ISSN 2039-1676


24 giugno 2011 |

Competenza per territorio, perpetuatio juridictionis e separazione dei procedimenti: la Cassazione conferma e specifica il proprio consolidato orientamento

Nota a Cass., Sez. I, 18.1.2011 (dep. 26.5.2011), n. 21706, Pres. Chieffi, Rel. La Posta, Ric. Ministero della Difesa e Pillera

Secondo la sentenza qui sotto annotata, è insito nel sistema il principio per cui la competenza territoriale - in caso di celebrazione di udienza preliminare - deve essere verificata dal giudice prima della conclusione di questa e la verifica non può che vertere sugli atti in quel momento disponibili: sulla base della imputazione formulata dal p.m., di tutte le emergenze d'indagine presenti nel fascicolo dello stesso e poste a disposizione del giudice e delle parti private, delle prospettazioni formulate dalla parte interessata e della documentazione dalla medesima eventualmente prodotta. E' alla luce di tale materiale conoscitivo che la questione della competenza per territorio deve essere decisa e, in caso di rigetto, può essere riproposta, entro il termine di cui all'art. 491 co. 1°, dinanzi al giudice del dibattimento: questi può rivalutarla, per radicare definitivamente presso di sé la cognizione del processo o per riconoscere la propria incompetenza ratione loci, utilizzando però lo stesso materiale, senza alcuna possibilità di dare corso ad attività istruttoria per l'acquisizione di nuovi elementi. Ne consegue che, determinatasi per effetto del previsto sbarramento cronologico e della preclusione ad esso connessa, la perpetuatio juridictionis, l'affermata competenza per territorio rimane insensibile anche ad eventuali eventi istruttori o decisori successivi - quale ad esempio la richiesta da parte di alcuni imputati di definire il processo con riti alternativi - e di significato diverso da quello espresso dai dati in precedenza valutati.
 
 
1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Suprema Corte interviene, nel solco di un orientamento ormai sostanzialmente consolidato (C 26.2.92, p.m. in c. Santarello, A.n. proc.pen. 92, 572; C 9.4.92, confl. pret. Moncalieri, A. n. proc. pen. 92, 758; C 12.5.92, p.m. in c. Gaeta, C. pen. 93, 2290; C 3.7.92, confl. in c. Marziale, C. pen. 93, 2290; C 20.10.93, Bergarani, C. pen. 95, 97; C 20.1.95, Nardone, A.n.proc. pen. 96, 130; C 20.10.95, Urrata, A.n.proc.pen. 96, 448; C 22.1.97, p.m. in c. Hofer, 207286; C 18.6.97, Agreste, A.n. proc. pen. 98, 262; C 17.12.98, confl. comp. in c. Abbellito, 212547; C 13.4.99, Capone, Guida dir. 99, f. 29, 82; C 5.11.99, Braga, 215190; C 28.1.02, Tripodi ed a., G. it. 03, 322; C 15.5.03, Visocchi, A.n.proc.pen. 04, 575; C 4.5.06, Battistella ed a., 234347. Per la giurisprudenza di merito: Trib. Viterbo 2.3.90, Michelli, C. pen. 91, II, 117; Pret. Salerno, 4.12.97, Aceto ed a., A.n.proc.pen. 98, 251) e avvalorato da quanto chiarito in diverse occasioni anche dalla Corte costituzionale (le pronunce 91/521, 94/280, e 95/130 e nel vigore del precedente codice le pronunce 65/1, 71/139, 75/174, 77/177), sulle problematiche sottese alla previsione ex art. 21 co. 2° c.p.p. e sulla portata del principio della c.d. perpetuatio juridictionis.
 
In particolare, la questione sottoposta ai Giudici di legittimità attiene alla incidenza o meno, sull'assunta decisione in tema di incompetenza per territorio, di eventi - istruttori o decisori - sopravvenuti oltre i termini previsti dall'art. 21 co. 2° c.p.p. e potenzialmente idonei a cambiare il senso di tale decisione: nel caso concreto, in particolare, si trattava della sopravvenuta richiesta di riti alternativi.
 
2. Per completezza e migliore comprensione delle questioni sottoposte all'attenzione della Corte, è opportuno ripercorrere brevemente la vicenda processuale da cui originano, quanto meno per ciò che attiene ai temi di natura processuale. I Giudici di legittimità sono stati infatti chiamati a valutare una serie di rilievi, anche di natura sostanziale, certo di sicura rilevanza ma che si ritiene di non affrontare in questa sede.
 
