ISSN 2039-1676


18 settembre 2017 |

Non c’è due senza tre: torna alle Sezioni Unite la questione dei caratteri fondanti la connessione teleologica

Nota a Cass., Sez. I, ord. 17 luglio 2017 (dep. 21 luglio 2017), n. 36278, Pres. Di Tommasi, Rel. Magi, conflitto di competenza in proc. Patroni Griffi ed altri

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2017

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1. Con l’ordinanza in commento, la prima sezione della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione delle condizioni di operatività della connessione teleologica disciplinata dall’art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. Il contrasto giurisprudenziale circa l’interpretazione della norma che ci occupa non è nuovo al giudice remittente che, nel proprio provvedimento, non tarda a definirlo «risalente nel tempo», tanto da ritenere – sbilanciandosi non poco – superflua una «approfondita elaborazione» dei diversi orientamenti esegetici richiamati.

 

2. La contrapposizione tra le sezioni semplici della Suprema Corte concerne il dubbio se, ai fini della configurabilità della connessione teleologica – e, quindi, della produzione dei suoi effetti tipici sul piano dell’individuazione della competenza –, sia o meno richiesta coincidenza tra gli autori del reato fine e del reato mezzo.

Pur tenuto conto dell’attuale formulazione dell’art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p.[1], l’impostazione prevalente[2] fa dell’identità soggettiva il presupposto imprescindibile per la configurabilità del citato criterio. Ne consegue che, laddove i singoli reati siano stati commessi per eseguirne od occultarne altri, ma da persone diverse, non si determinerà alcuna attribuzione ai sensi degli artt. 15 e 16 c.p.p.

La coincidenza soggettiva è stata variamente argomentata. Da un lato, si è posto in luce come – in caso di eterogeneità degli autori dei reati – verrebbe meno l'unità del processo volitivo tra il reato mezzo e il reato fine (che, come noto, è presupposto logico della connessione), potendosi tutt’al più ravvisare un’ipotesi di connessione di natura probatoria, inidonea a determinare una variazione nella competenza per territorio e/o materia. Dall’altro, non si è mancato di rilevare come l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei reati connessi non possa pregiudicare quello degli altri coimputati a non essere sottratti al giudice naturale precostituito per legge ex art. 25, comma 1°, Cost.: circostanza che si verificherebbe laddove tutti gli illeciti venissero attribuiti, ai sensi dell’art. 16 c.p.p., al giudice competente a pronunciarsi per quello più grave. In altre parole, ravvisata un’ipotesi di connessione anche tra reati commessi da soggetti diversi, lo spostamento della competenza determinerebbe per taluni di essi la forzata preclusione ad essere giudicati dal giudice del locus commissi delicti, con buona pace delle regole di cui agli artt. 8 e s. del codice di rito.

Escluso qualsivoglia rilievo all’eventuale ricorrere di una coincidenza soggettiva tra autori dei reati mezzo e fine, l’interpretazione minoritaria identifica invece la ragione del nesso teleologico in termini oggettivi[3]. Condizione necessaria, e al contempo sufficiente, affinché operi la connessione in commento è che i vari reati siano tra loro oggettivamente connessi: le condotte criminose, in altri termini, devono essere collegate ed animate dalla peculiare finalità di eseguirne od occultarne altre.

L’impostazione, che valorizza la formulazione letterale dell’art. 12 c.p.p., trae spunto dall’evoluzione normativa dell’istituto, rilevando come a seguito delle modifiche apportate dal d.l. 20 novembre 1991, n. 367, convertito dalla l. 20 gennaio 1992, n. 8, l’attuale portato della disposizione differisca dalla sua versione originale, che – appunto – imponeva che tutti i reati fossero stati commessi dalla stessa persona[4]. Ed è proprio su tale variazione lessicale – mantenuta ferma anche dalla riforma apportata con l. 1 marzo 2001, n. 63 – che si fonda la richiamata lettura: subordinare l’operatività del nesso teleologico ad un requisito (l’identità soggettiva) non previsto dalla norma significherebbe non solo andare oltre il dettato normativo ma, soprattutto, considerare del tutto irrilevante la modifica apportata alla disposizione. Ancora, la “pretesa” di un quid pluris contrasterebbe con la volontà del legislatore che, modificando il testo della lettera c) dell’art. 12, comma 1, c.p.p., intendeva ampliare il perimetro operativo della connessione teleologica.

 

3. Il rinvio alle Sezioni Unite della questione circa la dimensione oggettiva ovvero soggettiva dell’ipotesi di connessione prevista dall’art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. non può dirsi (proprio del tutto) nuova. E’ la stessa ordinanza in oggetto a dare atto di come la tematica sia già approdata – per ben due volte – innanzi all’organo di composizione dei contrasti interpretativi.

Le precedenti investiture, rispettivamente del 2011 e del 2014[5], non hanno tuttavia portato all’auspicata risoluzione del conflitto esegetico, stante, nel primo caso, il preliminare rilievo della non rilevanza del tema di diritto evocato e, nel secondo, l’inammissibilità dell’impugnazione da cui originava il rinvio alle Sezioni Unite[6].

Che si tratti di un nodo interpretativo nevralgico pare in ogni caso indubitabile; e lo stesso dicasi per la sua soluzione, avvertita come urgente.

