ISSN 2039-1676


25 ottobre 2011 |

Novità  dalla Cassazione in merito all'ammissibilità , nell'ambito del giudizio abbreviato, di eccezioni concernenti l'incompetenza territoriale del giudice che procede

Cass. pen., sez. I, 5.7.2011 (dep. 23.9.2011), Pres. Giordano, Est. Di Tomassi, ric. Bega e altri

1. La sentenza in commento interviene, con taglio innovativo e con importanti spunti di riflessione, su di una questione da tempo controversa, che non accenna a comporsi. Si discute se, nell’ambito del giudizio abbreviato, sia possibile far questione circa la competenza territoriale del giudice che procede.
 
1.1. Va detto come sia largamente dominante l’orientamento che nega l’ammissibilità delle eccezioni di incompetenza, una volta che sia stata deliberata l’ordinanza introduttiva del rito speciale. Tale orientamento si era manifestato, nella giurisprudenza di merito, fin dai primi mesi di applicazione del codice vigente [1]. La giurisprudenza di legittimità aveva assunto dapprima un atteggiamento opposto, volto a preservare il diritto dell’imputato a discutere sulla corretta individuazione del giudice competente, e tuttavia, con il passare degli anni, si è schierata a sua volta nel senso della inammissibilità delle eccezioni [2].
 
Per un quadro sintetico degli argomenti più ricorrenti, può dirsi anzitutto dell’impostazione iniziale. Si è ricordato come la materia sia regolata, tra l’altro, dal comma 2 dell’art. 21 c.p.p., il quale prescrive che l’eccezione di incompetenza sia proposta prima della conclusione dell’udienza preliminare: di conseguenza, la questione prospettata per la prima volta dopo l’introduzione del rito speciale dovrebbe essere considerata tardiva, mentre quella già proposta e respinta durante l’udienza preliminare costituirebbe mera reiterazione di eccezione già definita, e sarebbe dunque inammissibile [3].
Naturalmente, un siffatto atteggiamento presuppone l’assunto di una sostanziale continuità di fase tra l’udienza preliminare ed il giudizio abbreviato, già sostenuto ad esempio al fine di escludere l’incompatibilità, quale giudice del rito speciale, del magistrato che abbia assunto provvedimenti de libertate nel corso della udienza preliminare [4]. Un assunto per la verità non indiscutibile, e comunque idoneo, sullo specifico terreno delle questioni di competenza, a negare la sindacabilità dei provvedimenti di attribuzione nell’ambito del giudizio di merito. Non a caso, le decisioni di cui si tratta si sono spinte ad ipotizzare che l’eccezione resti proponibile nella fase di appello del giudizio abbreviato, pur restando, secondo la logica interna al ragionamento, necessariamente estranea alla sentenza di primo grado [5].
 
1.2. In un secondo momento, e sempre nella ricerca di una soglia preclusiva connessa al passaggio dall’udienza preliminare al rito speciale, si è sostenuto che l’eccezione di incompetenza territoriale sarebbe inammissibile, pur se in precedenza già proposta e disattesa, perché nel giudizio abbreviato manca il segmento processuale dedicato alla trattazione e risoluzione delle questioni preliminari [6].
La conclusione è stata argomentata in parallelo per le nullità non assolute e per le questioni di competenza: « il fondamento normativo di tale soluzione è di sistema e trova espressione nell’art. 183 c.p.p., lett. a) che normativizza la sanatoria delle nullità mediante la rinuncia per facta concludentia, che si configura nella esplicita e consapevole richiesta di un rito governato da regole diverse rispetto a quelle dell’ordinario dibattimento e la cui prima deroga è la mancanza del segmento processuale dedicato alla trattazione e risoluzioni delle “questioni preliminari” ex art. 491 c.p.p. Regola di sistema che non può che coinvolgere tutte le questioni proponibili o, in ogni caso, dedotte e già decise negativamente nell’udienza preliminare, cui la parte privata con la richiesta formulata nelle stessa udienza e con le forme stabilite per gli atti che esprimono “consenso e rinuncia” a diritti personalissimi, pone. La competenza per territorio – il cui regime è modellato su quello delle nullità intermedie  (…) – è eccezione rinunciabile anch’essa e, come tale, una volta richiesto e ammesso il rito abbreviato, alternativo al rito ordinario anche nel sistema delle impugnazioni, diventa inammissibile la relativa eccezione anche se in precedenza proposta e già decisa in senso negativo ».
 