Nella tarda serata del 10 settembre 2001, presso il porto di Novorossijsk, nel territorio della Federazione Russa, ove era ormeggiato l'incrociatore "Vittorio Veneto" per attività di addestramento, nell'ambito e a seguito di uno scontro tra marinai italiani che rientravano dopo la "franchigia" a bordo della nave ed alcuni ragazzi russi, uno di questi (minorenne) era mortalmente ferito da una coltellata alla spalla.
 
Il processo penale si celebrava a Taranto. La Corte d'Assise dichiarava l'imputato colpevole di omicidio volontario di un cittadino russo e lo condannava a 14 anni di reclusione; condannava altresì il responsabile civile Ministero della Difesa - in solido con l'imputato - al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite.
 
Il responsabile civile Ministero della Difesa si era costituito tempestivamente nel giudizio di primo grado e aveva richiesto - in via preliminare - la propria esclusione dal processo e formulato eccezione di incompetenza territoriale. Entrambe le questioni erano state respinte dalla Corte di Assise con ordinanza poi richiamata nella sentenza di primo grado.
 
La questione della competenza territoriale era stata poi riproposta nei motivi di appello e ritenuta infondata anche dal giudice di secondo grado che, infatti, riformava il primo provvedimento di merito soltanto con riferimento al quantum di pena applicata all'imputato.
 
Nei motivi di ricorso in Cassazione, il Ministero della Difesa denuncia, in primo luogo, la violazione delle norme processuali contenute negli artt. 10 co. 1° e 2° e 21 co. 2° c.p.p.: nel caso concreto, con una corretta applicazione del criterio di cui all'art. 10 co. 1° ultima parte c.p.p., sarebbe dovuta individuare, quale giudice territorialmente competente, la Corte di Assise di Catania e non quella di Taranto, atteso che due degli imputati del processo (ossia il maggior numero di quelli rinviati a giudizio) avevano residenza a Catania mentre tutti gli altri risiedevano in luoghi diversi tra loro. Contesta quindi l'applicazione del criterio sussidiario di cui al co. 2° dell'art. 10 c.p.p. ritenendo non vi fosse ragione di ricorrere a tale criterio.
 
In secondo luogo, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della norma di cui all'art. 21 c.p.p. da parte della Corte di Assise di Appello. Questa concludeva nel senso che la competenza si fosse correttamente radicata dinanzi al G.u.p. del Tribunale di Taranto in quanto, non essendo stata evidentemente sollevata dal Responsabile civile la relativa questione nei termini indicati all'art. 21 co. 2° c.p.p., restava privo di rilievo il fatto che alcuni imputati avessero richiesto di regolare la propria posizione - e poi l'avessero fatto - con rito alternativo (il che aveva determinato lo stralcio dei relativi procedimenti e la riduzione della "platea" di imputati sulla cui base valutare gli eventuali criteri sussidiari ex art. 10 c.p.p. applicabili).
 
Il Ministero della Difesa contesta quindi, da un lato, la preclusione dell'eccezione di incompetenza territoriale in quanto non aveva né avrebbe potuto partecipare all'udienza preliminare nella quale le parti civili non si erano costituite; aveva invece sollevato l'eccezione di incompetenza entro il termine previsto dall'art. 491 co. 1° c.p.p. Dall'altro, contesta altresì l'invocato principio della perpetuatio jurisdictionis e competentiae ovvero, nel caso concreto, della irrilevanza dell'esito dell'udienza preliminare, atteso che la posizione degli imputati per i quali era stato disposto il rinvio a giudizio era stata formalmente separata dagli altri imputati che avevano definito il processo con rito alternativo.
 
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
 
3. Per quanto riguarda il primo rilievo formulato dal ricorrente ovvero quello relativo alla supposta errata applicazione dell'art. 10 co. 1° e 2° c.p.p., la Corte di Cassazione si limita a rinviare - senza neppure soffermarsi sui dati oggettivi della fattispecie concreta - ai criteri ermeneutici per l'applicazione del suddetto articolo, sottolineando come la questione sottoposta al suo esame debba essere risolta alla luce dei principi da lei stessa affermati in tema di disciplina generale della competenza per territorio, con riferimento, da un lato, all'applicazione dei criteri c.d. suppletivi e, dall'altro, della c.d. perpetuatio iurisdictionis.
 
