ISSN 2039-1676


03 agosto 2011 |

Le Sezioni Unite sulla decorrenza dei termini di custodia per la fase del giudizio abbreviato conseguente al decreto di giudizio immediato (ed al decreto penale di condanna)

Cass., Sez. un., 28.4.2011 (dep. 28.7.2011), n. 30200, Pres. Lupo, Rel. Marasca, Ric. P.m. in proc. Ohonba (i termini in fase di giudizio abbreviato, anche in caso di richiesta "incondizionata", decorrono dall'ordinanza che introduce il rito, e non dal precedente provvedimento di fissazione della relativa udienza)

1. - A far tempo dal 2000, ed in ragione dei nuovi possibili livelli di complessità acquisiti per effetto dei meccanismi di integrazione probatoria, il giudizio abbreviato è «munito» di una propria disciplina dei termini massimi di durata della custodia cautelare.
Detti termini sono fissati, in misura tendenzialmente ridotta rispetto a quelli concernenti la fase dibattimentale, dalla lettera b-bis del comma 1 dell’art. 303 c.p.p., che individua anche il punto di decorrenza del relativo periodo di custodia: la «ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato». La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, in un contesto segnato dalla varietà dei meccanismi di innesco del rito speciale, che l’espressione legislativa va riferita a qualunque provvedimento con cui il giudice, in qualunque fase del giudizio di merito, dispone appunto procedersi mediante rito abbreviato (tra le altre, Cass., Sez. I, 14 ottobre 2009, n. 41380, Pappalardo, in C.E.D. Cass., n. 245072).
 
Il cattivo raccordo tra le modifiche del giudizio abbreviato introdotte con la cd. «legge Carotti» e le procedure di innesco collegate ad altri riti speciali ha fatto sorgere qualche disorientamento sulla sequenza destinata a culminare con la celebrazione dell’abbreviato, e di conseguenza sul termine dal quale deve considerarsi in corsa il termine di fase pertinente.
Si può aggiungere come, anche su questo particolare terreno, si manifesti una impropria tendenza a svalutare i controlli giudiziali sulla ammissibilità del rito, che sono necessari anche quando l’imputato formula la cd. «richiesta incondizionata». Il rito abbreviato non è mai un «diritto potestativo» dell’imputato, come pure è stato scritto, e non si differenzia in due fattispecie a seconda che la domanda sia condizionata o non: semplicemente, i presupposti per l’accesso sono diversi, ed è dunque diverso l’oggetto sul quale deve esercitarsi la discrezionalità  tecnica del giudice. Vi sono questioni in punto di ammissibilità che richiedono accertamenti in fatto e valutazioni in diritto di elevata complessità, e sembrerebbe ovvia la necessità di un compiuto contraddittorio al proposito, anche da parte del pubblico ministero.
 
 
2. – Sembra non immune dalla tendenza indicata l’opinione, affacciatasi in giurisprudenza, che le Sezioni unite hanno avuto cura di smentire con la sentenza in commento. Prima di riferirne, però, è opportuno richiamare alcuni aspetti del procedimento.
 