Come si vede, il ragionamento si fonda sull’idea di una volontaria rinuncia, espressa attraverso la richiesta di giudizio abbreviato, a far valere questioni di competenza territoriale. Di tale rinuncia la mancata previsione di una fase dedicata alle «questioni preliminari» costituirebbe il riscontro e al tempo stesso la chiave di lettura: l’imputato sa bene che chiedendo l’accesso al rito non potrà far valere «vizi» che non debbano essere rilevati d’ufficio (o comunque con regime assimilato a quello delle nullità intermedie), e dunque, con la domanda, «rinuncia» alla rilevazione dei «vizi» medesimi; d’altra parte, le norme sullo svolgimento del giudizio abbreviato non scandiscono una fase per le questioni preliminari proprio in quanto, con la richiesta, l’imputato rinuncerebbe a proporle.
Insomma, quale che sia il grado di persuasività del ragionamento, assume rilievo dirimente il carattere disponibile della questione di competenza, tale da “accomunarla” alla materia delle nullità sanabili.
Il preteso significato «sanante» dell’acquiescenza risulta assumere particolare importanza per alcune delle decisioni schierate sul fronte dell’inammissibilità, già sopra citate.
 
 
2.  Fin dall’epoca di prima sperimentazione del rito abbreviato, per altro, altre decisioni della Cassazione hanno ammesso la possibilità che l’imputato presenti eccezioni di incompetenza per territorio anche nell’ambito del giudizio abbreviato.
 
All’argomento dell’assenza di una fase dedicata alle «questioni preliminari» si è opposto che, a norma del comma 1 dell’art. 491 c.p.p., le questioni concernenti la competenza territoriale restano precluse se non sono state proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento relativo alla costituzione delle parti. Poiché tale accertamento trova collocazione anche nell’udienza relativa al giudizio abbreviato, nella quale si osservano, per quanto applicabili, le disposizioni previste per l’udienza preliminare (tra le quali è compreso l’art. 420, comma 2, c.p.p.), dovrebbe ammettersi che, non appena conclusa la verifica di regolarità del contraddittorio, la questione di competenza può essere ritualmente posta, e che può essere riproposta, in caso di reiezione, coi motivi di gravame [7].
 
Lungo il corso degli anni, poi, la Suprema Corte ha più volte ribadito che la richiesta di rito abbreviato non implica l’accettazione della competenza territoriale del giudice procedente e non comporta quindi rinuncia a contestarla [8]. Viene chiarito, nel contempo, che resta operante il sistema delle preclusioni, di talché l’eccezione dovrebbe essere proposta «nel termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen.» [9].
 
2.1. In realtà la questione – per vero drammatizzata dalla comunanza di sorte istituita tra eccezioni di incompetenza (relativamente rare) e questioni concernenti le nullità non assolute – sembra ancora segnata, nella giurisprudenza, da un certo livello di confusione.
 
Dopo che una storica sentenza delle Sezioni unite aveva escluso ogni valore di «acquiescenza» della richiesta di giudizio abbreviato in merito ad ipotesi di inutilizzabilità «patologica» degli atti [10], le stesse Sezioni unite hanno poi convalidato, in qualche modo, l’idea di un valore «sanante» della domanda con riguardo a nullità relative.
Il massimo Collegio, nell’occasione, era stato chiamato a stabilire se l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nel caso di straniero alloglotta, debba essere tradotto in una lingua comprensibile per il destinatario, a pena di nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio. La soluzione del quesito era stata positiva, ma nel caso di specie la rilevanza del vizio era stata disconosciuta, proprio in quanto la relativa eccezione era stata prospettata nell’ambito di un giudizio abbreviato, e poteva quindi considerarsi maturata una sanatoria della nullità.
Va posto in rilievo come la ragione giustificatrice del principio fosse stata cercata, nella specie, più nella carenza di interesse ad eccepire (art. 182 c.p.p.) che nella pretesa sanatoria per accettazione (art. 183 c.p.p.): «se l’imputato, ovvero colui che è titolare del diritto di difesa, esercita la facoltà riservatagli di richiedere il giudizio abbreviato, non solo accetta gli effetti dell’atto nullo propedeutico, ma innanzitutto dimostra di non avere interesse all’osservanza della disposizione violata. La richiesta pertanto rende indeducibile l’eccezione» [11]. In un caso e nell’altro, la considerazione di «acquiescenza» si fonda sulla relazione particolare  tra l’atto annullabile, cioè la richiesta di rinvio a giudizio, e l’essenza della domanda di rito abbreviato, che consiste nella disponibilità ad essere giudicati, secondo un determinato regime della prova ed «in cambio» di un trattamento sanzionatorio più favorevole per il caso di condanna. In altre parole: può l’imputato contestare l’atto introduttivo di un giudizio di merito che lui stesso provoca, anzitutto rinunciando all’eventualità di una sentenza di non luogo a procedere?
Una ratio di questo genere, quale che sia la sua attendibilità, non sembra certo estensibile alle questioni di competenza, che attengono alla identificazione del «giudice naturale».
 