In effetti, la principale questione sottesa al motivi di ricorso, da cui derivano le rispettive soluzioni, attiene essenzialmente alla portata del suddetto principio, con particolare riferimento agli eventuali fatti nuovi - rilevanti ai fini della determinazione della competenza territoriale tramite i vari criteri enucleati dall'art. 10 c.p.p. - eventualmente sopravvenuti ai termini di decadenza previsti dall'art. 21 co. 2° c.p.p.
 
La pronuncia della Cassazione qui in commento si sofferma quindi esclusivamente sul principio della c.d. perpetuatio iurisdictionis - considerandone la ratio a livello sistematico e l'ambito di applicazione - e su questa base può offrire risposta ai rilievi mossi dal ricorrente, anche con riferimento alla questione dei criteri ex art. 10 c.p.p. E' la stessa Corte ha chiarire che il giudice di secondo grado non avrebbe «richiamato lo sbarramento dell'udienza preliminare di cui all'art. 21 co. 2° c.p.p. per ritenere preclusa l'eccezione del responsabile civile - sulla quale, infatti, ha pronunciato nel merito - bensì per fondare il principio della perpetuatio juridictionis per il quale i fatti successivi a quel momento non rilevano ai fini della determinazione della competenza territoriale».
 
4. I giudici di legittimità ripercorrono - costruendo un chiaro quadro sistematico - la disciplina dell'incompetenza per territorio sottolineandone la diversità rispetto alle altre forme di incompetenza: in tale diversità va rinvenuta la logica di un così diverso regime normativo e la portata del principio della c.d. perpetuatio juridictionis.
 
4.1. Si sottolinea infatti in via preliminare come la disciplina della incompetenza per territorio abbia carattere meno rigido rispetto a quella relativa all' incompetenza per materia o all' incompetenza funzionale, per una ragione estremamente semplice: l'esigenza di determinare ed assicurare una competenza ratione loci si fonda su motivi di opportunità, che non investono l'intrinseca idoneità del giudice alla funzione, la sua capacità tecnico-professionale e non incidono, quindi, in modo decisivo sulla vicenda processuale.
 
4.2. In particolare, il diverso fondamento degli istituti della competenza per territorio rispetto a quelli della competenza per materia o funzionale determina un diverso regime - appunto meno rigido nel caso di incompetenza per territorio - con riferimento ai termini e alla decadenza dalla possibilità di rilevare e sollevare la relativa eccezione: il legislatore - e la Suprema Corte cita in tal senso la Relazione preliminare al c.p.p. - ha infatti ritenuto di poter bilanciare il principio della competenza per territorio con le esigenze di celerità e speditezza del procedimento.
 
In quest'ottica, la Corte ripercorre la disciplina codicistica. Com'è noto, la normativa vigente consente di rilevare ed eccepire l'incompetenza per territorio non già in ogni stato e grado del procedimento - analogamente a quanto previsto per l'incompetenza per materia o funzionale - ma entro ben precisi limiti temporali stabiliti a pena di decadenza, oltre ai quali la questione rimane preclusa. I termini di decadenza sono differenziati a seconda che si instauri o meno l'udienza preliminare (art. 21 co. 2° c.p.p.): nel primo caso, se è il giudice a rilevare l'incompetenza, la relativa declaratoria non potrà che essere oggetto del provvedimento conclusivo letto in udienza, mentre se è la parte ad eccepirla sarà la chiusura della discussione a segnare - per la parte medesima - il termine di decadenza; nel secondo caso, il termine per rilevare o eccepire l'incompetenza per territorio è quello indicato dall'art. 491 co. 1° c.p.p. ovvero appena sia stato compiuto, per la prima volta, l'accertamento della regolare costituzione delle parti. L'eccezione di incompetenza, ritualmente sollevata ma respinta nel corso dell'udienza preliminare può essere ancora riproposta entro quest'ultimo termine. Tale possibilità, permettendo un controllo da parte del Giudice del giudizio - la cui decisione prevale - sulle statuizioni del Giudice dell'udienza preliminare, risponde all'esigenza di prevenire ed evitare situazioni di conflitto formale, garantendo così proprio l'interesse ad una sollecita definizione del processo ex art. 28 co. 2° c.p.p.
 