L’art. 458 c.p.p. regola il caso dell’imputato il quale, ricevuta notifica di un decreto di giudizio immediato, intenda chiedere di essere giudicato mediante il rito abbreviato.
Il comma 3 della norma chiama il giudice del rito immediato a fissare con decreto l’udienza, sempre se «la richiesta è ammissibile». L’udienza – conviene ribadirlo – si svolgerà a questo punto innanzi al giudice del rito immediato, sebbene impersonato (in ragione di incompatibilità ex art. 34 c.p.p.) da persona fisica diversa da quella che ha deliberato l’accoglimento della richiesta formulata dal pubblico ministero.
Conviene pure anticipare quanto ribadito dalle Sezioni unite, e cioè che, in apertura dell’udienza, la richiesta di giudizio abbreviato dovrà essere compiutamente valutata, ed eventualmente accolta con apposita ordinanza.
Detta necessità appare ovvia quando la domanda difensiva sia condizionata all’assunzione  di prove integrative, poiché il decreto di fissazione dell’udienza attiene solamente all’ammissibilità, e dunque, pacificamente, non pregiudica la valutazione circa la necessità e la «compatibilità» delle prove aggiuntive.
Del resto, nel caso di nuove contestazioni, è prevista espressamente la revoca della «ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato» (comma 2, parte finale, dell’art. 458 c.p.p.), a dimostrazione che, almeno quando vi sia stata integrazione probatoria (premessa questa per l’ammissibilità delle nuove contestazioni), una ordinanza si è fisiologicamente cumulata al decreto originario di fissazione dell’udienza. Va considerato – come in parte si è fatto nella sentenza in commento – che l’integrazione probatoria, e dunque la contestazione aggiuntiva, possono aver luogo anche nell’ambito di un giudizio abbreviato «incondizionato».
Più in generale, l’art. 458 c.p.p. non distingue in alcun modo tra domande condizionate e non. Così come non distingue, allo stesso proposito, la norma che regola la decorrenza dei termini massimi della custodia.
 
 
3. – Si diceva dell’orientamento oggi contrastato dalle Sezioni unite.
 
Riprendendo alcune episodiche prese di posizione, la Cassazione aveva stabilito, in una sola occasione, che nel caso di richiesta «incondizionata» il giudice del rito immediato, chiamato ad una mera valutazione di ammissibilità, esaurirebbe il proprio compito con la fissazione dell’udienza. Vero dunque che la legge definisce «decreto» quel provvedimento. Esso però avrebbe «natura di ordinanza» introduttiva del rito.
Da questo assunto era stata tratta una conseguenza sul piano della decorrenza dei termini della custodia. La quale avrebbe luogo, appunto, dal giorno della fissazione e non dal giorno in cui, aperta l’udienza camerale a suo tempo fissata, il giudice provvede a celebrare il giudizio abbreviato (Cass., Sez. II, 18 febbraio 2009, n. 12818, P.m. in c. Bianco, in Cass. pen. 2010, 3497, con nota di P. Murano, Giudizio abbreviato a seguito di immediato e decorrenza dei termini di custodia cautelare).
 
Per la verità, se l’assunto avesse fondamento, molte altre implicazioni andrebbero tratte. Si dovrebbe ad esempio stabilire dove e quando il pubblico ministero sia ammesso ad interloquire in punto di ammissibilità della richiesta (il complesso meccanismo di cui al comma 1 dell’art. 458 c.p.p., funzionale alla prestazione di un consenso che oggi non è più necessario, è considerato desueto, tanto che l’omissione della notifica da parte dell’imputato non è più considerata causa di decadenza). Si dovrebbe anche stabilire  che, dopo il decreto di fissazione dell’udienza, la richiesta non sarebbe più revocabile o precisabile, dato che, notoriamente, l’irrevocabilità  consegue all’introduzione del rito da parte del giudice (così, in effetti, Cass., Sez. VI, 23 settembre 2010, n. 37022, Monti, in C.E.D. Cass., n. 248599). Si dovrebbe chiarire, infine, come possa giustificarsi una sorta di pregiudizio in punto di ammissibilità per quanto attiene al giudice personalmente chiamato alla celebrazione del giudizio abbreviato. Perché una cosa è chiara, e cioè che, se il decreto di fissazione dell’udienza ha «natura di ordinanza», allora non potrà essere revocato dal «nuovo» giudice, posto che le ordinanze introduttive del rito sono revocabili solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
 
 
4. – Le Sezioni unite, senza troppo approfondire l’analisi, hanno corretto, come si anticipava, l’orientamento in questione: «i termini di durata massima della custodia cautelare per la fase del giudizio abbreviato, anche nella ipotesi di rito non subordinato ad integrazione probatoria e disposto a seguito di richiesta di giudizio immediato, decorrono dall’ordinanza con cui è disposto il giudizio abbreviato». Ordinanza che nel caso in esame, come in quello della richiesta proposta dopo la notifica del decreto penale di condanna (comma 1 dell’art. 464 c.p.p.), deve essere assunta in apertura dell’udienza camerale.
 