Si parlava di confusione. Ed infatti decisioni che negano una implicita acquiescenza,espressa per il tramite della richiesta di giudizio abbreviato, si rinvengono anche nel fronte che sostiene la inammissibilità dell’eccezione di incompetenza. Sarebbe anzi la stessa regola preclusiva, come si è visto, ad impedire che il silenzio dell’imputato dopo l’ordinanza introduttiva del rito assuma l’effetto di una «sanatoria» in merito alla violazione delle regole sulla competenza [12].
 
 
3. Nel quadro sommariamente descritto fa irruzione la sentenza in commento. Sentenza della quale va posto in rilievo, anzitutto, l’inquadramento degli interessi che gravitano sulle questioni di competenza, e della loro rilevanza costituzionale.
 
In generale – osserva la Corte – esiste non solo l’esigenza di precostituire il giudice, in ossequio al principio stabilito dal primo comma dell’art. 25 Cost., ma anche quella di allocare il processo nella sua sede «naturale», generalmente individuata mediante il criterio del locus commissi delicti, anche a garanzia di valori tendenzialmente indisponibili dalle parti [13]. Per altro verso, la giurisprudenza costituzionale ha tradizionalmente affermato la pertinenza al diritto di difesa della opzione per l’accesso ai riti speciali, tanto da dichiarare più volte la illegittimità di norme che ingiustificatamente comprimevano la possibilità di formulare la relativa domanda [14]. Non è mancata neppure una pronuncia pertinente ai temi collegati dell’accesso al rito e della formulazione di eccezioni in punto di competenza: la Consulta aveva specificamente stigmatizzato un meccanismo per il quale il «successo» della contestazione mossa in punto di competenza territoriale del giudice procedente «costava» all’imputato la possibilità di essere giudicato, con il rito abbreviato, innanzi al giudice effettivamente competente, stabilendo che, con la pronuncia dichiarativa dell’incompetenza, gli atti devono essere trasmessi al pubblico ministero [15].
 
Muovendo da queste premesse, la Cassazione ha ritenuto che l’imputato non debba essere costretto a «scegliere tra la facoltà di fare ricorso a riti alternativi e quella di chiedere di essere giudicato dal giudice naturalmente competente in relazione alla sua posizione, necessariamente rinunciando a una delle due possibilità, entrambe garantite a livello costituzionale».
La Corte, preoccupata forse di non indebolire uno schieramento ormai piuttosto stabile che attribuisce alla richiesta di giudizio abbreviato una efficacia sanante delle nullità di regime intermedio, afferma che può riconoscersi alla richiesta stessa un significato di «accettazione degli effetti dell’atto» (questo almeno pare il senso del riferimento all’art. 183 c.p.p.). Dunque, perfino riguardo alla competenza territoriale del giudice, il silenzio serbato dall’imputato, dopo l’ordinanza che introduce il giudizio abbreviato, potrebbe essere interpretato come una tacita rinuncia a far valere la violazione delle regole di attribuzione della competenza medesima.
Ma proprio per questo, sembra assumere la Corte, deve considerarsi ammissibile che l’imputato reiteri la propria eccezione nell’ambito del rito speciale. Evidentemente, si ritiene che ricorra quell’onere invece negato da una parte della giurisprudenza sopra citata, e che dunque l’imputato rimasto silente nel giudizio abbreviato, pur dopo il rigetto dell’eccezione proposta in sede di udienza preliminare, perda la possibilità di discutere l’argomento nei gradi successivi del giudizio [16].
 