4.3. Come già specificato e chiarito in numerosi ed autorevoli precedenti giurisprudenziali cui la sentenza in commento si allinea, una volta superati i detti limiti temporali, interviene la c.d. perpetuatio jurisdictionis: la cognizione della causa rimane attribuita al giudice procedente anche nell'ipotesi in cui fatti eventualmente idonei a supportare la deducibilità del vizio di incompetenza emergano nel corso dell'istruttoria dibattimentale.
 
La logica sottesa all'operatività di tale principio è presto spiegata a livello sistematico. Ai Giudici di legittimità pare sufficiente offrire alcuni spunti.
 
Sottolineano come non sia affatto casuale il mancato inserimento, da parte del legislatore - diversamente da quanto previsto dall'art. 439 co. 2° c.p.p. abrogato - della questione della competenza per territorio tra quelle proponibili, oltre che in fase preliminare, anche nel corso del dibattimento, laddove solo in questo sorga la possibilità di eccepirle ex art. 491 co. 2°: applicando il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, non potrebbe che trarsi conferma dell'esistenza di una assoluta preclusione conseguente al decorso dei precisi limiti temporali fissati dall'art. 21 co. 2° c.p.p.
 
D'altronde, si precisa in motivazione, sarebbe davvero assurdo e di scarsa coerenza sistematica prevedere un meccanismo di rigorose preclusioni e, allo stesso tempo, un permanente potere del giudice, officioso e su sollecitazione di parte, di occuparsi ulteriormente della questione di competenza: si tradirebbe infatti l'intento accelerativo che vorrebbe permeare l'intera disciplina.
La Suprema Corte richiama, a sostegno di tale impostazione, quanto già specificato dalla Corte costituzionale laddove, chiamata a pronunciarsi in merito all'obbligo di immediata deduzione dell'incompetenza per territorio, nel caso in cui la possibilità di eccepirla si fosse manifestata solo successivamente allo spirare del termine, aveva respinto l'eccezione, sottolineando come la norma di cui all'art. 491 co. 1° c.p.p. non sia in contrasto con l'art. 25 co. 1° Cost.: da un lato, perché resterebbero sempre determinati - in modo chiaro ed in anticipo - i criteri per determinare con certezza - nell'ottica di garanzia dell'imputato - la competenza; dall'altro, perché l'imposizione di una disciplina particolarmente rigorosa per la proposizione dell'eccezione di incompetenza territoriale corrisponderebbe alla peculiare natura della competenza in esame, rispetto alla quale rientra nella discrezionalità del legislatore limitare la possibilità di rilevare i vizi per favorire l'interesse all'ordine e alla speditezza del processo rispetto anche all'esatta individuazione del giudice naturale (Corte cost. n. 1 del 1965, n. 139 del 1971, n. 174 del 1975, n. 77 del 1977, ord. n. 521 del 1991, n. 280 del 1994 e n. 130 del 1995).
 
4.4. Nella sostanza, è enucleato ancora una volta, in linea con l'orientamento maggioritario, il principio - ritenuto «insito nel sistema» - secondo cui, se si celebra l'udienza preliminare, la competenza territoriale deve essere dal giudice verificata prima della conclusione di questa e tale verifica non può che avvenire «allo stato degli atti in quel momento disponibili» ovvero sulla scorta della imputazione formulata dal p.m., di tutte le emergenze d'indagine presenti nel fascicolo del p.m. e poste a disposizione del giudice e delle parti private, delle prospettazioni formulate dalla parte interessata e della documentazione dalla medesima eventualmente prodotta.
 
La Suprema Corte ribadisce che è solo alla luce di tale materiale conoscitivo che la questione della competenza per territorio può e deve essere decisa: in caso di rigetto, può certamente essere riproposta, entro il termine di cui all’art. 491 co. 1° c.p.p., dinanzi al giudice del dibattimento, ma questi può rivalutare l'eccezione esclusivamente sulla base dello stesso materiale, senza alcuna possibilità di dare corso ad attività istruttoria per l’acquisizione di nuovi elementi, eventualmente idonei ad incidere su tale aspetto (tanto che la relativa decisione deve essere assunta immediatamente). Ne consegue che determinatasi per effetto del previsto sbarramento cronologico e della preclusione ad esso connessa la perpetuatio juridictionis, l’affermata competenza per territorio rimane insensibile anche ad eventuali eventi istruttori o decisori successivi e di significato diverso da quello espresso dai dati in precedenza valutati.
 
