14 giugno 2013 |
Le Sezioni Unite sull'individuazione della violazione più grave ai fini del computo della pena per il reato continuato
Cass., Sez. Un. pen., 28 febbraio 2013 (dep. 13 giugno 2013), n. 25939, Pres. Lupo, Est. Cassano, Imp. C.
1. Con la sentenza in esame - che qui immediatamente pubblichiamo in attesa di poter offrirne un commento più articolato - le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine all'individuazione della "violazione più grave" di cui all'art. 81 co. 1 c.p., rilevante, tra l'altro, ai fini del computo della pena nell'ipotesi di reato continuato di cui all'art. 81 cpv. c.p., affermando che «in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto [più grave] dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse».
2. Questo nuovo intervento delle Sezioni Unite - che nel nucleo essenziale reitera insegnamenti più volte espressi dalle stesse Sezioni Unite, a parire almeno dai primi anni novanta (si veda, sul punto, l'accurata ricostruzione effettuata da G. Romeo, Alle Sezioni unite, ancora una volta, la questione dei criteri di identificazione della violazione più grave nel reato continuato, in questa Rivista, 13 novembre 2012 a commento dell'ordinanza di rimessione) - si è reso necessario in relazione ai perduranti contrasti giurisprudenziali in materia, in conseguenza dell'affermazione, più volte emersa anche di recente nella giurisprudenza delle sezioni semplici, secondo cui la "violazione più grave" dovrebbe sempre essere individuata in concreto e non con riguardo alla valutazione astratta del legislatore (tra le altre: Cass. 06.3.12 n. 25120, Rv. 252613; Cass. 09.2.10 n. 12765, Rv. 246895; Cass. 24.3.09 n. 19978, Rv. 243723). In particolare, secondo tale orientamento, per "violazione più grave" ai sensi dell'art. 81 co. 1 c.p. dovrebbe intendersi la pena più grave da infliggersi in concreto, dopo la valutazione di ogni singola circostanza e l'eventuale giudizio di comparazione, secondo i criteri di commisurazione della pena indicati dall'art. 133 c.p.
Secondo il filone interpretativo maggioritario, coerente con tutte le pronunce delle Sezioni Unite succedutesi negli ultimi vent'anni, per l'individuazione della "violazione più grave" dovrebbe invece farsi riferimento sempre alla pena comminata in astratto dal legislatore, dovendosi considerare sempre più gravi: a) i delitti rispetto alle contravvenzioni; b) tra più delitti (o contravvenzioni), quelli con il massimo edittale più elevato; c) tra più delitti (o contravvenzioni) aventi un medesimo massimo edittale, quelli con il minimo edittale più elevato (tra le più recenti: Cass. 20.1.12 n. 13573, Rv. 253299; Cass. 26.1.10 n. 11087, Rv. 246468; Cass. 14.7.10 n. 34382, Rv. 248247; Cass. 11.2.10 n. 12473, Rv. 246558; Cass. 06.11.09 n. 47447, Rv. 246431; Cass. 27.1.09 n. 6853, Rv. 242866; Cass. 27.5.04 n. 26308, Rv. 229007).
Condiviso da entrambi gli orientamenti interpretativi, infine, l'assunto secondo cui, nella concreta quantificazione della pena, il giudice non potrebbe comunque irrogare una sanzione inferiore a quella minima stabilita per un reato in continuazione non assunto a "violazione più grave" ai sensi dell'art. 81 co. 1 c.p.
3. Le Sezioni Unite aderiscono all'orientamento maggioritario, rilevando innanzitutto come, per quanto riguarda il caso in cui l'agente sia condannato per reati di specie diversa (delitti e contravvenzioni), per "violazione più grave" debbano considerarsi sempre i delitti rispetto alle contravvenzioni, «anche nei casi in cui queste ultime siano assistite da una sanzione che [...] risulti maggiore quantitativamente rispetto al delitto». Ciò in quanto il trattamento generalmente sfavorevole dei delitti rispetto alle contravvenzioni in numerosi istituti dell'ordinamento penale lato sensu inteso (si pensi ad es. alle norme in tema di prescrizione, conversione ex l. n. 689/1981, ecc.) costituisce indice del fatto che, nella valutazione legislativa, i delitti sono ritenuti una "violazione" sempre qualitativamente "più grave" delle contravvenzioni.
Per quanto riguarda, poi, la valutazione relativa alla maggiore gravità di reati assistiti da pene della stessa specie, secondo la Suprema Corte vi sarebbero almeno tre argomenti decisivi a sostegno della tesi secondo cui la "violazione più grave" dovrebbe essere determinata in astratto. In primo luogo, in prospettiva costituzionale, osserva la Corte, «qualora si attribuisse rilievo alla decisione adottata in concreto dal giudice in relazione alla singola fattispecie [...] si invaderebbe uno spazio riservato al legislatore, al quale soltanto spetta stabilire se una condotta contraria alla legge debba essere qualificata più o meno grave di un'altra». In secondo luogo, continua il Collegio, «sul piano dell'interpretazione letterale [...] l'espressione "violazione", contenuta nell'art. 81 c.p.» si connota «concettualmente in maniera distinta ed autonoma rispetto alla nozione di "pena"», evocando invece una condotta contrastante con «una norma incriminatrice che, in un'ottica sanzionatoria, è assistita da un minimo e da un massimo edittale». Infine, dal punto di vista logico-sistematico, l'interpretazione secondo cui la valutazione di gravità potrebbe essere operata solo in astratto èl'unica coerente «con le scelte effettuate dal legislatore in ambito processuale», dove, in tema di competenza di competenza per materia, di competenza per connessione ed in materia di applicazione di misure cautelari personali si ha riguardo alla sola pena comminata in astratto.
Tuttavia, precisano le Sezioni Unite, occorre considerare che «la nozione di "violazione più grave" ha una valenza "complessa", che [...] implica la valutazione delle sue concrete modalità di manifestazione [...] tenendo conto, cioè, delle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano, a determinati effetti, la rilevanza delle circostanze o di talune di esse». Pertanto, una volta riconosciuta in sentenza la sussistenza di circostanze attenuanti o aggravanti, e sia stato effettuato il giudizio di bilanciamento tra queste, di tale sussistenza e del risultato di tale bilanciamento non può non tenersi conto nell'individuazione «in astratto della pena edittale, [...] dovendosi calcolare nel minimo l'effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l'aumento per le circostanze aggravanti».
4. Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, dunque, per individuare quale tra diversi reati unificati dal "medesimo disegno criminoso" costituisca la "violazione più grave" ai sensi dell'art. 81 c.p., occorre fare riferimento:
a) alla specie di pena principale comminata, per cui i delitti si considerano sempre più gravi delle contravvenzioni, indipendentemente dalle cornici edittali;
b) alla cornice edittale, per cui si considera più grave il reato con il massimo edittale più elevato o, in presenza di identici massimi edittali, il reato con il minimo edittale più elevato;
c) alla sussistenza di eventuali circostanze del reato e all'esito dell'eventuale giudizio di bilanciamento tra di esse, nel senso che la cornice edittale di cui alla lett. b) dovrà essere individuata «dovendosi calcolare nel minimo l'effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l'aumento per le circostanze aggravanti».
Tutto ciò, naturalmente, fermo restando che al giudice non è in ogni caso «consentito applicare una pena-base inferiore al minimo edittale previsto per uno qualsiasi dei reati unificati dall'identità del disegno» criminoso.