4. Almeno nella parte in cui stabilisce l’ammissibilità dell’eccezione di incompetenza territoriale, la decisione della Corte pare certamente esatta.
Essa configura, in armonia del resto con l’orientamento dottrinale pressoché unanime [17], un sistema coerente.
 
Anzitutto, quando si procede alla celebrazione della udienza preliminare, è necessario che l’imputato eccepisca sulla competenza prima della richiesta di accesso al rito. La Corte non lo afferma espressamente, ma più volte si riferisce al carattere di «reiterazione» della richiesta proponibile nel giudizio abbreviato.
La preclusione deriva del resto dall’inequivoco disposto dell’art. 21 c.p.p., e vale anche ad evitare che l’imputato possa «lucrare» un provvedimento di accoglimento della sua domanda di abbreviato da parte di un giudice del quale egli stesso prospetta l’incompetenza.
È vero che, per il caso di mancato accoglimento della prima domanda, l’istanza reiterata dovrà essere valutata dal medesimo giudice. Ma non si tratta di anomalia esclusiva nell’ambito del rito abbreviato (si pensi al sindacato che il giudice dibattimentale è chiamato a fare del suo stesso provvedimento di iniziale reiezione dell’istanza, quando conclude il giudizio con deliberazione di condanna). Per altro verso, la reiterazione vale a trasferire la questione nel giudizio di merito, rendendo del tutto fisiologico, in termini di sindacato della sentenza di primo grado, il controllo successivo sulla deliberazione concernente la competenza.
 
Il rilievo compiuto da ultimo vale forse ad integrare un passaggio non troppo chiaro del ragionamento della Corte. Non potrebbe dirsi propriamente, ed in effetti, che l’inammissibilità dell’eccezione nel rito costringa l’imputato a scegliere tra giudice «naturale» e giudizio abbreviato. È concepibile infatti che l’eccezione proposta in sede di udienza preliminare venga accolta, e che dunque la domanda di accesso al rito speciale possa essere formulata proprio innanzi al diverso giudice, effettivamente competente.
Il problema si pone, però, nel caso di rigetto (in assunto erroneo) della questione sollevata dall’imputato, in quanto la questione stessa resterebbe estranea al giudizio di merito.
La soluzione proposta da una parte della giurisprudenza antecedente, e cioè che il problema potrebbe essere ripreso nella fase di appello del giudizio abbreviato (supra), appare priva di razionalità, ed elusiva del meccanismo di preclusione che, nel giudizio ordinario, è assicurato dall’art. 491 c.p.p., in termini di economia delle risorse processuali (si ricordi che il giudizio abbreviato può comprendere rilevanti attività di acquisizione della prova) e di ragionevole durata del processo.   

D’altra parte, la giurisprudenza (in buona misura tralaticia) che nega l’ulteriore sindacabilità del provvedimento sulla competenza si risolve davvero in una costrizione alla rinuncia per l’accesso al rito o per l’esatta individuazione del giudice competente. È chiaro, in particolare, come, costruita in termini di «sanatoria», la preclusione nascente dalla domanda di giudizio abbreviato non potrebbe che essere irreversibile.

 


[1] Trib. Genova, 24 gennaio 1990, Auci Vahit, in Arch. n. proc. pen. 1990, 445.
 
[2] In generale si vedano, per l’inammissibilità delle eccezioni di incompetenza nel rito abbreviato, Cass., sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 4125/07, Cimino, in C.E.D. Cass.,n. 235600; Cass., Sez. I, 17 settembre 2008, n. 37623, Leuzzi, ivi, n. 241141; Cass., Sez. IV, 20 novembre 2008, n. 2841, Greco, ivi, n. 242493; Cass., Sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 19825, Balmane, ivi,  n. 243850; Cass., Sez. I, 13 maggio 2009, n. 22750, Calligaro, ivi, n. 244111; Cass., Sez. I, 18 settembre 2009, n. 38388, Romeo, ivi, n. 244746; Cass., Sez. I, 13 gennaio 2010, Amendola, n. 10399, ivi, n. 246352; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2010, n. 3035/11, Aouani, ivi, n. 249704; Cass., Sez. V, 10 dicembre 2010, n. 7025/11, Bellacanzone, ivi, n. 249833).
 
