ISSN 2039-1676


18 giugno 2013 |

Il Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) pronuncia un'importante condanna per crimini di guerra e contro l'umanità  nei confronti di sei leader Bosniaco-croati (caso Prilć et al.)

Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, Trial Chamber III, 29 maggio 2013, The Prosecutor v. Jadranko Prlić et al.

Per scaricare le sei parti della sentenza della Trial Chamber III e la sintesi della stessa così come letta in aula dal presidente Antonetti, nell'orginale francese, clicca qui.

Per una rappresentazione delle municipalità e dei territori coinvolti dal presente caso, clicca qui.


1. A poco più di sette anni di distanza dalla data del relativo atto di accusa, il 29 maggio 2013 la Camera di prima istanza (Trial Chamber) del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) ha emesso la sentenza di primo grado nel caso contro Jadranko Prilć e altri cinque ex leader bosniaco-croati. Nella sentenza, la Camera si pronuncia sulla responsabilità penale per i fatti avvenuti nel periodo 1992-1994 sul territorio dell'auto-proclamata Repubblica croata dell'Erzeg-Bosnia (Herceg-Bosna), entità che rivendicava l'autonomia politica dalla Bosnia con il sostegno del governo croato. A conclusione di uno dei procedimenti più lunghi e complessi affrontati dal Tribunale nei suoi ormai 20 anni di vita, i giudici della Trial Chamber III hanno condannato gli imputati per crimini contro l'umanità, violazione delle leggi e usi di guerra, e gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, in connessione ai reati perpetrati ai danni della popolazione musulmana e non croata dell'Erzeg-Bosnia. I reati, compiuti in particolare nelle municipalità di Mostar, Prozor, Gornji Vakuf, Jablanica, Ljubuški, Stolac, ÄŒapljina e Vareš includono fattispecie di omicidio volontario, deportazione, trasferimento forzato e detenzione illegale di civili, trattamenti inumani, persecuzione, stupro, violenza sessuale, rapina, lavoro forzato, nonché "distruzione ed appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala in maniera illegale e arbitraria". Prlić è stato altresì ritenuto colpevole di attacchi diretti contro la popolazione civile, di "diffondere terrore" e di trattamenti crudeli contro i civili in relazione all'assedio della zona musulmana di Mostar Est.

 

2. Jadranko Prlić, Bruno Stojić, Slobodan Praljak, Milivoj Petković, Valentin Corić e Berislav Pusić al tempo dei fatti oggetto del processo rivestivano le più alte cariche militari e di polizia della Repubblica dell'Erzeg-Bosnia. I giudici del Tribunale, con opinione dissenziente del Presidente Jean-Claude Antonetti in merito al criterio di imputazione scelto dalla maggioranza, hanno ritenuto gli imputati "responsabili di aver preso parte a una joint criminal enterprise (JCE) con l'obiettivo di rimuovere la popolazione musulmana dai territori sui quali la leadership croato-bosniaca, di concerto con la leadership croata, intendeva stabilire la propria supremazia". Tale obiettivo fu perseguito per mezzo di una campagna di pulizia etnica indirizzata alla popolazione non croata dell'area, posta in essere dalle forze armate croato-bosniache (il cd. Consiglio di Difesa Croato, o HVO).

 

3. In occasione della lettura in aula della sintesi della decisione - la cui versione completa conta 2.600 pagine - il presidente Antonetti ha dichiarato: "la Camera ha ritenuto che numerosi crimini commessi contro i musulmani tra il gennaio 1993 e l'aprile 1994 seguirono, per la maggior parte, un chiaro disegno. Nella maggior parte dei casi, tali crimini non costituirono atti accidentali posti in essere da pochi soldati insubordinati. Al contrario, tali crimini furono il ​​risultato di un piano elaborato dai membri della JCE il cui obiettivo finale era quello di rimuovere in modo permanente la popolazione musulmana dall'Erzeg-Bosnia". I giudici hanno tenuto a precisare che alla JCE così raffigurata contribuirono anche figure chiave del governo croato di allora, tra le quali Franjo TuÄ‘man, il Presidente della Croazia al tempo dei fatti; Gojko Šušak, il Ministro della Difesa croato; Janko Bobetko, un generale dell'esercito croato e Mate Boban, Presidente della Comunità ( poi "Repubblica") dell'Erzeg-Bosnia.

