, Torino, 2009, pp. 81-83.
[7] Si veda G. Conso, V. Grevi, G. Neppi Modona, Il nuovo codice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, vol. IV, Il progetto preliminare del 1988, Padova, 1990, p. 180: secondo la Relazione, «tale sistemazione rispecchia una precisa linea di politica legislativa diretta ad una rigorosa delimitazione della connessione al fine di non vulnerare il principio costituzionale del 'giudice naturale precostituito per legge' (art. 25 comma 1 Cost.)».
[8] Si veda ancora G. Conso, V. Grevi, G. Neppi Modona, Il nuovo codice di procedura penale., cit., p. 222.
[9] Le Sezioni unite fanno riferimento a Corte cost., 21 aprile 2006, n. 168, in Giur. cost., 2006, p. 1489, il cui insegnamento era stato recentemente valorizzato da Cass., sez. un., 29 marzo 2012, n. 27996, in Questa rivista, con nota di G. Leo, Le Sezioni unite sull'eccezione di incompetenza per territorio nel giudizio abbreviato.
[10] Si veda Corte cost., 24 gennaio 2011, n. 30, in Giur. cost., 2011, p. 372.
[11] Si veda G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, Milano, 2011, p. 273: «il giudice competente è individuato sulla base di criteri tipici e autonomi. Le dinamiche processuali che possono interessare i procedimenti connessi, sul piano della riunione e della separazione, non incidono sulla individuazione dell'organo giudicante competente. Si tratta di fenomeni assolutamente diversi, tra i quali non sussiste una relazione 'biunivoca'».
[12] Cass., sez., VI, 19 maggio 1999, n. 8656, cit.
[13] Per approfondire le varie interpretazioni proposte, si vedano G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, cit., pp. 111-127; A. Bellocchi, I requisiti di naturalità e precostituzione del giudice, in AA. VV., Fisionomia costituzionale del processo penale, a cura di G. Dean, Torino, 2007, pp. 78-92; M. Gialuz, Commento all'art. 25, comma 1, Cost., in Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. Bartole, R. Bin, Padova, 2008, pp. 245-250.
[14] Si veda, sul punto, M. Ricciarelli, L'esercizio della funzione giurisdizionale, cit., p. 83.
[15] Si veda, su tutti, F. Cordero, Connessione di procedimenti e giudice naturale, in AA. VV., Connessione di procedimenti e conflitti di competenza, Milano, 1976, p. 54.
[16] Si vedano G.M. Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, cit., pp. 284, 285; M. Ricciarelli, L'esercizio della funzione giurisdizionale, cit., p.
[17] Testualmente, Cass., sez. I, 12 marzo 2003, n. 19537, in C.E.D. Cass., n. 224389; si veda anche Cass., sez. VI, 11 novembre 2003, n. 42989, in Riv. pen., 2004, p. 1129. Contra, isolatamente, Cass., sez. V, 13 giugno 1998, n. 10041, in Giust. pen., 1999, II, c. 218; Cass., sez. VI, 15 ottobre 2010, n. 37014, in C.E.D. Cass., n. 248746.
[18] Così si esprime Cass., sez. VI, 23 aprile 2004, n. 23106, in C.E.D. Cass., n. 229959.
[19] Si veda, di recente, Corte cost., ord. 2 aprile 2009, n. 102, in Giur. cost., 2009, p. 921, secondo cui «l'ordinamento costituzionale non propone una nozione autonoma di giudice naturale, distinta e diversa da quella di giudice precostituito per legge, dovendosi con ciò intendere, secondo una equivalenza e reciproca integrazione delle due locuzioni, che spetta alla legge previamente determinare, rispetto alle possibili controversie giudiziarie, il giudice competente a conoscerle, [...] sicché giudice naturale è quello prefigurato dalla legge, secondo criteri generali che, nei limiti della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà, appartengono alla discrezionalità legislativa».
[20] Si veda ancora Corte cost., 21 aprile 2006, n. 168, cit.