Si è ricordato anzitutto, e naturalmente,  che «ordinanza» non è «decreto», tanto che la prima va sempre motivata, a differenza del secondo (art. 125 c.p.p.). L’art. 303 c.p.p., d’altro canto, si riferisce appunto ad una «ordinanza» per l’ancoraggio del termine di durata massima della custodia.
 
Le Sezioni unite poi, spostando l’attenzione sulla premessa della conclusione criticata, affermano con chiarezza che ogni giudizio abbreviato è introdotto da un «un provvedimento ammissivo […] emesso a conclusione di apposita udienza caratterizzata dall’oralità, nel corso della quale, in contraddittorio delle parti, si valuteranno i requisiti formali di ammissibilità del rito e quelli sostanziali concernenti la fondatezza della richiesta di abbreviato c.d. “condizionato”».
Soprattutto, e nonostante qualche residua incertezza nella scansione tra il compito affidato al giudice del rito immediato e quello proprio del giudice dell’udienza, la Suprema Corte sembra chiaramente enunciare che la stessa questione di ammissibilità della domanda, per quanto incondizionata, non è pregiudicata fino a quando il secondo giudice non ha deliberato l’introduzione del rito con la propria ordinanza: «il giudice, investito dalla richiesta di giudizio abbreviato, che, come detto, non può celebrarlo, valutata la tempestività e l’esistenza degli altri requisiti formali della richiesta, rimetterà le parti dinanzi al giudice competente a valutare l’ammissibilità e la fondatezza del rito richiesto ed a celebrare, eventualmente, il giudizio abbreviato». Una conclusione che, ad onta dei pur ribaditi distinguo tra richiesta condizionata e non, viene certamente riferita ad ogni forma di giudizio abbreviato.
 
 
5. – Corrette le premesse, la individuazione delle conseguenze in punto di decorrenza dei termini appare agevole, ed è già stata indicata.
 
Semmai più complessa è la soluzione del problema individuato dalle stesse Sezioni unite, e per altro risolto in poche battute.
Non v’è dubbio che il decreto di giudizio immediato, in quanto provvedimento di esercizio dell’azione penale e di passaggio alla fase di merito del procedimento, interrompe la corsa dei termini di custodia per la fase delle indagini, ed apre l’analoga corsa con riferimento alla fase dibattimentale del giudizio: entro un certo tempo deve essere pronunciata la «sentenza di condanna» a norma dell’art. 303, comma 1, lettera b) del codice di rito. Tuttavia, la lettera b-bis  dello stesso comma 1 fissa una nuova decorrenza con riguardo all’ordinanza introduttiva del giudizio abbreviato, la quale naturalmente può seguire anche di molto la data di deposito del decreto di giudizio immediato.
 
Ecco, se ben si comprende, la soluzione della Corte. Dalla data del decreto di giudizio immediato correranno in ogni caso i termini ordinari utili per la pronuncia della sentenza di condanna, generalmente più lunghi di quelli specialmente previsti per il rito abbreviato. I termini specifici e più brevi stabiliti per il  rito speciale correranno invece dalla data della ordinanza introduttiva del rito medesimo.

In altre parole, l’imputato andrà scarcerato, in caso di mancata pronuncia della sentenza, nel minor tempo computabile dall’epoca del decreto di giudizio immediato (secondo la durata ordinaria dei termini) o dall’epoca del provvedimento di ammissione del rito abbreviato (secondo la minor durata indicata, per molti reati, alla lettera b-bis del comma 1 dell’art. 303 c.p.p.).