 

4. La campagna di pulizia etnica attuata nei confronti della popolazione musulmana dell'Erzeg-Bosnia ricalca lo schema "classico" già tristemente illustrato da altri casi trattati dal Tribunale. Nel ripercorrere i fatti di causa, il giudice Antonetti ha affermato che, dopo un lungo periodo durante il quale le popolazioni non croate della regione furono sottoposte a limitazioni sempre maggiori, il conflitto tra il Governo bosniaco e l'HVO scoppiò definitivamente nel gennaio del 1993, quando le forze governative stanziate nel comune di Gornji Vakuf rifiutarono la resa a seguito di un ultimatum elaborato dallo stesso Prlić. Il conflitto si allargò successivamente con lo stesso schema ai vicini comuni di Mostar, Prozor, Stolac e Jablanica, Ljubuški, Stolac, ÄŒapljina e Vareš: l'HVO procedeva in un primo tempo all'arresto e alla detenzione di massa della popolazione maschile in età da combattimento, per poi procedere ad arrestare e espellere donne, bambini e anziani verso territori controllati dalle forze bosniache e alla distruzione di case e luoghi di culto musulmani.

 

5. Fu parallelamente creata una "rete di centri detentivi per musulmani" sulla cui apertura e chiusura Prilić era l'ultimo ad avere la parola. La Camera ha definito le condizioni di detenzione nei centri quali Heliodrom, Gabela, Dretelj, Vojno e Ljubuški come "particolarmente difficili". Molti dei detenuti vivevano in condizioni terribili, in uno stato di costante privazione ​​di cibo, acqua e cure mediche di base. Molti subirono maltrattamenti e furono oggetto di abusi di tipo fisico e psicologico, tra cui pestaggi e violenze sessuali.

 

6. In relazione alla presa di Mostar, considerata capitale della Repubblica dell'Erzeg-Bosnia, la Camera ha rilevato che l'espulsione dei musulmani dalla zona occidentale della città continuò per mesi e fu compiuta dalle forze dell'HVO con una "estrema violenza". Tra giugno 1993 e aprile 1994 il Consiglio di Difesa Croato prese d'assedio la zona orientale di Mostar, prevalentemente musulmana, che fu soggetta a "intensi e costanti" bombardamenti che causarono numerose morti fra la popolazione civile. Il Tribunale ha inoltre stabilito che la distruzione del simbolico ponte di Mostar, avvenuta l'8 novembre 1993, fu responsabilità del Consiglio di Difesa Croato. Con posizione dissenziente di Antonetti, i giudici hanno deciso a maggioranza che "sebbene il ponte fosse utilizzato dalle forze bosniache e costituisse quindi un obiettivo militare legittimo per l'HVO, la sua distruzione causò un danno sproporzionato alla popolazione civile musulmana di Mostar".

 

7. Quattro dei sei imputati sono stati condannati sulla base di 22 capi d'imputazione e hanno ricevuto le seguenti condanne: Jadranko Prlić, ex presidente del Consiglio di Difesa Croato (HVO) e della stessa Repubblica Croata dell'Erzegovina è stato condannato a 25 anni di carcere; Bruno Stojić, capo del Dipartimento della Difesa dell'HVO, 20 anni; Milivoj Petković, capo dello Stato Maggiore e vice-comandante dell'HVO, ha anch'esso ricevuto una condanna a 20 anni; Valentin Ćorić, capo della Polizia Militare e successivamente Ministro dell'Interno dell'Erzeg-Bosnia è stato condannato a 16 anni. Lo stesso Ćorić è stato condannato inoltre per fatti che la Camera non ha ritenuto rientranti nel piano criminale elaborato dalla JCE, per i quali è stato invece ritenuto responsabile sotto la forma della "responsabilità da comando" (command responsibility). Slobodan Praljak, ex vice ministro della Difesa croato passato successivamente al ruolo di Comandante di Stato Maggiore dell'HVO, è stato assolto dalla Camera in relazione a due capi d'accusa e condannato a 20 anni di carcere in forza ai restanti 20. Infine Berislav Pušić, ex presidente della Commissione dell'HVO responsabile dello scambio di prigionieri, nonché capo della Commissione responsabile della gestione dei centri di detenzione, è stato condannato a 10 anni di prigione dopo esser stato assolto all'unanimità su quattro dei 22 capi d'accusa pendenti contro di lui.

