ISSN 2039-1676


18 giugno 2013 |

Storica assoluzione al Tribunale per l'ex-Jugoslavia nei confronti di due imputati serbi: il caso Stanišić e Simatović davanti all'ICTY

Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, Trial Chamber I, 31 maggio 2013, The Prosecutor v. Jovica Stanišić and Franko Simatović

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1. In una storica decisione del 31 maggio 2013, la Camera di prima istanza (Trial Chamber) del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) ha assolto in primo grado Jovica Stanišić, ex capo dei servizi di sicurezza di Stato serbi (le forze di polizia ricreate al momento del dissolvimento dello Stato jugoslavo, conosciute anche come "DB") e Franko Simatović, suo ufficiale in seconda e capo dell'Unità Operazioni Speciali del DB, dalle accuse di crimini contro l'umanità e violazione delle leggi e degli usi di guerra. Stanišić e Simatović erano accusati di aver diretto, organizzato, equipaggiato, addestrato, armato e finanziato diverse unità speciali paramilitari variamente collegate ai servizi di sicurezza e responsabili dell'uccisione, persecuzione, deportazione e trasferimento forzato di migliaia di civili di etnia non-serba da diverse regioni della Bosnia-Erzegovina e della Croazia nel periodo 1991-1995. Tali gruppi paramilitari includevano: l'unità anti-terrorismo o Special Purpose Unit (i "Berretti Rossi" successivamente identificati come "JATD"), i cosiddetti "Scorpioni", la Serbian Volunteer Guard (conosciuta anche come gli uomini di Arkan, dal nome del loro leader), la "Polizia di Martić", ovvero la milizia operante nelle Regioni Autonome Serbe (SAO) della Baranja e dello Srem occidentale ("SBSO") e l'unità Operazioni Speciali ("JSO").

 

2. L'accusa ha tentato di dimostrare che i due imputati presero parte ad una joint criminal enterprise (JCE), tipico criterio di imputazione elaborato dalla giurisprudenza dello stesso Tribunale, il cui obiettivo ultimo risiedeva nella rimozione forzata e permanente di gran parte della popolazione di etnia non-serba da vaste aree delle Regioni Autonome Serbe (SAO) della Krajina e della Slavonia, Baranja e Srem occidentale in Croazia e dai comuni di Bijeljina, Bosanski Šamac, Doboj, Sanski Most, Zvornik e Trnovo in Bosnia-Erzegovina. Alla luce dell'interpretazione avanzata dall'atto di accusa, Stanišić e Simatović avrebbero contribuito a tale "impresa criminosa" per mezzo della creazione e dell'interazione con le unità speciali intenzionalmente coinvolte nei combattimenti in Croazia e Bosnia. Stanišić e Simatović avrebbero partecipato alla JCE anche tramite l'interazione con forze serbe quali la Polizia della SAO Krajina; gli stessi avrebbero poi rappresentato il "canale di comunicazione" tra altre figure centrali del piano criminale, quali i leader serbi Milošević e Vojislav Šešelj da un lato, e i leader serbo-bosniaci (Radovan Karadžić e Ratko Mladić) e quelli dei serbi di Croazia (Goran Hadžić e Milan Martić) dall'altro.

 

3. I due ufficiali erano parallelamente accusati, a titolo di responsabilità personale, di aver progettato, ordinato o di aver altrimenti aiutato e incoraggiato i crimini compiuti dalle unità speciali ai sensi dell'art. 7(1) dello Statuto del Tribunale.

 

4. La sentenza, deliberata a maggioranza e corredata dell'opinione dissenziente del giudice Picard, ha in primis riconosciuto che tra il 1991 e il 1995, nel contesto del conflitto in corso nei territori della Croazia e della Bosnia-Erzegovina, fu compiuto un esteso attacco alla popolazione civile non-serba delle province autonome di Krajina e SWBS e degli altri comuni già citati. Alla luce delle numerose risultanze probatorie, i giudici hanno affermato che in numerose località della Bosnia-Erzegovina e della Croazia diverse unità paramilitari furono responsabili dei crimini di deportazione, trasferimento forzato e omicidio come crimini contro l'umanità (quest'ultimo configurandosi altresì come violazione delle leggi e usi di guerra). Prendendo inoltre in considerazione l'intento discriminatorio con il quale detti reati furono perpetrati, la Camera ha ritenuto perfezionato anche il crimine contro l'umanità di persecuzione. La Camera ha riconosciuto il coinvolgimento - in diverso grado - dei due imputati nella creazione, addestramento e finanziamento delle diverse unità speciali. Tuttavia, la maggioranza dei giudici ha negato ci fossero le basi per accertare la responsabilità penale degli imputati per nessuno dei criteri di imputazione individuati dall'accusa. La Camera si è difatti dichiarata "incapace di stabilire che gli imputati condividevano l'intenzione di promuovere il proposito criminale comune perseguito dalla JCE". In aggiunta, la stessa ha affermato che "non è stato provato oltre ogni ragionevole dubbio che Stanišić o Simatović pianificarono o ordinarono i crimini" commessi dai gruppi paramilitari.