[3] Cass., sez. VI, 20 novembre 1997, n. 1168/98, Angeli, in Giust. pen. 1999, III, 356; Cass., sez. VI, 18 settembre 2003, n. 44726, Ninivaggi, in C.E.D. Cass., n. 227715.
 
[4] Cass., Sez. III, 30 settembre 2002, n. 38053, Turkovic, in C.E.D. Cass., n. 223013; Cass., Sez. V, 15 gennaio 2004, n. 7589, Vinci, ivi, n. 227530.
 
[5] In particolare, nelle sentenze citate alla nota che precede, la Corte ha sostenuto che, data l’inammissibilità dell’eccezione a carattere reiterativo, la parte non sarebbe gravata dall’onere di riproporla nel giudizio abbreviato, a fini di sindacato della competenza nelle fasi successive del giudizio.
 
[6] Cass., sez. VI, 4 maggio 2006, n. 33519, Acampora e altro, in C.E.D. Cass., n. 234392.
 
[7] Cass., Sez. VI, 28 giugno 1991, n. 12894, D’Andrea, in Arch. n. proc. pen. 1992, 438.
 
[8] Cass., 23 settembre 1998, n. 13624, Vicentini, in C.E.D. Cass., n. 213430; Cass., Sez. IV, 28 ottobre 1998, n. 4528, Generali, in Cass. pen. 2000, 3067
 
[9] Cass., Sez. I, 10 giugno 2004, n. 37156, La Perna, in C.E.D. Cass., n. 229532
 
[10] Cass., Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 16, Tammaro, in Cass. pen.  2001, 2033. La Corte aveva compiuto un cenno ai «poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati» come possibile (ed esclusivo) oggetto di una valenza «abdicativa» della domanda di giudizio abbreviato, ma riferendolo strettamente alla materia della prova.
 
[11] Cass., Sez. un., 26 settembre 2006, n. 39298, Cieslinsky e altri, in Dir. pen. proc.  2007, 468. In realtà il percorso motivazionale della sentenza oscilla tra l’assunto della indeducibilità per carenza di interesse, sul presupposto che l’imputato il quale chiede di essere giudicato non ha più interesse a contestare l’atto che introduce il giudizio, e l’assunto della sanatoria per accettazione degli effetti. L’argomento della sanatoria è illustrato per primo, ma la questione della deducibilità è apprezzata «innanzitutto».
 
[12] Cass., Sez. VI, 20 novembre 1997, n. 1168/98, Angeli, cit., Cass., Sez. VI, 18 settembre 2003, n. 44726, Ninivaggi, cit.
 
[13] La Corte cita la sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 2006, pertinente all’istituto della rimessione, ove tra l’altro si legge che «deve riconoscersi che il predicato della "naturalità" assume nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della "fisiologica" allocazione di quel processo nel locus commissi delicti. Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse - come la rimessione - l’effetto di "distrarre" il processo dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale; giacché la celebrazione di quel processo in "quel" luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella - più che tradizionale - per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati». Sulla stessa lunghezza d’onda le Sezioni unite della stessa Corte di cassazione, che si riferiscono ad un«collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifestazione del reato, o almeno di un segmento del complesso criminoso, garantendo il principio, di valore costituzionale, della "fisiologica allocazione" del processo nel locus commissi delicti» (Cass., Sez. Un., 16 luglio 2009, n. 40537, Orlandelli, in Cass. pen.  2010, 2121). Va chiarito, per altro, come la stessa Corte costituzionale abbia più volte giudicata legittima la previsione di soglie preclusive per la deduzione di questioni di competenza: si veda ad esempio l’ordinanza n. 130 del 1995.
 
[14] Si veda ad esempio la recente sentenza n. 333 del 2009, dichiarativa della illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il rito abbreviato relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestati in dibattimento, nel caso delle cosiddette contestazioni «tardive».
 
[15] Corte costituzionale, sentenza n. 70 del 1996.
 
[16] In effetti, nel senso indicato, si veda Cass., Sez. IV, 28 ottobre 1998, n. 4528, Generali, cit.
 
[17] Tra gli altri, Bonetti, Il giudizio abbreviato, in I procedimenti speciali in materia penale, a cura di Pisani, Giuffrè, 1997, 82, Bricchetti-Pistorelli, Il giudizio abbreviato. Profili teorico-pratici, Assago, 2005, 177; Degl’innocenti-De giorgio, Il giudizio abbreviato, Milano, 2005, 97.