Ne è esempio emblematico la rimessione al giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 12, comma 1, lett. c), e 16 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., nella parte in cui è prevista, per tutti gli illeciti connessi e per tutti gli imputati, la competenza del giudice del luogo di commissione del reato più grave, a prescindere dalla comunanza dei relativi autori.

Il tentativo, come noto, non è andato a buon fine. Con sentenza 11 febbraio 2013, n. 21[7], la Corte costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile, ravvisandovi «un improprio tentativo di ottenere dalla Corte un avallo a favore dell’una scelta interpretativa contro l’altra».

 

4. Nell’attesa della risposta delle Sezioni Unite, parrebbe intravedersi qualche elemento a sostegno dell’indirizzo minoritario.

Al riguardo, giova porre in luce come le Sezioni Unite[8] abbiano già chiarito che subordinare l’azione della connessione per materia e territorio ad un requisito non contemplato dal sistema (nel caso di specie: la necessaria pendenza dei procedimenti in pari stato e grado) «finisce per tradire il principio del giudice naturale precostituito per legge introducendo un requisito non previsto dal legislatore, non ricavabile dal tessuto normativo e tale da creare incertezza nella sua applicazione».

Ancora, nella stessa pronuncia si è rilevato come, anche in tema di competenza per territorio determinata dalla connessione di cui all’art. 16 c.p.p., l’individuazione del giudice competente «riposi comunque sul collegamento tra uno dei fatti commessi – come noto il più grave – ed il locus commissi delicti».

A ciò si aggiunga la condivisibile riflessione secondo cui «la nozione di giudice naturale – anche con riguardo alla competenza territoriale – non può che essere quella che emerge dal complesso della disciplina attributiva di competenza e dei valori tutelati dai singoli istituti, essi pure di pari rilievo costituzionale, quali quelli dell’imparzialità e della ragionevole durata del processo»[9].

Che il tempo per una possibile configurazione del nesso teleologico in chiave oggettiva sia arrivato?

 


[1] L’art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p., nella sua versione attuale, statuisce che si ha connessione «se dei reati per cui si procede gli uni sono commessi per eseguire o per occultare gli altri».

[2] In tal senso si rinvia a Cass., sez. I, 9 marzo 1995, Pischedda e altri, in C.E.D. Cass., 200701; Cass., sez. I, 18 dicembre 1996, Ietto e altri, in C.E.D. Cass., 206560; Cass., sez. I, 25 marzo 1998, Apreda, in C.E.D. Cass., 210417; Cass., sez. I, 8 giugno 1998, Sama e altri, in C.E.D. Cass., 210881; Cass., sez. II, 2 dicembre 1998, Archinà e altri, in C.E.D. Cass., 212270; Cass., sez. III, 26 novembre 1999, Bonassisa e altri, in C.E.D. Cass., 215762; Cass., sez. IV, 17 gennaio 2006, Hanid e altri, in C.E.D. Cass., 233714; Cass., sez. IV, 10 marzo 2009, Ruiu, in C.E.D. Cass., 244516; Cass., sez. III, 29 febbraio 2012, Lombardi, in C.E.D. Cass., 252761; Cass., sez. I, 2 marzo 2016, n. 5970, Squarcialupi e altri, in C.E.D. Cass., 269181.

[3] Il rinvio è a Cass., sez. V, 13 giugno 1998, Altissimo e altri, in C.E.D. Cass., 211391; Cass., sez. VI, 10 luglio 1998, Pomicino, in C.E.D. Cass., 211737; Cass., sez. VI, 23 settembre 2010, Della Giovampaola e altri, in C.E.D. Cass., 248746; Cass., sez. III, 16 gennaio 2013, Erhan, in C.E.D. Cass., 257164.

[4] Sul punto, giova ricordare come, prima delle modifiche (apportate dal d.l. 20 novembre 1991, n. 367, convertito dalla l. 20 gennaio 1992, n. 8, e poi dalla l. 1 marzo 2001, n. 63), l’art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. ravvisasse un caso di connessione laddove «una persona (fosse) imputata di più reati, quando gli uni (fossero) stati commessi per eseguire od occultare gli altri».

[5] Al riguardo, cfr. l’ordinanza 18 marzo 2014, n. 14967 (in questa Rivista, 30 aprile 2014), con la quale la terza sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione in commento.

[6] Sul punto, si rinvia a Cass., S.U., 17 luglio 2014, Basso e altri, in questa Rivista, 19 novembre 2014 (con nota di C. Bressanelli, Un’occasione mancata: le Sezioni Unite e i limiti soggettivi della connessione teleologica).

[7] A commento della richiamata sentenza della Consulta v. A. Cabiale, La Corte costituzionale non prende posizione sui presupposti della connessione teleologica, in questa Rivista, 4 marzo 2013.

[8] Cass., S.U., 28 febbraio 2013, Taricco, in questa Rivista, 28 giugno 2013, con nota di A. Cabiale, Le Sezioni Unite preparano il terreno per un ripensamento del rapporto fra competenza per connessione e principio del “giudice naturale precostituito per legge”.

[9] Così, testualmente, C. Bressanelli, Un’occasione mancata, cit.