 

8. La decisione nel caso Prlić et al. è l'ultima di una serie di procedimenti con il quale l´ICTY ha contribuito a far luce su un capitolo particolarmente buio della guerra nei Balcani, ovvero quello concernente i reati commessi dagli esponenti di etnia croata nei confronti della popolazione musulmana presente sui territori da essi rivendicati. Questa decisione è di fondamentale importanza in quanto rappresenta in qualche modo la chiusura del cerchio di un processo iniziato con la condanna intervenuta il 17 dicembre 2004 contro gli esponenti politici della Repubblica secessionista dell'Erzeg-Bosnia nel caso Kordić and ÄŒerkez (nel caso cd. "Lašva Valley").

 

9. Sin dalla sua creazione, il tribunale ha sottoposto a processo un totale di 161 persone sospettate di aver commesso gravi violazioni del diritto umanitario nei territori dell'ex Jugoslavia tra il 1991 e il 2001.

Sebbene gran parte dei procedimenti si sia concentrato su crimini commessi da serbi o da serbo-bosniaci, il Tribunale ha sempre affermato la propria neutralità nei confronti di tutte le etnie coinvolte nel conflitto, sostenendo che l'esiguo numero di croati (94), albanesi (9), macedoni (2) e montenegrini (2) indagati fosse dovuto a ragioni storiche naturalmente connesse all'atteggiarsi della guerra. La polemica contro l'apparente indifferenza del tribunale nei confronti dei criminali di guerra croati non si è tuttavia mai placata ed è stata recentemente risollevata dall'assoluzione in secondo grado, avvenuta nel Novembre 2012, dei due generali croati Gotovina e Markac, già condannati in prima istanza per crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Tale decisione è stata foriera di pesanti critiche da parte di molti esponenti della stampa serba e internazionale, riaccendendo il dibattito sull'effettività del contributo dell'ICTY alla pace e alla riconciliazione nella situazione balcanica post-conflitto. A tale dibattito hanno certamente contribuito le assoluzioni di tre top-leader serbi emesse dalla Corte d'Appello del tribunale tra il febbraio e il maggio 2013 (Perišić, Stanišić e Simatović).

 

10. Le critiche sono poi recentemente sfociate in aperta contestazione quando un giornale danese ha reso pubblica una lettera nella quale il giudice del tribunale Frederik Harhoff denuncia la costante pressione che il presidente Theodor Meron ha apparentemente esercitato su tutti i giudici affinché optassero per l'assoluzione dei leader croati e serbi. Harhoff, interpretando tale pressione come il tentativo del Presidente di compiacere il governo israeliano e statunitense, qualifica il fatto come un'indebita influenza politica su un organismo che, sin dalla sua creazione, ha combattuto per affermare la propria neutralità a livello internazionale. Il New York Times, da parte sua, in un articolo dello scorso 14 giugno ha ammesso che Stati Uniti e Russia sono fra i due stati che più premono per accelerare il processo di dismissione del tribunale creato dal Consiglio ONU nel 1993, contribuendo pertanto al clima di pressione al quale i giudici destinati a decidere degli ultimi casi sono soggetti.

 

11. Gli ultimi sviluppi giurisprudenziali sembrano aver innalzato lo standard per l'affermazione della responsabilità penale di soggetti che ricoprono alte cariche militari e quindi non furono direttamente coinvolti nei reati. Alla luce di tali sviluppi e dei recenti eventi l'operato dell'ICTY degli ultimi 20 anni, la sua capacità di assicurare alla giustizia gli ideatori di alcuni dei massacri più orribili commessi alla fine dello scorso secolo e, di conseguenza, la sua reputazione a livello internazionale, sono stata fortemente messi in discussione. Da questo punto di vista, la condanna nel caso Prlić et al. non sembra destinata a sedare le voci di scontento.