 

5. La parte più interessante della sentenza riguarda gli argomenti forniti dalla Corte a sostegno dell'assoluzione dalle accuse di aver "aiutato ed assistito" (aiding and abetting) i crimini commessi dai cd. "Berretti Rossi". Pur ammettendo che gli imputati crearono e supportarono tale unità speciale, la Camera ha sostenuto che tale sostegno non fu "specificamente diretto" alla commissione dei crimini di omicidio, deportazione, trasferimento forzato e persecuzione, ma che viceversa fosse ragionevolmente "diretto a stabilire e mantenere il controllo serbo nell'area". In questo modo i giudici hanno deciso di seguire il precedente della Corte di Appello dell'ICTY nella sentenza Perišić del febbraio scorso, che aveva individuato come condizione imprescindibile dell'elemento oggettivo del reato di aiding and abetting la "specifica direzione" (specific direction) che gli atti posti in essere dall'autore devono avere "verso la commissione dei reati" ad opera degli autori materiali.

 

6. Secondo una definizione per la prima volta esplicitata nella sentenza di secondo grado nel caso Tadić (diretta a contraddistinguere il criterio di aiding and abetting da quello della JCE), "l'aider and abettor pone in essere atti specificamente diretti ad assistere, incoraggiare o fornire supporto morale alla commissione di un determinato crimine [...] e il suo supporto ha una portata decisiva nei confronti della commissione del crimine stesso". Tuttavia, la giurisprudenza successiva del tribunale non ha considerato in maniera stringente la condizione della direzione specifica, ritenendola spesso implicitamente soddisfatta dall'accertamento della circostanza che il soggetto avesse fornito un sostegno di tipo pratico all'autore principale del reato e che tale sostegno avesse influenzato la commissione dello stesso. La prima occasione in cui il tribunale ha interpretato restrittivamente l'elemento della "specific direction" è stato appunto nella sentenza Perišić. Nella sua opinione dissenziente, il giudice Picard ha definito le conclusioni della sentenza Perišić "eccessivamente restrittive", aggiungendo che anche nell'ipotesi di applicazione dello standard della "direzione specifica" Stanišić e Simatović avrebbero dovuto essere condannati. Gli imputati avevano difatti il diretto controllo dei Berretti Rossi e fornirono un sostegno significativo alle altre unità paramilitari, dimostrando, a parere del giudice francese, quanto il loro aiuto fosse "specificamente diretto" a sostenere la commissione dei reati commessi ad opera delle medesime.

 

7. Alla luce di quanto premesso, la camera giudicante ha deciso che Stanišić e Simatović non potessero essere ritenuti personalmente responsabili dei crimini imputati e ne ha ordinato il rilascio immediato da parte della United Nation Detention Unit del Tribunale. Quella dei due ex ufficiali serbi è l'ultima di una serie di recenti assoluzioni pronunciate dal Tribunale ad hoc, tra le quali spiccano quelle in secondo grado dei due ufficiali croati Gotovina e Markac nel novembre 2012, ed è stata emessa il giorno successivo alle condanne in primo grado nel caso Prlić et al.

 

8. La sentenza ha immediatamente sollevato pesanti critiche da parte di coloro che la interpretano come un netto insuccesso dell'Ufficio del Procuratore del Tribunale - accusato di aver mancato l'occasione di assicurare alla giustizia i veri responsabili di gravissimi crimini commessi in Bosnia-Erzegovina e in Kosovo durante la guerra - ovvero come l'ulteriore dimostrazione che il tribunale risponda di fatto a logiche politiche esterne che ne influenzano l'operato. L'assoluzione dei due ufficiali serbi, insieme a quella di Perišić e di Gotovina e Markac, sono difatti al centro di una recentissima polemica sollevata da una lettera che il giudice danese dell'ICTY Harhoff ha inviato a 56 persone connesse al tribunale, tra i giuristi, avvocati e giudici, e resa successivamente pubblica da un quotidiano. Nella lettera, Harhoff denuncia ingerenze e pressioni di tipo politico sui giudici del tribunale, indotti a velocizzare i procedimenti e applicare criteri di giudizio che portassero alle assoluzioni degli ufficiali serbi e croati. La dottrina aveva già attivato il campanello d'allarme, rilevando che i nuovi standard di responsabilità dettati dalla Corte d'Appello e ora seguiti dalla Camera di Prima Istanza richiedono prove dell'intento specifico dei responsabili a contribuire ai crimini commessi dai sottoposti, naturalmente difficili da produrre in un contesto di guerra. La lettera di Harhoff sembra indicare una matrice politica per tali scelte dei giudici, gettando un'ombra sulla reputazione del tribunale proprio nella fase finale di vita dell'ICTY.

 

9. E' indubbio che tale doppia assoluzione si carichi inoltre di un significato particolare, se si considera che sino ad oggi - anche a causa della prematura morte di Milošević - nessun alto ufficiale del governo serbo è stato condannato per il coinvolgimento nei crimini commessi in Bosnia-Erzegovina durante la guerra (Karadzić e Mladić, attualmente sotto processo, sono infatti serbo-bosniaci).

 

Le due parti della sentenza, così come una sintesi della stessa, sono scaricabili qui