4.5. Parimenti, la verifica della competenza territoriale, se ritualmente devoluta al giudice dell’impugnazione, non può che essere da questi valutata ex ante, ovvero sulla base delle emergenze fattuali così come cristallizzate in sede di udienza preliminare o, in mancanza di questa, di quelle acquisite non oltre il termine di cui all’art. 491 co. 1° c.p.p.: quanto di diverso eventualmente evidenziato dalla successiva dinamica dibattimentale non può in alcun modo essere preso in considerazione nella verifica circa la correttezza o meno della soluzione sulla competenza adottata in primo grado. D'altronde, le questioni preliminari - in quanto tali - non potrebbero - dal punto di vista logico - implicare il confronto con gli esiti istruttori del dibattimento, anche perché sarebbe vanificato il richiamato principio della perpetuatio jurisdictionis.
 
Riprendendo sempre i propri autorevoli precedenti, la Corte sottolinea come la coerenza del sistema troverebbe conferma proprio nella previsione dell’art. 24 c.p.p. che, non a caso, regola il potere del giudice di appello di rilevare l’incompetenza per territorio - con valutazione logicamente ex ante - degli elementi originariamente disponibili, purché la relativa questione sia stata eccepita con le modalità previste dall’art. 21 co. 2° c.p.p. o nei termini previsti dall’art. 491 co. 1° c.p.p., sia stata respinta in primo grado e poi riproposta nei motivi di appello; l'eventuale rigetto dell'incompetenza per territorio da parte del giudice di secondo grado sarebbe impugnabile con ricorso per cassazione e il conseguente sindacato di legittimità non potrebbe che contemplare - onde non vanificare ex post gli effetti eventualmente consolidatesi della perpetuatio jurisdictionis - i dati fattuali disponibili in sede di udienza preliminare o, in caso di citazione diretta a giudizio, nel momento direttamente precedente la dichiarazione di apertura del dibattimento (Sez. VI, n. 33435 del 4.5.06, Battistella).
 
4.6. Secondo la Corte, a diversa conclusione non può neppure portare la previsione di cui all’art. 23 c.p.p. secondo cui se, nel dibattimento di primo grado, il giudice ritiene che il processo appartenga alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa. Pur riconoscendo che ovviamente ogni giudice valuta la propria competenza, ritiene che ciò non significhi che il potere di dichiarare l’incompetenza per territorio non possa essere limitato e condizionato - segnatamente per favorire la speditezza del processo - dalle preclusioni di cui all’art. 21 co. 2° c.p.p.; in sostanza, la lettura del richiamato art. 23 c.p.p. andrebbe necessariamente coordinata - quanto all’incompetenza per territorio - con la disposizione di cui all’art. 21 co. 2° c.p.p. (interpretata nel senso sopraesposto).
 
5.Premesso un impianto argomentativo di tale articolazione, la Corte di Cassazione giunge poi rapidamente a concludere in merito al caso concreto sottopostole.
Condivide la soluzione individuata dalla Corte di Assise e confermata dalla Corte di Assise di Appello nel rigettare l'eccezione di incompetenza territoriale reiterata dal ricorrente.
Ritiene che la competenza si fosse ritualmente radicata al momento dell'udienza preliminare, sulla base dei criteri individuati dall'art. 10 co. 2° c.p.p. - da valutarsi con riferimento agli imputati presenti, in quel procedimento, al momento della proposizione dell'eccezione - cui si doveva ricorrere non sussistendo i presupposti per applicare i criteri di cui al co. 1° del medesimo articolo.
 
Sulla base dei principi esposti diffusamente nella prima parte della motivazione e - in particolare - in base al principio della perpetuatio iurisdictionis, la competenza territoriale non poteva però non ritenersi anche definitivamente radicata avanti il Giudice di Taranto, in quanto del tutto ininfluenti i successivi accadimenti ed eventi istruttori e decisori - quali la richiesta da parte di alcuni imputati di definire il processo con riti alternativi e il relativo "stralcio" delle posizioni - a prescindere dal fatto che potessero determinare in astratto una diversa applicazione dei criterio enunciati dall'art. 10 c.p.p.